Israele, Iran e il giudizio sospeso (e studiato) del governo

L’audizione di Antonio Tajani alle commissioni Difesa ed Esteri riunite di Camera e Senato lascia aperti alcuni interrogativi sul punto di vista del governo italiano su quanto sta succedendo in Medio Oriente. Quale sia, al fondo, il giudizio sugli attacchi sferrati da Israele in territorio iraniano verso obiettivi militari e strategici e – in particolare – verso i principali siti dove il regime di Teheran è sospettato di arricchire uranio ben oltre i limiti necessari al suo impiego per la generazione di energia ad uso civile. Le parole del ministro degli Esteri non sciolgono l’ambiguità della posizione italiana che, beninteso, in politica estera è spesso una scelta precisa, specie in situazioni dagli sviluppi incerti come quella cui, malauguratamente, siamo di fronte. Tajani – e quindi il governo – dice che non si può in alcun modo permettere che la Repubblica Islamica diventi potenza nucleare. In quest’ottica, e di fronte a questo obiettivo primario e irrinunciabile, sembra appoggiare la scelta dell’attacco preventivo da parte di Israele. Motivato certo da un problema esistenziale, così vicino all’Iran che esplicitamente ha per obiettivo la sua distruzione. E circondato dai proxy di Teheran: Hezbollah, Hamas, gli Houthi yemeniti. Ma contemporaneamente invita le parti alla moderazione reciproca e in particolare invita l’Iran a misurare la sua reazione su un criterio di proporzionalità. Sembrano parole già vecchie, purtroppo, rispetto al momento in cui sono pronunciate. E però, come si diceva, la posizione “di mezzo” che esprimono può essere frutto di calcolo, non di incapacità. L’Italia ha sempre avuto, tra tutti i Paesi europei, un atteggiamento meno rigido nei confronti del regime iraniano. Una quasi comprensione. È valso una soluzione alla detenzione ingiusta di Cecilia Sala con la sua liberazione avvenuta prima di quanto in molti si aspettassero. È motivato, tra le altre cose, da rapporti economici che sono rimasti intensi e poco influenzati dalle varie crisi tra Occidente e Repubblica Islamica. Dall’altra parte, l’Italia non può che essere a fianco di un Israele minacciato nella sua stessa esistenza. L’appello alla moderazione – oltre a essere profondamente sensato – serve a poter mantenere questa ambiguità. La stessa che si usa per quello che succede a Gaza, dove si sostiene ancora la soluzione due popoli/due Stati ma non si riconosce lo Stato palestinese; si condannano le numerose sortite di Israele ben al di fuori del diritto internazionale ma non si mettono in campo sanzioni contro il governo Netanyahu. Forse ha fatto bene Tajani a ricordare in audizione, mentre parlava della guerra in corso tra Israele e Iran, come e quanto sia necessario un cessate il fuoco a Gaza. Anche se, a ben vedere, c'entra poco con la minaccia nucleare iraniana, indicata appena prima come la motivazione dell’attacco israeliano. Il punto di vista “aperto” del governo italiano è evidentemente legato a doppio filo alla moderazione invocata. Se il conflitto restasse a bassa intensità ed alta incertezza, quella apertura potrebbe essere ancora un vantaggio. Difficile però essere ottimisti. Da una parte perché un futuro fatto di moderazione sembra lontanissimo. Dall’altra perché per godere di qualche vantaggio bisogna giocare la partita. Anche qui, non sembra questo il caso.

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