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Hong Kong, i motivi delle proteste e l'ombra dell'intervento di Pechino

Mondo
Foto Getty

Dal no a una legge (poi ritirata) sull'estradizione forzata in Cina alla richiesta di più democrazia: l'ex colonia britannica da alcuni mesi è in subbuglio. Proteste, feriti e arresti anche nel giorno del 70esimo anniversario della Repubblica popolare cinese

Da alcuni mesi Hong Kong è al centro di forti tensioni a causa di proteste di massa e manifestazioni contro il governo. Tutto è cominciato dall’opposizione a una legge controversa sulle estradizioni in Cina, che con il passare delle settimane si è trasformata in qualcosa di molto più grande. I milioni di cittadini che marciano puntualmente nell’ex colonia britannica chiedono fondamentalmente più democrazia. La maggior parte dei manifestanti sono pacifici, ma non mancano episodi di violenza. Il quartier generale del governo è stato preso d'assalto e l'aeroporto internazionale della città è stato bloccato varie volte. Intanto i disordini sono cresciuti nel corso delle settimane e a Pechino la temperatura si alza, facendo temere per un intervento militare della Cina. Ecco motivi e punti fermi sulle proteste a Hong Kong, verificatesi anche l'1 ottobre 2019, nel giorno del 70esimo anniversario della Repubblica popolare cinese. (SCONTRI E FERITI NEL GIORNO DEL 70ESIMO ANNIVERSARIO DELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE - FOTO - VIDEO).

Hong Kong, la sua storia e il suo status rispetto alla Cina

Hong Kong appartiene alla Cina, ma di fatto è una regione amministrativa speciale. Ha una sua moneta, un sistema politico e una sua identità culturale. Questo rapporto che mette insieme appartenenza e indipendenza è previsto dalla formula "Una Cina, due sistemi", espressione con cui si indica la soluzione negoziata per il ritorno nel 1997 di Hong Kong sotto la giurisdizione cinese, dopo che per 150 anni dalla fine della Guerra dell'Oppio era stata una colonia britannica. Oggi il sistema giuridico di Hong Kong rispecchia ancora il modello britannico e insiste sulla trasparenza e sul giusto processo. I principi sono garantiti dalla costituzione, la Basic Law, che si basa sulla Common Law e che tutela diritti diversi da quelli dei cinesi continentali. Tra questi ci sono il diritto di protestare, stampa libera e libertà di parola. In generale la legge stabilisce anche che la città abbia "un alto grado di autonomia" in tutti i campi eccetto la politica estera e la difesa. La Basic Law assicura "la salvaguardia dei diritti e le libertà dei cittadini" per 50 anni dopo la riconsegna alla Cina (fino al 2047).

L'inizio delle proteste

Ma molti residenti sostengono che Pechino stia già iniziando a violare questi diritti. Già nel 2014 Hong Kong era stata scossa da proteste durate quasi tre mesi, note come la "rivolta degli ombrelli". Le manifestazioni erano scaturite dalla decisione del Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo di Pechino di riformare il sistema elettorale di Hong Kong. La proposta, poi non adottata, è stata percepita come una misura estremamente restrittiva dell'autonomia della regione, perché comportava l'equivalente di una "preselezione" dei candidati alla leadership di Hong Kong da parte del Partito Comunista Cinese (Pcc). L'attrito tra gli abitanti di Hong Kong e la Cina continentale non è dunque una novità degli ultimi mesi. Questa percepita minaccia allo stato di diritto di Hong Kong ha fatto riaccendere il timore nell'ex colonia britannica innescando le proteste che finora, hanno visto centinaia di manifestanti finire in manette.

Le richieste dei manifestanti

I manifestanti hanno avanzato cinque richieste principali: la prima era il ritiro definitivo del disegno di legge che prevede l'estradizione verso la Cina e che poteva rappresentare un primo passo verso l'ingerenza cinese nel sistema giuridico di Hong Kong. Questa richiesta è stata accettata dalle autorità a inizio settembre, quando la governatrice Carrie Lam ha annunciato che la proposta di legge sulle estradizioni in Cina è "del tutto ritirata". Ma le proteste sono proseguite. Le altre richieste dei manifestanti sono: le dimissioni della stessa leader dell'esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam, che però non ha aperto a questa ipotesi. E ancora: un'inchiesta sulla brutalità della polizia durante le proteste e il rilascio dei manifestanti che sono stati arrestati. Infine, più in generale maggiori libertà democratiche.

