
Statali, cosa cambia per il Trattamento di fine servizio. Inps: “Lecito ritardarlo”
La Corte Costituzionale è chiamata a esprimersi sul tema – i ritardi fino a sette anni nel pagamento della liquidazione per i dipendenti pubblici – fra una decina di giorni. I legali dell’Istituto sottolineano la differenza fra Tfs e Tfr, ma gli avvocati dei lavoratori non sono d’accordo

Il prossimo 9 maggio la Corte Costituzionale deciderà in merito alla liquidazione dei dipendenti pubblici. Questo il punto: è lecito pagarla con ritardi fino a sette anni? Come ricorda Il Messaggero, l’Inps in una memoria difensiva aveva espresso la propria opinione positiva
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In questo modo – dicono i legali – è possibile ricevere l’assegno anche prima dei sette anni, purché l’interessato faccia domanda di finanziamento agli uffici Inps
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I legali pongono poi una distinzione fra Trattamento di fine servizio – Tfs – e Trattamento di fine rapporto, il Tfr. Il primo è pagato agli statali assunti fino al 31 dicembre 2000 ed è pari grosso modo all’80% dell’ultima retribuzione

Chi è stato assunto dal 2001, invece, percepisce il Tfr come nel privato: si tratta di una trattenuta mensile in percentuale allo stipendio. Ed è questo, spiegano sempre gli avvocati dell’Inps, che può essere soggetto alle stesse regole del settore privato. Solo quest’ultimo, perciò, portrebbe essere pagato subito. Non il Tfs

Sta alla Corte Costituzionale accettare o meno questa tesi. In caso di via libera si profila per lo Stato un sostanzioso risparmio. Da precisare che nessun lavoratore pubblico assunto con Tfr ha ancora chiesto la liquidazione (non hanno raggiunto ancora i requisiti necessari)

Nel corso del prossimo anno andranno in pensione 150mila statali. Secondo i calcoli de Il Messaggero, dovrebbero ricevere in tutto 10,5 miliardi dal Tesoro in tutto

Tuttavia, i legali di un iscritto al sindacato Confsal-Unsa ricordano come sia stata la stessa Corte Costituzionale nella sentenza 159 del 2019 a sottolineare la sostanziale sovrapposizione fra Tfs e Tfr

Secondo i giudici infatti entrambe le indennità accompagnano il lavoratore nella fase di uscita dal mondo del lavoro e sono “corrisposte al momento della cessazione dal servizio”. La Consulta, ai tempi, aveva ammesso qualche eccezione per chi esce con vie anticipate, ma non per chi sceglie la via ordinaria
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