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Mohammed bin Salman, l'erede al trono saudita che studia da autocrate

Mondo

di Rolla Scolari

©IPA/Fotogramma

L'anziano re Salman viaggia sempre meno. Al suo posto, ai tavoli che contano, si siede il giovane delfino: un modernizzatore dalle pericolose ambizioni

Aveva già 79 anni quando è diventato sovrano: era il 2015, e re Salman succedeva al fratellastro Abdullah. Salman era allora una figura politica ben conosciuta dalle cancellerie internazionali per aver guidato per 48 anni la provincia di Riad, ed essere stato dal 2011 ministro della Difesa dell'Arabia Saudita.

L'avvento di bin Salman

Figlio del fondatore del regno, re Abdulaziz Ibn Saud, è salito al trono promettendo continuità. Così non è stato: una sua decisione ha cambiato infatti molto presto le sorti del regno e i delicati equilibri di corte. Sconvolgendo i complicati ingranaggi che reggono la successione al trono, nel 2017 re Salman ha nominato principe ereditario il giovane figlio, Mohammed bin Salman, MBS, già ministro della Difesa. Da misterioso principe, che prima di allora aveva raramente incuriosito le cronache internazionali, MBS in breve tempo si è fatto conoscere nel mondo, e non soltanto per l'acquisto di un finto castello del XVII secolo alle porte di Parigi per 300 milioni di dollari, avvenuto mentre in patria predicava la lotta alla corruzione e l'austerità. In quegli stessi mesi, infatti, MBS ha sollevato l'attenzione internazionale come possibile leader riformatore di un regno ultra-conservatore, in cui la vita è retta da strette norme religiose.

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Un autocrate

Con il passare tempo, però, è stata un'altra realtà ad affiorare: quella di un autocrate dalle incontrollate ambizioni. È MBS, come ministro della Difesa, a lanciare in chiave anti-iraniana il tragico conflitto in Yemen. È ancora lui a gestire la vasta operazione anti-corruzione che nel 2017 sconvolge la notte di Riad, con gli arresti di decine di ex ufficiali dell'esercito, ministri passati e in carica, e soprattutto undici membri della stessa famiglia reale. E secondo un rapporto dell'intelligence americana, reso pubblico dall'amministrazione Biden, proprio Mohammed Bin Salman avrebbe approvato la barbara uccisione del giornalista saudita, critico del suo operato, Jamal Khashoggi: nel 2018, l'uomo è stato ammazzato e il suo corpo smembrato all'interno del consolato saudita di Istanbul.

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Il piano Vision 2030

Eppure, le prime mosse di MBS avevano sollevato speranze: nel 2016 aveva presentato un ambizioso piano, Vision 2030, che prevede riforme economiche e strutturali per sganciare l'Arabia Saudita dalla dipendenza dal petrolio, avanzando anche riforme strutturali e sociali con l'obiettivo di aprire il Paese agli investitori stranieri. L'abolizione - fuori tempo massimo - del divieto di guida alle donne era valsa al principe ereditario le lodi internazionali. Poco dopo, le attiviste che per anni avevano lottato per ottenere quel diritto, ultime al mondo, erano state incarcerate. Il messaggio era chiaro: il cambiamento nel regno non arriva dalla base ma dall'alto, dosato dai sovrani.

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Un trono strategico

Terminata l'amministrazione Trump, docile nei confronti di Riad, con l'avvento del meno amichevole Joe Biden i toni e le azioni di MBS sembrano essersi smussati, ma non le ambizioni politiche. Considerato che il padre Salman è troppo anziano, non viaggia più e non è certa la sua presenza a Roma, i cruciali appuntamenti del G20 e della Cop26 sono un palcoscenico cui MBS ambisce. Il principe, dopo essere stato ricevuto per anni da politici e uomini d'affari nelle capitali internazionali o negli uffici della Silicon Valley, genera oggi imbarazzo nei corridoi del potere. Restando però l'erede a un trono strategico: quello di un regno che siede sulle riserve di petrolio più vaste del mondo, seconde soltanto a quelle del Venezuela.

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