Introduzione
Il Decreto sugli acconti Irpef è diventato ufficialmente legge: martedì 17 giugno ha incassato il via libera dalla Camera dei Deputati, con 153 voti favorevoli, nessun contrario e 101 astenuti. Mercoledì 11 giugno era arrivata l'approvazione da parte dell'Aula del Senato. Il testo, con disposizioni urgenti in materia di acconti Irpef dovuti per l'anno 2025, è un intervento necessario per sistemare un disallineamento della riforma fiscale del 2023 che prevedeva riduzione di aliquote e ampliamento della no tax area limitatamente all’anno 2024.
Il decreto mette fine a mesi di incertezze e polemiche, soprattutto da parte dei Caf e dei sindacati, preoccupati per le ricadute sui contribuenti di un vulnus normativo che sarebbe pesato sulle tasche di dipendenti e pensionati. Ora tutti coloro che non percepiscono redditi aggiuntivi non saranno tenuti a versare alcun acconto Irpef per l'anno prossimo. Ecco cosa prevede nello specifico.
Quello che devi sapere
Cosa prevede il decreto Irpef
Solo in riferimento all’anno 2024, il decreto prevede la norma che escludeva la rimodulazione Irpef dal calcolo degli acconti. Viene corretto lo squilibrio nato con la riforma fiscale 2023, che aveva ridotto le aliquote Irpef e alzato la no tax area per i lavoratori dipendenti. Corretta la normativa riguardante il calcolo degli acconti Irpef anche per l’anno in corso. La misura, composta da due articoli, è già in vigore dal 24 aprile e punta a garantire coerenza tra la nuova struttura dell’Irpef – entrata a regime con la legge di bilancio – e le modalità di pagamento degli anticipi fiscali.
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Le parole del Mef
Nei giorni scorsi il viceministro del Mef Maurizio Leo ha ricordato che “l’intervento si è reso necessario per correggere un difetto di coordinamento tra il decreto legislativo del 2023, attuativo della delega fiscale, che prevedeva per il solo 2024 la riduzione delle aliquote Irpef da 4 a 3 e la legge di bilancio 2025 che ha reso strutturale la riduzione di aliquote”.
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Come si calcolano gli acconti
Gli acconti dovranno quindi ora essere calcolati usando le nuove aliquote e detrazioni in vigore. Questa novità riguarda circa 2,2 milioni di contribuenti, principalmente lavoratori autonomi o soggetti con redditi non da lavoro dipendente o pensione. Per la grande maggioranza dei lavoratori dipendenti e pensionati non cambia nulla: le nuove aliquote erano già state “assorbite” nei calcoli delle ritenute Irpef 2025. La correzione comporterà per il 2025 un costo stimato di 245,5 milioni di euro. L'onere sarà coperto attraverso una riduzione del Fondo Mef per la sistemazione contabile delle partite sospese e, nel 2026, la somma verrà riversata in un fondo destinato alla compensazione di eventuali scostamenti di bilancio.
Il riordino delle detrazioni
Le manovra ha previsto che dal 1 gennaio 2025, per i soggetti con reddito superiore a 75.000 euro, vengono fissati alcuni limiti per la fruizione delle detrazioni, mediante un meccanismo di calcolo fondato su due parametri: il reddito complessivo e il numero di figli fiscalmente a carico. Si prevede una riduzione progressiva, all'aumentare del reddito, dell'ammontare massimo degli oneri e delle spese detraibili, accompagnata da una maggiore tutela per le famiglie numerose o con figli con disabilità.
Le detrazioni
Come spiega Il Sole 24 Ore, il comma 1 del decreto stabilisce che il calcolo dell’acconto Irpef 2025 deve tenere conto delle nuove aliquote e detrazioni stabilite dalla riforma, limitando l’applicazione della norma transitoria solo al 2024. Viene confermata la nuova detrazione di 1.955 euro per redditi da lavoro dipendente fino a 15.000 euro (esclusi i pensionati). Il Mef, con comunicato del 25 marzo 2025, ha precisato che la norma vale solo per chi ha debiti Irpef residui superiori a 51,65 euro. Infine i commi 2–4 riguardano la copertura finanziaria: aumento di un fondo del Mef per il 2026 (+245,5 milioni); con riduzioni corrispondenti da altri fondi già esistenti per compensare l’impatto finanziario.
Le polemiche della Cgil
Quello che era successo è che una parte della normativa era dunque rimasta ancorata al vecchio sistema a quattro aliquote per il calcolo degli acconti, generando confusione e potenziali aggravi. In pratica, come denunciato dalla Cgil a marzo scorso, nonostante le aliquote Irpef siano appunto diventate stabilmente tre, gli acconti relativi ai periodi d'imposta 2024 da pagare a giugno e a novembre sarebbero dovuti essere calcolati con il vecchio regime a quattro scaglioni (23%, 25%, 35% e 43%) e con la detrazione per redditi di lavoro dipendente vigenti al 31 dicembre 2023 (1.880 euro). Livelli non più in vigore e più pesanti degli attuali. "Una clamorosa ingiustizia" a danno degli "unici che pagano per intero le imposte", l'aveva definita il sindacato, costringendo di fatto il governo ad intervenire.
No tax area
Il governo nella relazione illustrativa ha spiegato che per le modifiche in manovra, la soglia di no tax area per i redditi di lavoro dipendente si amplia fino a 8.500 euro, diventando quindi pari a quella già vigente per i redditi da pensione. Nel sistema tributario vigente, l’applicazione delle diverse detrazioni per lavoro dipendente o pensione o da lavoro autonomo, decrescenti al crescere del reddito, produce delle fasce di reddito esenti da tassazione.
Il fiscal drag
L’l'Ufficio Parlamentare di Bilancio ha stimato che nel passaggio dal regime fiscale del 2022 a quello 2025, con l'accorpamento a tre aliquote, il maggiore prelievo associato a 2 punti percentuali di inflazione è stato “più alto di circa 370 milioni (+13%). Il viceministro dell'Economia Maurizio Leo ha commentato: “È chiaro che l'effetto fiscal drag, che era più pronunciato negli anni passati, 2021-23, si è poi protratto negli anni successivi, però il nostro obiettivo è di intervenire poi sul ceto medio: perciò, facendo un mix tra l'intervento già fatto e quello che si dovrà fare, penso che si riuscirà a mitigare questo effetto".
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