
Referendum 12 giugno, cosa votare: ecco spiegate in breve le conseguenze del sì o del no
Domenica 12 giugno, dalle 7 alle 23, gli italiani sono chiamati alle urne per cinque quesiti referendari che riguardano il tema della giustizia: si va dalla legge Severino alle misure cautelari, dalla separazione delle carriere alla valutazione sui magistrati e alle elezioni per il Csm. Ecco cosa c’è da sapere
Domenica 12 giugno 2022, dalle 7 alle 23, in alcuni comuni si tengono le elezioni amministrative. Tutti gli italiani aventi diritto, inoltre, sono chiamati alle urne per il referendum. I quesiti referendari sono cinque, ma si può scegliere di votare anche solo per uno di essi. Ecco una breve spiegazione su cosa si vota scegliendo il sì o il no
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I cinque referendum popolari abrogativi chiedono di abrogare, cioè di eliminare, alcune leggi. I quesiti riguardano il tema della giustizia: si va dalla legge Severino alle misure cautelari, dalla separazione delle carriere alla valutazione sui magistrati e alle elezioni per il Csm
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In estrema sintesi, deve votare “sì” chi è d’accordo a cambiare l’attuale legge e deve votare “no” chi invece vuole mantenere le cose così come sono ora. Ogni quesito, per essere valido, deve raggiungere il quorum: vuol dire che deve votare la metà più uno degli aventi diritto (50%+1). Per esprimere il proprio voto è necessario andare alle urne con un documento d'identità e la tessera elettorale
Referendum giustizia, per cosa si vota il 12 giugno: i quesiti
Per il referendum numero 1 si vota sulla scheda di colore rosso. Riguarda l’abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi
Referendum giustizia, votare sì o no? Il quesito 1: abrogazione legge Severino
Il quesito, in pratica, chiede se si è d’accordo o meno alla cancellazione della Legge Severino (decreto legislativo 235 del 2012): in automatico esclude dalle elezioni e dagli incarichi in politica le persone condannate. In Italia, in caso di condanna definitiva per alcuni reati, è ora prevista l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatica per parlamentari, rappresentanti di governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali (in alcuni casi per questi ultimi si prevede la decadenza o la sospensione anche con sentenza non definitiva)
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Se vince il “sì”, il decreto vene abrogato e cade l’automatismo: vuol dire che in caso di condanna spetterà al giudice decidere di volta in volta se applicare o meno anche l’interdizione dai pubblici uffici. Se vince il “no”, rimane l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatica per i politici condannati
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Chi sostiene il “sì” ritiene che vada eliminato l’automatismo per i casi di incandidabilità e ineleggibilità e che, come succedeva prima della Legge Severino, spetti al giudice decidere se applicare o meno la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Inoltre, i promotori di questo referendum ritengono incostituzionale che la sospensione degli amministratori locali avvenga già in caso di condanna con sentenza non definitiva

Chi sostiene il “no”, invece, ritiene che la Legge Severino debba essere sì modificata - soprattutto nella parte in cui è prevista la sospensione in automatico in caso di sentenza non definitiva - ma non abrogata del tutto. Ritengono, infatti, che la parte in cui è prevista l’incandidabilità e l’ineleggibilità per i reati di mafia, terrorismo e reati contro la pubblica amministrazione debba essere mantenuta

Per il referendum numero 2 si vota sulla scheda di colore arancione. Il tema è la limitazione delle misure cautelari: riguarda l’abrogazione dell'ultimo inciso dell'art. 274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale
Referendum giustizia, votare sì o no? Gli esperti e il quesito 2: custodia cautelare
Il quesito, in pratica, chiede se si è d’accordo o meno - quando non si tratti di reati gravi - all’eliminazione della norma sulla “reiterazione dello stesso reato” dall’insieme delle motivazioni per cui i giudici, durante le indagini e quindi prima del processo, possono decidere la custodia cautelare in carcere o i domiciliari per una persona. Oggi il gip, se ci sono gravi indizi di colpevolezza, può decidere le misure cautelari in tre casi e cioè se c'è pericolo di fuga, di alterazione di prove o di ripetizione del reato

