Pensioni, più penalizzate da inflazione quelle sopra i 2.500 lordi: l'analisi
EconomiaQuesta la fotografia scattata da Itinerari Previdenziali e Cida, secondo cui il sistema della perequazione automatica, con modifiche subite in diverse occasioni, si è tramutato "in una riduzione strutturale, e non più recuperabile, del valore delle prestazioni", penalizzando le pensioni più alte. La perdita legata alla mancata rivalutazione sarebbe quantificabile nei prossimi 10 anni in almeno 13mila euro
La Legge di Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026, specia a causa dell'elevato influsso dell'inflazione del biennio 2023-2024, ha particolarmente penalizzato i pensionati con trattamenti sopra i 2.500 euro lordi, meno di 2.000 euro al netto. È questa la fotografia scattata da Itinerari Previdenziali e Cida, secondo cui il sistema della perequazione automatica, con modifiche subite in diverse occasioni, si è tramutato "in una riduzione strutturale, e non più recuperabile, del valore delle prestazioni", penalizzando le pensioni più alte. La perdita legata alla mancata rivalutazione sarebbe quantificabile nei prossimi 10 anni in almeno 13mila euro. Un valore, segnala anche "Il Sole 24 Ore", che potrebbe anche salire in via progressia sino a toccare quota 115mila per i percettori di assegni oltre i 10mila euro lordi (6.000 circa al netto). I dati sono stati presentati in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate centrata sulla “Svalutazione delle pensioni in Italia”. Il fulcro dell'analisi ha puntato proprio l'attenzione sul sistema della perequazione automatica che, anche a causa di modifiche subentrate nel tempo, si è tramutato "in una riduzione strutturale, e non più recuperabile, del valore delle prestazioni", penalizzando proprio le pensioni più alte.
Una "contraddizione evidente"
Secondo Stefano Cuzzilla, presidente di Cida, ci troviamo di fronte ad una "contraddizione evidente", considerando che "1,8 milioni di pensionati con redditi da 35mila euro in su, poco meno del 14% del totale, garantiscono da soli il 46,33% dell’Irpef dell’intera categoria, eppure sono proprio loro i più colpiti dai tagli e dalla mancata rivalutazione. Al contrario, chi ha versato pochi o nessun contributo è stato pienamente tutelato dall’inflazione", ha spiegato. "Malgrado l’avvicendarsi di esecutivi di varia appartenenza politica e tecnica, negli anni tagli, blocchi e 'contributi di solidarietà' si sono susseguiti in modo sistematico determinando una perdita crescente del potere d’acquisto anche del 10-12% nell’arco di un decennio, e soprattutto diventando più una leva contabile che uno strumento di giustizia previdenziale", ha proseguito Cuzzilla.
L'analisi
Secondo l'analisi proposta, con il 2022 il quadro sembrava essersi fatto più favorevole, con l’occasione della successiva manovra finanziaria,ma poi il governo presieduto da Giorgia Meloni è intervenuto sul biennio 2023-2024, prevedendo un meccanismo che rivalutava del tutto le pensioni sociali, gli assegni sociali e le pensioni al minimo ma allo stesso tempo peggiorava lo schema di rivalutazione delle prestazioni più alte. "Cosa ancora più grave è che la perequazione sfavorevole è stata applicata sull’intero reddito pensionistico e non per scaglioni: giusto per fare un esempio riferito al 2023, un pensionato con una rendita pari tra 2.627 e 3.152 euro si è visto rivalutata l’intera pensione al 4,3% (a fronte di un tasso di inflazione definitivo dell’8,1%), e non la sola quota eccedente le 5 volte il TM", ha commentato Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e curatore dello studio.
Gli scaglioni su uno schema a tre fasce
In tutto ciò, hanno riferito gli esperti, solamente con il 2025, con l’attenuazione dell'inflazione, si è tornati all’applicazione a scaglioni su uno schema a 3 fasce. E, inoltre, si è assistito ad una svalutazione delle pensioni di oltre il 21% nell’arco di 14 anni. Ecco un esempio concreto, secondo quanto emerso dall'analisi. Nel periodo di tempo preso in esame una pensione da 10.000 euro lordi (circa 6.000 netti) ha perso quasi 178mila euro, mentre una pensione da 5.500 euro lordi mensili (circa 3.400 euro netti) ha subito una perdita pari a circa 96mila euro. Considerando "l’effetto trascinamento, questo significa che i cosiddetti pensionati del ceto medio, oltre a sobbarcarsi il grosso dei 56 miliardi di Irpef in arrivo dalle pensioni, si vedranno ingiustamente sottratti altri 45 miliardi circa", ha concluso Brambilla.