Introduzione
Avviata l'attuazione della prima fase del piano del presidente americano Trump, ecco le prossime tappe per riportare la pace a Gaza ed avviare la ricostruzione materiale e istituzionale della Striscia. Ma ci sono alcuni interrogativi ancora da chiarire.
Quello che devi sapere
Ritiro (parziale) dell'Idf
Il ritiro (parziale) dell'Idf è già stato completato, come previsto, entro 24 ore dal cessate il fuoco. L'esercito israeliano ha arretrato fino alla cosiddetta "linea gialla", ma resta tuttavia a Rafah e controlla ancora il 53% del territorio della Striscia. Per ora, dunque, i militari dello Stato ebraico si sono attestati lungo la linea concordata nella prima fase, ma il ripiegamento definitivo dipenderà dai progressi nell'ambito dell'accordo. Secondo la stampa, Hamas ha avuto chiare garanzie da Trump che Israele non riprenderà la guerra una volta ottenuti gli ostaggi. Ma non è chiaro cosa potrebbe accadere se emergeranno divergenze tra le parti sul rispetto dei termini dell'intesa.
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Riconsegna degli ostaggi
La riconsegna degli ostaggi da parte di Hamas deve avvenire entro 72 ore dal cessate il fuoco, quindi entro la fine della mattinata di lunedì 13 ottobre. Ma se per i venti ostaggi israeliani ancora vivi la scadenza dovrebbe essere rispettata, ci potrebbe volere più tempo per la restituzione dei corpi dei rapiti uccisi dai miliziani o morti sotto le bombe dell'Idf. La loro localizzazione, infatti, è un punto interrogativo.
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Task force per ritrovare i corpi
Hamas ha dichiarato di non conoscere la posizione di nove ostaggi ed è stato concordato di formare una forza internazionale composta da Israele, Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia che, con l'assistenza della Croce Rossa, cercherà di individuare tutti i resti. Questo meccanismo, sottolinea il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, apparentemente deve ancora essere formalizzato e in Israele si teme che alcune tombe non saranno mai trovate. Leah Goldin, la madre di Hadar, soldato rapito e ucciso durante l'operazione a Gaza nel 2014, ha detto che "se non verranno restituiti tutti i morti, la prossima guerra è dietro l'angolo". Il timore della donna è che "Hamas dirà di non sapere dove siano i morti israeliani per usarli come merce di scambio contro Israele nella prossima guerra che sta pianificando".
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Liberazione dei detenuti palestinesi
Una volta riconsegnati gli ostaggi israeliani, si apriranno le porte delle carceri israeliane per quasi duemila detenuti palestinesi (250 condannati all'ergastolo e circa 1.700 abitanti di Gaza detenuti dopo l'attacco del 7 ottobre 2023). Nella lista pubblicata, non compaiono i cosiddetti "Big Seven", ossia le figure ritenute più pericolose, da Marwan Barghouti ad Ahmad Saadat.
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L'arrivo di Trump
Il presidente americano Trump dovrebbe atterrare in Israele lunedì 13 ottobre, in mattinata, per poi tenere un discorso davanti alla Knesset, il Parlamento israeliano. È inoltre prevista la sua presenza in Egitto per la cerimonia ufficiale della firma dell'accordo.
Secondo round di negoziati
Dopo la firma dell'accordo di pace, partiranno nuovi negoziati per attuare la seconda fase del piano Trump. La tabella di marcia prevede: il disarmo di Hamas, il ritiro dell'Idf dietro la cosidetta "linea rossa" (più esterna di quella gialla), l'istituzione di una zona cuscinetto tra la Striscia di Gaza e lo Stato ebraico, la creazione di un'amministrazione provvisoria internazionale a guida Usa, l'istituzione di una Forza internazionale di stabilizzazione (Isf) con partner arabi e internazionali.
Disarmo di Hamas
Già il primo punto di questo secondo round di negoziati, ossia il disarmo di Hamas, porta con sé diversi interrogativi. Il gruppo terroristico islamista, infatti, si è sempre opposto a questa richiesta e resta da capire su quali termini si troverà un accordo, chi ne sarà garante e come si potrà certificare l'avvenuta consegna delle armi. Già nei giorni precedenti all'annuncio dell'intesa, alcune fonti di Hamas avevano parlato ai media di una differenza tra armi pesanti e armi "difensive".
La governance futura di Gaza
Non solo il disarmo di Hamas: un altro punto da chiarire è la questione della governance futura di Gaza e, connessa a questa, della sicurezza. Nel piano in venti punti di Trump si parla di un "Consiglio di Pace" presieduto dallo stesso capo della Casa Bianca, del quale faranno parte diversi membri ancora da nominare. L'unico nome fatto finora è quello dell'ex primo ministro britannico Tony Blair. Ci si attende che ne faranno parte anche esponenti di Paese arabi e musulmani, così come di organizzazioni internazionali, che possano anche contribuire finanziariamente alla ricostruzione.
L'organismo internazionale
Questo organismo internazionale supervisionerà un governo di transizione temporaneo con tecnocrati palestinesi ed esperti internazionali che gestirà la fornitura dei servizi essenziali, in attesa che l’Autorità nazionale palestinese attui le profonde riforme richieste. Accanto a questo, ci dovrebbe essere una forza panaraba da schierare nell'enclave palestinese: si è parlato della partecipazione dell'Indonesia e dell'invio di truppe insieme agli Emirati e ad altri Stati, forse anche all'Arabia Saudita. Questa forza dovrà essere pienamente coordinata con Israele, e resta da capire come faranno queste forze armate ad assumersi la responsabilità del territorio e con quali regole di ingaggio.
Ricostruzione della Striscia
Dopo il secondo round di negoziati, è prevista la ricostruzione della Striscia, andata completamente distrutta dopo due anni di bombardamenti a tappeto e violenti combattimenti. Serviranno decine di miliardi di dollari: un "affare" che vede l'interesse di diversi attori internazionali, tra cui la stessa famiglia Trump, ma anche Turchia e Paesi del Golfo. E anche qui si pone un problema di sicurezza, con la necessità di garantire che, al contrario del passato, il flusso di denaro non venga deviato verso la ricostruzione di tunnel e altre infrastrutture terroristiche di Hamas.
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I bisogni della popolazione
Strettamente legato a ciò, ci sono le necessità della popolazione civile. La Striscia è stata distrutta quasi completamente: non c’è praticamente un solo edificio integro in tutta l'enclave. Quasi tutta la popolazione è stata sfollata, la stragrande maggioranza ha perso la casa e dovrà continuare a vivere in tendopoli per molto tempo, tra forti disagi, creando una situazione potenzialmente esplosiva. Gli aiuti umanitari in entrata a Gaza aumenteranno fino a 600 camion al giorno.
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Le relazioni regionali
Nella lista dei nodi da sciogliere c'è poi quello del futuro delle relazioni regionali, del possibile allargamento degli Accordi di Abramo, del ritorno alla normalizzazione dei rapporti tra Israele e Turchia e la speranza dei palestinesi di uno Stato indipendente. Nel piano Usa si fa riferimento alla possibilità che si creino le "condizioni per un percorso credibile verso l'autodeterminazione e la sovranità palestinese". Gli Stati Uniti "stabiliranno un dialogo tra Israele e i palestinesi per concordare un orizzonte politico per una coesistenza pacifica e prospera", si legge nel documento. Ma resta da vedere come questa visione potrà trovare una sua realizzazione, a fronte della convinzione del premier israeliano Benjamin Netanyahu, più volte ribadita, che "uno Stato palestinese non ci sarà mai".
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