Embargo al petrolio russo, tutte le incognite

Economia

Simone Spina

Scattate le nuove sanzioni Ue per tentare di limitare i finanziamenti di Mosca alla guerra in Ucraina. Al divieto di importare via nave il greggio nel Vecchio Continente si aggiunge il tetto al prezzo, valido anche nei Paesi del G7 e Australia. L'Opec per il momento non taglia la produzione ma la crisi economica globale e la frenata della Cina potrebbero far cambiare idea. Anche dai prezzi dell'oro nero dipende il costo dell'energia e l'inflazione

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Sono tutti da vedere gli effetti dell’embargo europeo all’acquisto di petrolio russo via mare e il tetto al prezzo del greggio di Mosca. La loro entrata in vigore il 5 dicembre, voluta per tentare di limitare il Cremlino nel finanziare la guerra in Ucraina come fatto mesi fa da Stati Uniti e Regno Unito, è piena di incognite.

Stop alle navi e tetto a 60 dollari

Bruxelles vieta l’acquisto dell’oro nero che arriva con le navi (non tramite oleodotti) e, contemporaneamente, si fissa un prezzo limite di 60 dollari al barile (non molto più basso delle attuali quotazioni) nell'Ue, nei sette Paesi più ricchi del Pianeta (il G7) e in Australia. In pratica, il greggio russo potrà essere ancora trasportato con imbarcazioni europee o degli altri Stati che aderiscono alle sanzioni solo se il carico viene acquistato entro il tetto fissato.

La strategia del Cremlino

Mosca, secondo produttore al mondo di petrolio, ha però dichiarato che non venderà a chi ha adottato le restrizioni, che – secondo la Commissione europea – bloccheranno il 94 per cento del greggio destinato al Vecchio Continente. C’è da dire che sono sempre possibili triangolazioni per aggirare i divieti: se il greggio russo venisse – per esempio – ceduto a una compagnia indiana e poi fatto sbarcare nel Mediterraneo sarebbe difficile scoprirne l'identità; inoltre, per benzine e altri prodotti raffinati non ci sono barriere fino al 5 febbraio.

Opec prudente ma pronta a cambiare idea

La linea della prudenza decisa dall’Opec (il cartello che riunisce molti dei maggiori produttori) di mantenere inalterate le esportazioni dovrebbe intanto evitare scossoni sui prezzi. Questa scelta, presa in una riunione alla quale ha partecipato il blocco dei Paesi alleati all’Opec di cui fa parte la Russia, ha evitato di irritare gli Usa. Ma è possibile che si cambi idea nei prossimi mesi.

Il rischio di un'impennata dei prezzi

Il timore dell'organizzazione a guida saudita è un calo delle quotazioni sui mercati internazionali, una circostanza resa più concreta dalla paura di una recessione economica globale e dalla frenata della Cina, primo importatore al mondo. Tagliare le estrazioni comporterebbe un aumento dei costi per chi lo compra (Italia compresa) e renderebbe più lontana la speranza di un raffreddamento dell’inflazione.

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