La chiusura dell’aeroporto

A un certo punto, parte dei manifestanti ha lasciato le strade per trasferirsi all'aeroporto internazionale, ritenuto come un luogo più sicuro in cui riparare dagli scontri con la polizia. Almeno fino al 13 agosto, quando cinque mezzi carichi di poliziotti sono arrivati allo scalo dove erano riuniti migliaia di manifestanti (FOTO). I disordini che ne sono seguiti hanno spinto le autorità a emettere un'ingiunzione per impedire future proteste. Ma la scelta di manifestare all'aeroporto non è stata dettata solo da motivi di sicurezza: lo scalo di Hong Kong è uno dei più trafficati dell'Asia, protestare lì significa far sapere a tutto il mondo cosa sta succedendo a Hong Kong. Proprio per informare la comunità internazionale sono stati consegnati ai viaggiatori in arrivo volantini in cinese, inglese, francese, coreano, giapponese e in altre lingue spiegando le cause dei disordini e le richieste del movimento di opposizione.

Le conseguenze sull'economia

La Cina continentale è il principale partner commerciale di Hong Kong, ma la città è soprattutto un centro economico e finanziario internazionale che ha già mostrato alcune sofferenze a causa delle proteste. Secondo la Camera di commercio americana a Hong Kong, diverse società hanno riferito di "gravi conseguenze", anche per l'interruzione delle catene di approvvigionamento. Le aziende di Hong Kong, sia internazionali che locali, hanno anche subito pressioni e sono state accusate di simpatizzare con i manifestanti. I voli cancellati (circa 1.000 dall'inizio di agosto) hanno rappresentato un danno per le compagnie che operano nell'hub finanziario. L'aeroporto contribuisce per il 5% al Pil della città. Oltre 74 milioni di passeggeri hanno viaggiato da e per Hong Kong l'anno scorso. Lo scalo gestisce 1.100 voli passeggeri e merci ogni giorno e serve circa 200 destinazioni in tutto il mondo. Ma ora gli esperti temono che i viaggiatori inizino ad evitare la città.

Le reazioni del governo

Con il passare delle settimane i funzionari di Hong Kong e di Pechino sono diventati sempre più duri nei confronti delle proteste. Il capo dell'ufficio di gabinetto cinese, responsabile per gli affari di Hong Kong, Zhang Xiaoming, ha defiinito quanto sta succedendo a Hong Kong "la peggiore crisi dal 1997", cioè dal ritorno della città sotto il governo cinese. Yang Guang, portavoce dell'ufficio affari di Hong Kong e Macao, il principale organo cinese incaricato dei rapporti con la città, ha affermato che le proteste mostrano "segnali di terrorismo" etichettandole come la vera minaccia per lo stato di diritto. "I manifestanti di Hong Kong hanno ripetutamente attaccato gli agenti di polizia con strumenti estremamente pericolosi", ha detto. "Hanno già commesso crimini violenti e a mostrato atteggiamenti terroristici. Si tratta di una grave violazione dello stato di diritto e dell'ordine sociale, che sta mettendo in pericolo la vita e la sicurezza dei cittadini di Hong Kong". Dall’altra parte manifestanti e cittadini denunciano le violenze delle forze dell’ordine, gli arresti e il divieto da parte delle stesse di scendere in piazza in alcune occasioni (LANCIO DI LACRIMOGENI CONTRO I MANIFESTANTI).

Su Hong Kong l’ombra dell’intervento militare di Pechino

Da metà agosto Pechino ha schierato contingenti di truppe armate a Shenzhen, sul confine continentale di Hong Kong. Si sta lentamente avvicinando il momento per l’ex colonia britannica di cominciare a negoziare con Pechino per mantenere anche solo una minima parte del grado di autonomia di cui ora gode. Per la Cina, stabilità e sicurezza sono legate a doppio filo con i propri obiettivi di sviluppo economico, e proprio per questo Pechino le ritiene fondamentali: alla luce delle proteste di questi giorni, c'è il rischio concreto che in nome della stabilità la leadership comunista cinese accentui il livello di risolutezza nei confronti della società civile di Hong Kong, incrementando nel corso dei prossimi anni le ingerenze in un territorio considerato come "instabile". Il timore è quindi che la Cina possa ordinare un intervento di forza.

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