Lo ha detto il consulente del commissario all’emergenza Covid, Figliuolo, intervenendo a “Timeline”. “Diciamo che da gennaio probabilmente si potrà iniziare a scendere sotto i 60 anni, anche alla luce dell'andamento di chi tende ad infettarsi anche tra i vaccinati più giovani”, ha spiegato Rasi
“Mi sembra che l’orientamento”, a proposito di una terza dose di vaccino contro il Covid-19, “sia di farla dai 60 anni in su. Cosa che trovo assolutamente logica perché l’immunità in assoluto di questo virus tende a declinare lentamente e, ovviamente, nelle persone anziane declina un po' più in fretta. Se sarà necessaria proprio a tutti, anche alle fasce d’età più giovani, ci sarà tutto il tempo di verificarlo strada facendo”. Lo ha riferito, a Sky TG24, Guido Rasi, consulente del commissario all’emergenza Covid, Figliuolo, intervenendo a “Timeline”. “Diciamo che da gennaio probabilmente si potrà iniziare a scendere sotto i 60 anni, anche alla luce dell'andamento, appunto, di chi tende ad infettarsi anche tra i vaccinati più giovani”, ha poi aggiunto.
Terza dose: “scendere progressivamente sotto i 60 anni da gennaio”
“Personalmente”, ha proseguito Rasi, “direi che somministrare la terza dose proprio a tutti forse no, ma scendere progressivamente sotto i 60 anni da gennaio in poi probabilmente sarà l’approccio giusto, per poi vedere se bisognerà continuare fino proprio a rifarle tutte o ci si potrà fermare a una determinata fascia d’età”, ha sottolineato. “Questo è un po’ quello che immagino sia l’approccio più razionale, anche perché questo virus ogni giorno ci insegna qualcosa”, ha commentato. E, proprio a proposito dell’organizzazione legata alle somministrazioni della terza dose, ha detto, “auspico, come anche più volte ribadito dalla struttura commissariale, che si cerchi, piano piano, di sganciarsi dai grandi hub, costosi ma assolutamente efficienti e necessari in un momento di vaccinazione di massa”. Infatti, la campagna vaccinale “non sarà più una vaccinazione di massa, ma sarà diluibile, perché non è come il burro che sta nel frigorifero e scade in un determinato giorno. Il decadimento dell’immunità è una funzione ideale, quindi diciamo che dai sei mesi in poi, piano piano, si può iniziare a vaccinare tutti. E’ immaginabile una progressiva transizione verso il territorio, verso quella capillarità che danno i medici di famiglia e i farmacisti”, ha sottolineato ancora nel corso del suo intervento.
approfondimento
Vaccino Covid: dati e grafici sulle somministrazioni in Italia
Un campionamento continuo dell’immunizzazione della popolazione
Fare dei campionamenti, ha proseguito ancora Rasi, “sarebbe molto importante per conoscere come la nostra popolazione si è immunizzata, e vedere anche i tempi. C’è un limite a questo, ovvero che nessuno ha individuato il livello di anticorpi sufficiente per renderci immuni”, ha spiegato. “Addirittura, un’assenza di anticorpi in un soggetto precedentemente immunizzato non è detto che non conferisca immunità a questa persona, perché l’immunità cellulare, in tempi molto rapidi, può cominciare a ricostruire anticorpi”, ha commentato ulteriormente. Però, in quest’ottica, “servirebbe sapere come la popolazione italiana abbia reagito, e, nel momento in cui si riusciranno ad avere questi dati, il match potrà essere immediato e le decisioni assolutamente rapide: ben venga, quindi, un campionamento importante, continuo della popolazione italiana”, ha detto.
I richiami vaccinali per Johnson & Johnson
Nel corso del suo intervento, Rasi ha parlato poi del tema relativo al booster legato al vaccino anti-Covid, compreso quello di J&J. “Come ha detto con grande chiarezza l’Fda, dal secondo mese in poi noi sappiamo che l’immunità iniziare a decrescere. Ma questo è per tutti, per qualsiasi forma di immunizzazione e non solo per J&J. Secondo me bisogna comportarsi come con gli altri vaccini, a sei mesi dalla dose fatta considerare un booster: in questo caso la seconda dose, che ha lo stesso significato della terza dose attuale”, ha riferito.
I vaccini anti-Covid e le varianti
Interpellato, poi, su che tipo di capacità di reazione ha l’industria farmaceutica per adattare rapidamente i vaccini alle varianti del virus, Rasi ha spiegato che “dal punto di vista tecnico e tecnologico il tempo di adattamento dei vaccini a mRna ad una variante che lo richiedesse è di tre/quattro settimane, quindi è estremamente rapido”. L’Ema, in questo senso, “ha dato una linea guida di studi ponte con tre/quattrocento casi, sostanzialmente studi immunologici, dando per scontato che tutti gli ingredienti sono gli stessi a parte una piccola modifica della sequenza, che si potrebbero fare in settimane nel momento in cui la variante circolasse in maniera importante. Diciamo che in tre, quattro mesi potremmo avere il vaccino pronto”, ha spiegato l’esperto. “Quello che rimane un po’ il punto interrogativo è la capacità produttiva, perché a questo punto dovrebbe andare a sostituirsi alla catena produttiva e fare volumi molto rapidi, e abbiamo visto come comunque la capacità produttiva abbia bisogno di tempo per prendere la velocità necessaria. Dunque, velocissima la fase tecnica, molto veloce la fase autorizzativa, mentre un punto interrogativo per quella produttiva”, ha sottolineato. Concludendo, infine, con un giudizio sul sequenziamento nel nostro Paese. “Non sono sicuro che in Italia sequenziamo ancora a livello sufficiente. Il numero di sequenziamenti è fondamentale per anticipare il più possibile l’arrivo e la diffusione di una variante. E quindi una terza ondata”, ha detto ancora.