Stretto di Hormuz, perché è strategico e cosa potrebbe accadere se l’Iran lo chiudesse

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Introduzione

La decisione degli Stati Uniti di entrare nel conflitto tra Israele e Iran, bombardando siti nucleari del regime di Teheran, ha alzato ulteriormente la tensione in Medio Oriente e aumentato i timori su quanto potrebbe accadere allo Stretto di Hormuz: si tratta di un lembo di mare da dove passa circa il 30% del petrolio mondiale: si estende per 560 chilometri tra l’Iran e la punta nord-orientale dell’Oman, arrivando a una larghezza massima di 320 chilometri a dividere il Golfo Persico e quello dell’Oman . Ed è proprio in quest’area che si teme potrebbe intensificarsi la guerra attualmente in corso.

Quello che devi sapere

20 milioni di barili al giorno

Lo stretto di Hormuz - da secoli definito in arabo Bab as-Salam, la 'Porta della Pace' - è uno dei punti chiave della regione, sia perché costituisce il passaggio fra i due Golfi citati (sui quali si affacciano molti Paesi), sia perché rappresenta il crocevia mondiale del petrolio via nave: lo attraversano in media oltre 20 milioni di barili al giorno.

 

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20 milioni di barili al giorno

L’attacco Usa e il destino dello Stretto

Nelle ore subito successive all’attacco statunitense, il destino dello Stretto è tornato in discussione: il Parlamento di Teheran "è arrivato alla conclusione che lo Stretto di Hormuz debba essere chiuso, ma la decisione finale in merito spetta al Consiglio supremo di sicurezza nazionale”, ha detto il generale dei Guardiani della Rivoluzione Esmail Kowsari, che siede nella commissione Sicurezza nazionale. Una mossa che secondo il vicepresidente statunitense JD Vance sarebbe "suicida" per l'Iran. "La loro intera economia passa attraverso lo Stretto di Hormuz. Se vogliono distruggere la loro economia e causare disordini nel mondo, credo che la decisione spetti a loro, ma perché dovrebbero farlo? Non credo che abbia alcun senso", ha detto Vance

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Rubio: "Cina prema su Iran contro chiusura Stretto Hormuz"

Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha invitato la Cina a sollecitare l'Iran a non chiudere lo Stretto di Hormuz in risposta agli attacchi di Washington contro i siti nucleari di Teheran. "Incoraggio il governo cinese a contattarli in merito, perché dipendono fortemente dallo Stretto di Hormuz per il loro petrolio", ha detto Rubio, che è anche consigliere per la Sicurezza nazionale, parlando a Fox News dopo che il Parlamento iraniano ha approvato il blocco strategico dello Stretto attraverso cui transita oltre il 20% di petrolio e gas mondiale demandando la decisione finale al Consiglio supremo di sicurezza nazionale.

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Occhi sul petrolio dopo attacco Usa

In queste ore gli occhi sono puntati sul prezzo del petrolio, dopo gli attacchi Usa alle basi nucleari iraniane.  Secondo alcuni analisti è probabile che i contratti sul greggio registrino un balzo di 3-5 dollari al barile. I rialzi potrebbero trasformarsi in una vera e propria impennata se l'Iran dovesse decidere di reagire e interrompere l'approvvigionamento di petrolio, oppure chiudere o minare lo stretto di Hormuz.

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I mercati temono la chiusura

I mercati da giorni temono soprattutto l'eventuale rappresaglia dell'Iran su questo specifico Stretto (e quindi la sua chiusura) dato che attraverso il canale transita tutto il petrolio diretto dal Golfo Persico agli importatori nel mondo comprese le esportazioni di Gnl dal Qatar e dall'Oman. Lo scorso anno, all’acuirsi delle tensioni fra i due Paesi, gli esperti avevano ipotizzato che un blocco totale avrebbe fatto schizzare il petrolio oltre i 200 dollari

Mai chiuso nella storia moderna

Secondo una valutazione - precedente all'attacco degli Stati Uniti - di JP Morgan, se l'Iran dovesse bloccare il passaggio, i prezzi potrebbero arrivare a 120 dollari al barile con conseguenze molto importanti sulla vita quotidiana di molte persone a livello globale. Tuttavia, gli stessi analisti avevano sottolinato che questo scenario era considerato improbabile, dato che lo Stretto non è mai stato chiuso nella storia moderna nonostante le numerose minacce.

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Le eventuali conseguenze

Dallo stretto di Hormuz non passa solo il greggio, ma anche - come accennato - i cargo carichi di Gnl che dal Qatar vanno in Europa, nel Middle East asiatico e in Cina. E proprio Pechino, che è la seconda economia al mondo dopo gli Stati Uniti, è un grande acquirente di petrolio iraniano (circa 1,5 milioni di barili al giorno). Se tali forniture dovessero interrompersi, la Cina sarebbe costretta a rifornirsi altrove, a prezzi più alti con conseguenze a catena per l'inflazione globale

Le contromisure degli altri Paesi

Il timore di una eventuale chiusura ha spinto da anni l’Arabia Saudita e Abu Dhabi -almeno in parte - a dirottare il traffico di greggio via terra: passando per i più costosi oleodotti che, nel caso saudita, tagliano il regno dal Golfo a est fino al Mar Rosso a ovest e, nel caso emiratino, aggirano Hormuz passando alle sue spalle prima di giungere sulla costa dell'Oceano Indiano. Il Qatar non ha infrastrutture alternative ma da giorni ha messo in allerta le sue navi, chiedendo di ridurre i tempi di transito e di carico del gas.

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Pichetto: “Blocco Hormuz preoccupa”

"Nello stretto di Hormuz passa circa il 20% del gas e il 30-40% del petrolio, quindi un suo eventuale blocco comporterebbe un minor quantitativo della materia prima e una risalita dei prezzi”, ha detto il il ministro dell'Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin. “È un automatismo di mercato, che scatenerebbe anche dei meccanismi speculativi”. In merito alle possibili fiammate sulle piazze finanziarie in questi giorni, il ministro osserva: "L'aumento è stato contenuto e può essere dovuto a tanti fattori: al timore di chi deve approvvigionarsi e ha incrementato la domanda per avere delle quote di riserva; oppure al fatto che l'inizio delle operazioni militari ha portato difficoltà alle esportazioni. Il blocco di Hormuz, invece, genererebbe una situazione di difficilissima gestione". Poi spiega: "Noi siamo tanto dipendenti dal gas, ma non lo siamo quantitativamente da quell'area. Certo, utilizziamo il gas del Qatar e nel caso di una escalation potremmo doverlo sostituire, ma il mondo è pieno di gas. Grazie anche ai nostri rigassificatori e alle due navi che abbiamo aggiunto a Piombino e a Ravenna, siamo in una condizione di sicurezza. La preoccupazione maggiore deve essere sul prezzo che si fa sui mercati internazionali". 

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