Se vince il “sì”, in alcuni casi e per reati considerati meno gravi, il pericolo della reiterazione del reato viene eliminato dai motivi per cui può essere richiesta una misura cautelare. L’arresto preventivo rimarrebbe – oltre che per i casi di pericolo di fuga e inquinamento delle prove – anche se c’è il rischio di commettere reati di particolare gravità, come quelli commessi con armi o altri mezzi violenti o di criminalità organizzata. Se vince il “no”, il pericolo della reiterazione del reato rimane tra i casi per cui è possibile chiedere una misura cautelare

Chi sostiene il “sì” ritiene che oggi in Italia ci sia un uso eccessivo delle custodie cautelari e che mettere in carcere persone non condannate violi spesso il principio della presunzione di innocenza. I promotori del “sì” sottolineano che la reiterazione del reato è la motivazione più frequente per disporre una custodia cautelare e forniscono alcuni dati: si stima che in 30 anni siano state quasi 100mila le persone finite in carcere ingiustamente, 30mila delle quali sono state indennizzate per ingiusta detenzione (per un totale di quasi 900 milioni di euro)

Chi sostiene il “no” ritiene che con un cambiamento di questa legge diventerà molto difficile applicare misure cautelari a persone indagate per alcuni reati gravi, come stalking, corruzione, estorsioni, rapine e furti. Ritiene, inoltre, che il rischio di mettere in carcere persone innocenti rimanga perché le misure cautelari resterebbero in vigore per le altre motivazioni. Mette in guardia anche per un eventuale aumento dei rischi per la sicurezza pubblica

Per il referendum numero 3 si vota sulla scheda di colore giallo. Riguarda la separazione delle funzioni dei magistrati e, in particolare, l’abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa nella carriera dei magistrati
Referendum giustizia, votare sì o no? Gli esperti e il quesito 3: separazione funzioni
Il quesito, in pratica, chiede se si è d’accordo o meno nell’introdurre nel sistema giudiziario italiano la separazione delle carriere. Al momento i magistrati possono passare fino a quattro volte dal ruolo di pubblici ministeri (che sono delle figure che svolgono la parte dell’accusa e coordinano le indagini svolte dalle forze dell’ordine) al ruolo di giudici (le figure che emettono le sentenze sulla base delle prove raccolte e del contradditorio tra l’accusa e la difesa)

Se vince il “sì”, viene introdotta la separazione delle carriere e i magistrati dovranno scegliere all’inizio del loro percorso lavorativo se assumere nel processo il ruolo di giudice (funzione giudicante) o quello di pubblico ministero (funzione requirente): poi dovranno mantenere quel ruolo per tutta la loro vita professionale. L’unica possibilità di cambio rimarrebbe per i giudici, che potrebbero passare dai tribunali penali a quelli civili. Se vince il “no”, i magistrati potranno continuare a cambiare ruolo nel corso della loro carriera

Chi sostiene il “sì” ritiene che separare le carriere possa essere garanzia di una maggiore imparzialità dei giudici: i promotori del “sì”, infatti, ritengono che i magistrati per tutta la loro vita professionale dovrebbero solo o “accusare” o “giudicare”, mentre passare da un ruolo all’altro - ruoli che nel processo devono essere distanti - potrebbe confondere e rappresentare un rischio per il sistema democratico

Chi sostiene il “no”, invece, ritiene che separare le carriere non sarebbe comunque una mossa efficace visto che altri aspetti - come la formazione, il concorso per accedere alla magistratura e gli organi di autogoverno dei magistrati - resterebbero in comune. Inoltre, i promotori del “no”, temono che i pm potrebbero essere sottoposti a un maggiore controllo da parte del governo e isolati, senza possibilità di ampliare il proprio bagaglio professionale svolgendo altre funzioni

