Milei e la dollarizzazione dell'Argentina, tutti i rischi: cosa potrebbe accadere
Per il Paese latino americano si tratta di una sfida a dir poco difficile perché la gestione economica degli ultimi anni ha praticamente azzerato le riserve della banca centrale argentina. Non sarà quindi semplice per il nuovo governo reperire la liquidità iniziale per mettere in circolazione i dollari
- L'idea del neo presidente dell'Argentina Javier Milei per risollevare l'economia del suo Paese è sempre stata chiara: affiancare il dollaro statunitense al peso per poi procedere ad una graduale sostituzione. L'obiettivo della cosiddetta "dollarizzazione" è quello di porre fine a un'inflazione tra le più alte del mondo, arginare le fughe di capitali, ridurre il costo dell’indebitamento internazionale, aumentare la fiducia degli investitori esteri e stimolare la crescita
- In Argentina l'inflazione è un problema enorme: a ottobre è stato registrato un tasso di inflazione del 142,7% mentre nel mese di settembre era al 138,3%. Numeri coerenti con la media mantenuta negli anni tra il 1944 e il 2023 (189,81%), ma con picchi altissimi come il 20.262,8% registrato nel marzo del '90. L'obiettivo della dollarizzazione è di eliminare il rischio di svalutazione, riducendo debito e inflazione e avvicinando sempre di più il Paese all'Occidente
- Si tratta di una sfida a dir poco difficile perché la gestione economica degli ultimi anni ha praticamente azzerato le riserve della banca centrale argentina. Non sarà quindi semplice per Milei e il suo governo reperire la liquidità iniziale per mettere in circolazione i dollari
- In ogni caso, non sarebbe la prima volta che un Paese dell'America Latina passa al dollaro, con risultati non sempre in linea con le aspettative. Si è sempre trattato però di paesi di dimensioni ridotte: mai un Paese grande come l'Argentina, terza economia dell'America Latina con oltre 46 milioni di abitanti, aveva ipotizzato di passare al dollaro
- Nel mondo sono undici i paesi dove il dollaro Usa ha sostituito la moneta nazionale, alcuni proprio in America latina come Ecuador e Salvador. In Africa c’è lo Zimbabwe che però ha annunciato una parziale retromarcia
- Poiché esistono dei precedenti, la dollarizzazione è stata oggetto di molti studi, sia teorici sia empirici. Secondo lo studio "Full Dollarization. The Pros and Cons” di Andrew Berg, Eduardo Borensztein, citato dal Corriere della Sera, la dollarizzazione non è quasi mai uno strappo, una rottura traumatica, il più delle volte accade in paesi dove nei fatti il dollaro è già stato adottato largamente come sostituto di una valuta nazionale a cui nessuno crede più
- Secondo gli studiosi la "regola" vale per altri paesi emergenti, così come per l’Argentina: quando l’iperinflazione riduce le banconote nazionali a carta straccia, chi può si tutela e molte operazioni avvengono in una valuta forte. Quindi la dollarizzazione estende e rende ufficiale un processo che è già cominciato in forma strisciante nella vita di tutti i giorni
- Nel caso dell’Argentina, secondo il Corriere l’ostacolo principale alla dollarizzazione è il salto iniziale. Per togliere dalla circolazione la propria moneta e sostituirla con il dollaro, una nazione deve poter comprare dollari ma, come già accennato, la gestione economica dei governi precedenti ha pressoché azzerato le riserve della banca centrale argentina
- Quindi con quali risorse Milei potrebbe procurarsi la liquidità iniziale in dollari? L'ipotesi più plausibile è che intenda destinare a questo i proventi delle privatizzazioni annunciate, ma non è chiaro quanto valgano
- Secondo il Corriere della Sera è prevedibile che comincerà una stagione di agitazioni sociali contro i piani drastici di Milei per ridurre la spesa pubblica
- La dollarizzazione potrebbe anche portare a dei risvolti internazionali. L’Argentina era stata ammessa a far parte dei Brics, il club dei paesi emergenti che all’origine include Brasile, Russia, India, Cina Sudafrica. L’allargamento dei Brics era stato voluto soprattutto dal leader cinese Xi Jinping per trasformare il "club" in un "contro-G7", in contrapposizione con gli Stati Uniti. Anche il brasiliano Lula era d'accordo, ma i due ora avranno a che fare con nuovo leader filo-Usa che vuole il dollaro come moneta unica del proprio paese