Lacci, la recensione: un classico Luchetti con tanti grandi attori

Cinema

Giuseppe Pastore

Venezia 77 si apre con il film (fuori concorso) tratto dal romanzo di Starnone: da Lo Cascio a Silvio Orlando, da Alba Rohrwacher a Laura Morante, un labirinto di pensieri e parole lungo trent'anni

Trent'anni di inquieta relazione matrimoniale tra Aldo, giornalista di RadioRai che fa la spola tra Roma e Napoli, e Vanda, maestra elementare che gli ha dato due figli, Sandro e Anna. Dal romanzo breve (o racconto lungo) di Domenico Starnone, che con Luchetti aveva già collaborato felicemente ai tempi dello spettacolo teatrale tratto da Sottobanco, diventato poi il delizioso La scuola (David di Donatello 1995). 

Un film tormentato ad aprire l'edizione di Venezia più tormentata che si ricordi, mascherine, dispenser di gel disinfettante ogni venti metri, cautele, qualche disagio, tortuosi labirinti di transenne e spartitraffico per arrivare ovunque. E' un tortuoso labirinto di pensieri e parole anche Lacci: cinema italiano nel senso classico del termine, con una direzione degli attori impeccabile (qualità in cui Luchetti, ha appena superato quota 60 lo scorso luglio, è maestro), magari senza particolari afflati di modernità, in cui però la classica dimensione cucina&salotto è valorizzata da un dinamismo e un'energia dialettica in cui le donne battono gli uomini, e chiudendo gli occhi davanti alle interpretazioni di Alba Rohrwacher e Laura Morante sembra di sentire la stessa persona. In quello che - almeno stando alle carte d'identità - è il Festival più femminile di sempre, inizia Luchetti a ridiscutere in peggio l'esistenza maschile: Aldo è inerte, vigliacco, incapace di sentire, di capire e di arrabbiarsi, dotato di personalità solo davanti a un microfono - ma della personalità usurpata che proviene da libri scritti da altri, da Fitzgerald a Gianni Rodari.

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Lacci, il trailer del film che apre Venezia 77

In una Napoli all'apparenza popolare ma di linguaggio alto-borghese, in cui le frasi in dialetto si contano sulle dita di una mano e gli attori interpretano dialoghi difficili e letterari, il groviglio di lacci e legacci che componevano il cuore del testo originale di Starnone viene rielaborato in nome di una teatrale verbosità che si schianta contro l'insegnamento a cui Aldo/Silvio Orlando approda solo nel finale: "Per stare insieme bisogna parlare poco". E dopo tante acrobazie anche di montaggio, scandite dal Ballo del Letkiss delle gemelle Kessler, dopo aver visto quattro personaggi diversi invecchiare di trent'anni, dopo aver ritrovato anche la graditissima Giovanna Mezzogiorno che mancava in un film di Venezia da parecchi anni, la storia finisce con la sordina, con una scena madre che non ci viene mostrata, ma solamente fatta intuire. Giusto così: il film è ben chiuso, come un bell'esercizio al volteggio in palestra, come un laccio fatto bene.

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