Inflazione, in alcuni Paesi europei gli stipendi sono indicizzati ai prezzi: ecco dove
In Italia la "scala mobile", l’adeguamento automatico dei salari alla luce degli aumenti dei costi di alcune merci, è stata abolita nel 1992. Anche nella maggior parte del Vecchio Continente è un meccanismo che non c’è più - come spiega lo studio legale Daverio&Florio in un’analisi per Il Corriere della Sera - con due eccezioni: Belgio e Lussemburgo
Un punto percentuale degli stipendi delle famiglie italiane è "mangiato" dai tassi d'interesse su mutui, prestiti e credito al consumo. La stima arriva dalla Fabi, secondo cui la quota delle rate rispetto al reddito disponibile è passata dal 9,50% del 2019 al 10,55% di marzo scorso e, visti i successivi aumenti del costo del denaro, questa percentuale, è destinata salire
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L'impoverimento colpisce maggiormente le fasce più fragili proprio perché più a rischio insolvenza e lo scarso livello di affidabilità finanziaria si traduce nella "penale" di costi più alti. Ne è un chiaro esempio il caso dei mutui, con l'Italia - spiega Fabi - che appare divisa in due: i prestiti per comprare casa sono meno cari al Nord, mentre gli interessi sono alle stelle nel Mezzogiorno e nelle Isole
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I tassi praticati dalle banche, sottolinea Fabi, sono più salati per le famiglie italiane che vivono nelle regioni economicamente meno sviluppate (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Puglia) oltre che in Sardegna e Sicilia
Taglio del cuneo fiscale, cosa sapere dell'aumento in busta paga
In Italia un tempo c’era la "scala mobile": gli stipendi venivano indicizzati automaticamente alla luce degli aumenti dei prezzi di alcune merci, con l’obiettivo di contrastare la diminuzione del potere d'acquisto legata all'aumento del costo della vita
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La "scala mobile" in Italia è stata abolita definitivamente nel 1992 con un protocollo triangolare di intesa tra il Governo Amato I e le parti sociali. Negli anni successivi ci sono state diverse proposte per reinserirla, ma nessuna è andata a buon fine
Salario minimo in Italia: i pro e i contro
Anche nella maggior parte dei Paesi europei gli stipendi non sono indicizzati automaticamente all’inflazione, ma c’è qualche eccezione. Lo rileva lo studio legale Daverio&Florio, specializzato nel Diritto del Lavoro e nel Diritto della Previdenza Sociale, in un’analisi per Il Corriere della Sera
L'approfondimento de Il Corriere della Sera
Come spiega l’approfondimento pubblicato sul quotidiano di via Solferino, ad esempio in Svezia e nei Paesi Bassi non c’è alcun obbligo di indicizzazione. Mentre in Danimarca l’adeguamento può essere parte della contrattazione collettiva, ma in ogni caso non sussiste un vincolo
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In Belgio invece l’adeguamento dei salari c’è ancora, motivo per cui nel 2023 il potere d’acquisto nel Paese non è calato rispetto all’anno precedente. Ma, spiega Il Corriere della Sera, c’è un rischio: quello della spirale prezzi-salari che prolungherebbe gli effetti dell’inflazione danneggiando tutta l’Eurozona
L’altra eccezione è il Lussemburgo, dove gli stipendi vengono indicizzati se l’indice dei prezzi al consumo aumenta o diminuisce del 2,5% nei sei mesi precedenti
Per far fronte all’inflazione, alcuni Paesi in cui non c’è l’indicizzazione hanno stabilito un aumenti degli stipendi. È accaduto in Germania - +5-5,5% per i dipendenti pubblici - in Francia e in Spagna (+9,5% in tre anni per i dipendenti pubblici)
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