Usa 2020, Partito Repubblicano: i candidati alle primarie che (forse) sfideranno Trump

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Gabriele De Palma

Donald Trump interviene al Republican National Committee - Getty Images

Sono più di 80 coloro che, ufficialmente, potrebbero sfidare il presidente in carica per la nomination tra i Repubblicani. Ma le primarie del partito potrebbero anche non tenersi e comunque nessuno sembra in grado di impensierire l’attuale inquilino della Casa Bianca

Sono ottantaquattro gli iscritti al registro della Federal Election Commission statunitense per le Primarie Repubblicane in vista delle elezioni presidenziali di fine 2020. Però nessuno tra coloro che si sono registrati ha al momento alcuna concreta possibilità di vittoria. E anche tra chi resta ancora in dubbio se scendere in campo o meno, non sembrano esserci avversari in grado di impensierire seriamente Donald Trump, che ha già anche anticipato tutti gli avversari presenti e futuri iniziando la sua campagna elettorale per la rielezione tempo fa. Insomma, le elezioni primarie per le presidenziali 2020 potrebbero addirittura non tenersi, o tenersi in pochi Stati federali.

I precedenti

Statisticamente, affrontare il Presidente uscente è impresa che si è rivelata improba per illustri predecessori, sia in campo repubblicano che democratico. Da Ronald Reagan, che ci andò più vicino di tutti nel 1976 ma non riuscì a sottrarre la candidature a un Presidente che non piaceva molto e non era nemmeno stato eletto come Gerald Ford; a Pat Buchanan, che sfidò senza successo Bush nel 1992. E non si segnalano eccezioni nemmeno tra i Democratici, dove persino il democratico Ted Kennedy – nonostante il supporto che da sempre accompagna la famiglia tra i progressisti – riuscì a sconfiggere un debole Jimmy Carter nel 1980. Insomma, non ce l'ha mai fatta nessuno.

RNC e Trump

A complicare ulteriormente l'impresa altri due fattori. Innanzitutto l'atteggiamento dimostrato finora dal Republican National Committee, l'organismo che assiste i candidati repubblicani alla Presidenza, ha più volte esplicitamente dichiarato di non avere alcuna intenzione di supportare eventuali sfidanti di Trump. Il messaggio lanciato ai sostenitori del partito è chiaro: non ha senso sprecare soldi in Primarie dall'esito scontato, molto meglio risparmiare le forze per la vera campagna Presidenziale, tutti uniti sotto il vessillo del Presidente uscente. E Trump nel frattempo è già pronto a controbattere qualunque  sfidante, forte di un patrimonio per la campagna elettorale da circa 40 milioni di dollari – più del doppio rispetto anche al suo più accreditato avversario tra i Democratici, Bernie Sanders – e sedici impiegati già attivi a tempo pieno a promuovere il secondo mandato.

I papabili

Nonostante le avversità, è innegabile ci sia più di un Repubblicano che preferirebbe votare un altro candidato, e non Trump. Diverse le voci che invocano uno sfidante ma a fronte di tante chiamate nessuno si è ancora fatto avanti proponendosi come l'antiTrump. Vediamo comunque chi, in teoria, potrebbe affrontare una campagna per le Primarie.

Bill Weld

Il più deciso tra gli indecisi. Ha attivato un comitato esplorativo per valutare l'opportunità di candidarsi alle Primarie a febbraio. Più volte sul punto di ufficializzare l'inizio della campagna elettorale, si è preso tempo fino a fine aprile per sciogliere le riserve, anche se in base alle ultime dichiarazioni rilasciate in New Hampshire sembrerebbe orientato a provarci davvero.
Weld è un politico di lungo corso, già Governatore del Massachusetts per due mandati negli ani '90. La sua carriera avrebbe dovuto proseguire come ambasciatore in Messico, ma contrasti con alcuni esponenti di vertice dei Repubblicani fecero naufragare la nomina. Lo si ritrova candidato alle Presidenziali del 2016, nelle fila del Partito Libertario a proporsi come vice per il candidato Gary Johnson (che raccolse poi il 3,27 per cento delle preferenze degli elettori statunitensi). Secondo gli osservatori di Five Thirty Eight in una scala da 1 a 5 (dove 4 è il massimo raggiunto solo da Reagan nel 1976) Weld arriverebbe a fatica al livello 2, subito sopra 'who is that?'. Venti anni senza incarichi pubblici di rilievo hanno il loro peso.

Larry Hogan

Classe 1956, attuale Governatore del Maryland, Hogan incarna la corrente centrista e moderata dei Repubblicani a stelle e strisce. Vanta un buon consenso soprattutto a livello locale, dove è stato il secondo Governatore repubblicano a essere rieletto per un secondo mandato nell'ultimo secolo. Molto critico nei confronti della politica di Trump sull'immigrazione, è giunto a richiamare la Guardia nazionale del Maryland impegnata sul confine messicano in protesta della divisione delle famiglie di profughi al confine Usa. Ha tutte le carte in regola per correre in futuro per la Casa Bianca, probabilmente non per scalfire la supremazia di un presidente uscente con tanto consenso.

John Kasic

Governatore dell'Ohio, alla riconferma dopo il primo mandato, John Kasic si è pronunciato contro Trump già nelle Presidenziali del 2016, arrivando persino a minacciare di votare la democratica Hillary Clinton (per ritrattare subito dopo). Il più liberal tra i Repubblicani, soprattutto per quanto riguarda i diritti della comunità LGBT e decisamente più sensibile rispetto all'amministrazione Trump nei confronti del riscaldamento globale, che riconosce come reale e che ha affrontato con alcune leggi a favore delle rinnovabili approvate nel suo Stato.

L'incognita

L'unica variabile che può modificare uno scenario che pare inciso nella pietra è l'incognita Mueller. E cioè l'esito che avrò l'indagine sul cosiddetto Russiagate che sta conducendo il procuratore Robert Muller. Per quel che si sa, Mueller ha scagionato il Presidente da collusioni con la Russia, ma non ha ancora raccolto abbastanza prove per decidere se abbia poi ostacolato le indagini a suo carico. Se il Mueller report incrinerà in qualche modo la fiducia dei Repubblicani in Trump, in quella fessura saranno in molti a volersi inserire. E, in quel caso, la lista di papabili andrà sicuramente aggiornata con personaggi di maggior rilievo nella politica Usa.

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