Job hopping, il 6% dei lavoratori "salta" da un’occupazione all’altra: i dati
Insieme al fenomeno delle “grandi dimissioni”, esploso durante gli anni del Covid, si fa strada la tendenza dei lavoratori più giovani a passare da un lavoro all’altro. Un fenomeno che interessa soprattutto chi lavora nell’ambito digitale e gli uomini, e che è anche figlio della poca soddisfazione degli occupati italiani. A fotografare il fenomeno è uno studio di Randstad per "Il Sole 24 Ore"
- Saltare da un lavoro all’altro: un fenomeno che in inglese viene definito job hopping e va a braccetto con la great resignation, esplosa durante gli anni del Covid
- In Italia il cambio frequente di lavoro riguarda un milione di lavoratori, circa il 6% del totale. Una tendenza ancora di nicchia, che interessa soprattutto alcune fasce d’età e determinati settori
- Secondo uno studio Ranstad per Il Sole 24 Ore a cercare nuove esperienze professionali sono soprattutto i Millennials - nati tra il 1981 e il 1995 - e i professionisti del digitale
- Ma perché succede? Nel mondo dell’Ict il job hopping è legato all’esplosione della domanda di lavoratori a livello globale, che ha permesso ai professionisti disponibili sul mercato di effettuare un gioco al rialzo rispetto al salario e alle condizioni lavorative
- Anche le aziende però ne traggono vantaggio: le società It che ricevono job hoppers sono portate a investire maggiormente in tecnologie, facendo lievitare la propria produttività del 20/30 per cento
- Ma come si misurano i job hoppers? Ranstad ha analizzato i lavoratori dipendenti che hanno cessato il proprio contratto a meno di due anni dalla sua attivazione in maniera volontaria. Nel 2021 i job hoppers sono stati più di 900mila, in diminuzione sia rispetto al 2015 (quando erano circa 850mila), che al 2011, quando erano più di un milione
- I valori maggiori sono solitamente quelli dei più giovani mentre scalano con l’avanzare dell’età. “Questa maggiore dinamicità può essere dovuta a caratteristiche fisiologiche: in età più matura la stabilità rappresenta un valore più ricercato, mentre in età più giovani si è alla ricerca del proprio percorso di carriera”, hanno spiegato i ricercatori di Ranstad a Il Sole 24 Ore
- Dopo un periodo di appannamento nel 2019, la tendenza del job hopping nel 2022 si è nuovamente indirizzata verso l’alto
- Anche analizzando la serie storica della popolazione per genere si nota che la tendenza è quella di risalire verso i livelli dei primi anni analizzati. Inoltre le donne hanno valori sempre più bassi rispetto agli uomini, probabilmente perché riscontrano maggiore difficoltà ad accedere al mercato del lavoro. Anche in questo caso la tendenza è in risalita per il 2022
- Come evidenziano i dati, le donne tendono a rimanere nello stesso settore leggermente più degli uomini: nel 2021, su 10 donne che hanno cambiato lavoro, circa 5,8 sono rimaste nello stesso settore
- Sempre nel 2021, su 10 uomini che hanno cambiato lavoro sono invece circa 4,8 quelli che sono rimasti nello stesso settore
- Rispetto al titolo di studio, fino al 2019 i lavoratori con diploma o titolo superiore tendevano a cambiare settore in misura maggiore rispetto ai lavoratori in possesso di licenza elementare. Con il Covid questa tendenza continua per chi possiede il diploma, mentre sembra essersi attenuata per i lavoratori in possesso di laurea o titolo di studio superiore e a oggi non si notano particolari differenze
- Gli occupati italiani figurano agli ultimi posti nella classifica stilata dalla European social survey, l’indagine che mette a confronto 30 Paesi europei, sia Ue che extra Ue, per quanto riguarda la soddisfazione lavorativa
- Solo 47 occupati su 100 dichiarano elevati livelli di soddisfazione, 7 punti percentuali sotto la media europea e distanti anni luce dalle percentuali del 71% e oltre di Paesi come Finlandia, Islanda, Olanda, Norvegia, Belgio. Di fatto, meno contenti di noi sono solo Grecia, Serbia, Polonia, Repubblica Ceca e Spagna