Intestino, meno batteri buoni per i neonati dei Paesi industrializzati: lo studio

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Lo ha evidenziato uno studio condotto dai ricercatori della Stanford University School of Medicine. Nell’ambito della ricerca, gli esperti sono riusciti a dimostrare come tra i neonati dei Paesi industrializzati stia diminuendo la presenza, nell'intestino, di batteri buoni fondamentali per la digestione del latte materno e per lo sviluppo iniziale del microbioma intestinale

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Un recente studio condotto dai ricercatori della Stanford University School of Medicine, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Science”, ha dimostrato come tra i neonati dei Paesi industrializzati stia sempre più diminuendo la presenza, nell'intestino, di batteri buoni fondamentali per la digestione del latte materno e per lo sviluppo iniziale del microbioma intestinale. Lo studio, tra l’altro, ha anche evidenziato come tale fenomeno potrebbe condurre ad un aumento di patologie come quelle infiammatorie croniche dell'intestino.

Il confronto con i neonati Hadza, gruppo etnico della Tanzania

Esaminando i dettagli della ricerca, gli studiosi hanno messo a confronto i dati relativi alla composizione batterica di un gruppo di bambini proveniente da diverse parti del mondo industrializzato, con gli stessi relativi ad alcuni neonati Hadza, un gruppo etnico stanziato in Tanzania che conduce uno stile di vita tra i meno industrializzati a livello globale. Dall’analisi, quindi, è emerso come proprio in quest’ultimo gruppo di bimbi risulti dominante il batterio chiamato “Bifidobacterium infantis” o “B. infantis”, conosciuto per avere la capacità di abbattere una tipologia particolare di zuccheri del latte materno e per l'effetto benefico sul sistema immunitario, oltre che sullo sviluppo del microbioma. Considerando, invece, i neonati dei Paesi industrializzati, i ricercatori hanno ravvisato la prevalenza del “Bifidobacterium Breve”, una specie batterica caratterizzata da una capacità limitata di scomporre gli zuccheri del latte.

L’ipotesi legata all’assenza di “B.infantis”

Lo studio, tra l’altro, ha sottolineato che anche tra i bambini allattati al seno, solitamente dotati di una maggiore quantità di specie batteriche efficienti, la presenza di batteri benefici risulti allo stesso modo inferiore rispetto a quanto rilevato nei bimbi nati nelle aree non industrializzate. L’ipotesi dei ricercatori, in assenza di “B.infantis”, è che il latte materno possa avere una capacità ridotta di innescare tutti i potenziali benefici per il bambino, sia considerando lo sviluppo del microbioma sia, a più ampio raggio, considerando la sua salute in generale. Per gli esperti, sarebbero diversi i fattori alla base che hanno condotto a questo svantaggio nelle aree industrializzate. Tra queste, la scelta del parto cesareo, che impedisce la condivisione di importanti batteri della zona vaginale, l'utilizzo di antibiotici, ma anche i servizi igienico-sanitari e una dieta molto ricca di grassi saturi e povera di fibre alimentari.

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