
Covid, ministero della Salute: nessuna prova che il virus si trasmetta con il cibo
La Sezione Sicurezza Alimentare del dicastero: nessuna prova scientifica permette di affermare che alimenti, crudi o cotti, possano essere veicolo di contagio. Anche le possibilità di infettarsi toccando confezioni e imballaggi sono "molto basse". Per prevenire complicazioni nel decorso della malattia, si consiglia una dieta sana

Nessuna evidenza scientifica permette di affermare che il coronavirus possa trasmettersi per via alimentare, attraverso cibi crudi o cotti. Non solo: il rischio che l’infezione si propaghi tramite contatto con le confezioni degli alimenti è "trascurabile". A chiarirlo è la Sezione Sicurezza Alimentare del ministero della Salute
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La conferma arriva dopo "un’analisi delle conoscenze attuali in merito al rapporto tra virus e alimenti", condotta dalla Sezione Sicurezza Alimentare dopo "specifiche richieste di chiarimento avanzate dalla Sezione consultiva delle Associazioni dei consumatori e dei produttori e da altri portatori di interesse”
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"La comprensione della modalità di trasmissione del Covid-19 è ancora parzialmente incompleta", si legge nel report dell’autorità sanitaria, che ricorda come l'ipotesi più accreditata per la nascita del virus sia quella legata al mondo animale
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Dopo aver ricordato che il mezzo di contagio principale è quello interpersonale, si specifica che “fino ad oggi non sono stati segnalati casi di trasmissione di Sars-CoV-2 tramite il consumo di cibo. Pertanto, come affermato dall'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, dall’International Dairy Food Association, dall’Oms e dal CDC, non ci sono prove che il cibo rappresenti un rischio per la salute pubblica" in relazione al Covid-19

Lo stesso vale per le altre forme di coronavirus che si erano sviluppate prima del 2020 (SARS-CoV e MERS). Stando ai dati disponibili, non si correrebbe il rischio di essere contagiato né ingerendo cibo - cotto o crudo - né “attraverso i prodotti della filiera alimentare, dalla produzione delle materie prime alla vendita di alimenti grezzi o trasformati, ready to eat o a lunga conservazione”

Riprendendo alcuni studi portati avanti in Germania, nel parere si specifica che nel rapporto cibo-Covid, “più che l’alimento in sé, infetto o come veicolo, prevalgono segnalazioni relative alla lavorazione e confezionamento del prodotto o ai luoghi di lavorazione”. Ad esempio: gli ambienti di lavorazione industriale delle materie prime, in particolare i mattatoi, sono stati valutati come luoghi a rischio per la contaminazione ambientale da coronavirus

Per quanto riguarda il packaging e gli imballaggi per la conservazione e la preparazione degli alimenti, il rapporto chiarisce che i dati disponibili si riferiscono solo alla sopravvivenza del virus sulle diverse superfici, ma non alla sua contagiosità. Al momento, inoltre, “non sono disponibili evidenze scientifiche circa la trasmissione del virus attraverso oggetti e superfici contaminate a contatto con gli alimenti, che possano far ritenere la presenza del SARS-CoV-2 sul packaging un fattore di rischio per la salute”

Il processo di trasmissione, prosegue il report, non si può escludere quando il contatto con superfici contaminate è associato al contatto con le mucose (occhi, bocca, naso), anche se il rischio potenziale di contrarre la patologia dal packaging a contatto con alimenti appare “molto basso”

A fini precauzionali, le attenzioni da mettere in pratica sono da osservare al momento del contatto con alimenti da parte di consumatori, produttori e venditori. Lo studio sottolinea che è dimostrato come il Covid-19 riesca a sopravvivere su vari materiali per brevi o lunghi periodi. Sul cartone, ad esempio, resiste fino a 24 ore, mentre sul vetro si arriva a 28 giorni
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Tuttavia, “non ci sono ancora prove che gli imballaggi contaminati, esposti a diverse condizioni ambientali e temperature, trasmettano l'infezione”. Chi lavora a contatto con gli imballaggi deve attenersi alle canoniche pratiche igieniche, come il lavaggio regolare delle mani

La produzione di alimenti è già soggetta a un insieme di norme che impongono pratiche di igiene nella lavorazione dei prodotti. Queste sono finalizzate a “prevenire la contaminazione degli alimenti da parte di qualsiasi agente patogeno, e quindi possono a loro volta essere indicati anche a prevenire la contaminazione degli alimenti da parte del SARS-CoV-2”

Per i rivenditori di alimenti, le misure di prevenzione da osservare sono “il distanziamento fisico, la buona igiene personale con frequente lavaggio delle mani e l’applicazione delle generali regole per l’igiene degli alimenti”. I lavoratori del settore alimentare sono inoltre “chiamati a seguire misure di precauzione e prevenzione riguardanti pulizia e igiene, disinfezione di superfici e punti ad alto contatto, mantenimento della distanza fisica”

Anche per il consumatore le regole da seguire sono quelle che già conosciamo. Nel corso della spesa “è bene mantenere la distanza di almeno un metro e mezzo tra le persone in coda e dal rivenditore, sanitizzare il carrello o il cestino, sanitizzare le mani prima e dopo l’utilizzo del carrello o del cestino e/o proteggere le mani con guanti da eliminare in appositi contenitori finita la spesa, come tuttora consigliato, oltre che usare la mascherina correttamente indossata tutto il tempo di permanenza al supermercato”
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Non è necessario disinfettare gli involucri che contengono gli alimenti, ma lavare le mani dopo aver manipolato le confezioni. Durante la preparazione degli alimenti, invece, è importante lavorare su superfici pulite e far cuocere bene il cibo. È stato dimostrato, ricorda il report, che “le temperature utilizzate per la cottura sono sufficienti per inattivare il coronavirus" (ossia "65 °C per 4 minuti"). Per la sanificazione di frutta e verdura, basta il lavaggio con acqua potabile

Per quanto riguarda le abitudini alimentari, “la promozione di un sano e corretto stile di vita, inclusa una dieta adeguata, si conferma quale obiettivo di salute generale”. Evidenze epidemiologiche “molto solide” mostrano come patologie legate a una scorretta alimentazione, come obesità e diabete di tipo 2, “siano significativamente correlate a un decorso più grave” dell’infezione da coronavirus