Per il referendum numero 4 si vota sulla scheda di colore grigio. Riguarda la partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. In particolare, il tema è l’abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte
Referendum giustizia, votare sì o no? Gli esperti e il quesito 4: valutazione magistrati
Il quesito, in pratica, chiede se si è d’accordo o meno a permettere di partecipare alla valutazione sui magistrati - oltre che alle toghe - anche ad altre figure di esperti nella materia giuridica. Al momento, in Italia i magistrati vengono valutati ogni 4 anni dal Cms, che decide sulla base delle valutazioni fatte anche dai Consigli giudiziari: in questi organi territoriali, oltre che magistrati, ci sono anche avvocati e professori universitari di diritto ma solo i magistrati possono votare nelle valutazioni professionali dei loro colleghi

Se vince il “sì”, viene quindi abrogato il divieto di voto dei membri laici nei Consigli giudiziari: anche altre figure diverse dalle toghe - come avvocati e professori universitari che fanno parte di questi Consigli - potranno votare riguardo all’operato, alla competenza e alla professionalità dei magistrati. Si estenderebbe anche ai rappresentanti dell’Università e dell’Avvocatura, quindi, la possibilità di esprimere valutazioni. Se vince il “no”, le cose restano come sono e le valutazioni rimangono a carico dei magistrati

Chi sostiene il “sì” ritiene che la magistratura, con questa modifica, sarebbe meno autoreferenziale e che la valutazione dei magistrati diventerebbe più oggettiva ed equilibrata

Chi sostiene il “no”, invece, ritiene che non sia giusto permettere a soggetti esterni di valutare i magistrati. In particolare, i sostenitori del “no” ritengono improprio permettere agli avvocati di giudicare i magistrati, dato che nei processi i pm rappresentano la loro controparte e le valutazioni potrebbero essere ostili o viziate da contrasti professionali. Inoltre, un magistrato, aggiungono, potrebbe essere in soggezione nei confronti di un avvocato durante un processo

Per il referendum numero 5 si vota sulla scheda di colore verde. Il tema è l’abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura. In particolare, si chiede l’abrogazione della legge 24 marzo 1958, n. 195 (“Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura”) nella parte che prevede l’obbligo di raccogliere da 25 a 50 firme per potersi candidare come membri dell’Organo di autogoverno della magistratura
Referendum giustizia, votare sì o no? Gli esperti e il quesito 5: candidatura al Csm
Il quesito, in pratica, chiede se si è d’accordo o meno all’abrogazione della norma che prevede l’obbligo di raccogliere da 25 a 50 firme per potersi candidare come membri dell’Organo di autogoverno della magistratura. Oggi per il magistrato che vuole candidarsi al Csm è necessario presentare a proprio sostegno almeno 25 firme di altri magistrati. Il Csm - che, tra l’altro, ha lo scopo di mantenere la magistratura indipendente rispetto agli altri poteri dello Stato - è composto da 24 membri, eletti per un terzo dal Parlamento e per due terzi dai magistrati stessi

Se vince il “sì” si potrà presentare la propria candidatura senza l’obbligo di trovare almeno 25 firme. Si tornerebbe, quindi, alla legge originale del 1958: prevedeva che tutti i magistrati in servizio potessero proporsi come membri del Csm presentando semplicemente la propria candidatura. Se vince il “no”, l’obbligo delle firme rimane

Chi sostiene il “sì” ritiene che, togliendo l’obbligo delle firme, i magistrati possano sganciarsi anche dall’obbligo di trovare accordi politici dato che queste firme sono spesso frutto dell’adesione alle varie correnti interne alla magistratura: per l’elezione, poi, verrebbe considerato il merito e non l’appartenenza politica. Inoltre, sottolineano i promotori del “sì”, in questo modo si limiterebbe la spartizione delle cariche tra i diversi orientamenti politici

Chi sostiene il “no”, invece, ritiene che eliminando le firme si elimini anche una prima - minima ma importante - scrematura alle candidature. Inoltre, i sostenitori del “no” ritengono che la modifica sarebbe poco rilevante e non eliminerebbe il potere delle correnti. C’è, poi, chi non ritiene quello delle correnti un sistema negativo ma solo un’aggregazione di persone che condividono ideali e principi comuni