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Tangentopoli, chi erano i protagonisti dell'inchiesta Mani Pulite

Cronaca fotogallery
16 feb 2022 - 06:00 21 foto
Ipa e Ansa

Ministri, parlamentari, ma anche vertici di partito e di aziende. Le inchieste giudiziarie del pool Mani Pulite coinvolsero alcune delle più importanti personalità dell'epoca mettendo in crisi i principali gruppi politici

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Il 17 febbraio del 1992 venne arrestato in flagrante mentre riceveva una tangente l’allora presidente del Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa. Quel giorno è tradizionalmente considerato l’inizio di Tangentopoli, un periodo caratterizzato da inchieste e procedimenti giudiziari che coinvolsero numerosi politici e imprenditori e portarono alla fine della cosiddetta “Prima Repubblica”  

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Mario Chiesa ricopriva quella posizione dal 1986 ed era legato anche alla politica. Esponente del Partito socialista italiano, era stato assessore ai Lavori pubblici e all’Edilizia Scolastica. Il giorno del suo arresto doveva incassare una tangente da sette milioni di lire da Luca Magni, un imprenditore che gestiva una società di pulizie e che, stanco di pagare, si era messo d’accordo con i carabinieri per svelare quanto accadeva

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Chiesa venne definito dal segretario del Psi Bettino Craxi un “mariuolo”, ma il suo non era un caso isolato. L’inchiesta coinvolse una serie di figure di primo piano nel settore economico così come ministri, parlamentari e vertici di partito. Tra loro c'era lo stesso Craxi

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Tra i primi politici ad essere indagati ci furono Carlo Tognoli (in foto) e Paolo Pillitteri, ex sindaco e sindaco in carica di Milano, entrambi esponenti del partito socialista. Gli avvisi di garanzia nei loro confronti arrivarono il 2 maggio del 1992. Dopo l'esperienza come primo cittadino, Tognoli era stato parlamentare e ministro

La storia di Carlo Tognoli
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Di più alto livello erano Severino Citaristi e Sergio Moroni. Il primo all'epoca era il tesoriere della Democrazia Cristiana e ricevette oltre settanta avvisi di garanzia in quegli anni. "Io ho sempre ammesso il finanziamento illecito alla Dc - raccontò anni più tardi in un'intervista a Bruno Vespa - ma la gran parte delle condanne mi ha riconosciuto la corruzione in concorso con pubblici ufficiali ignoti. Non ne hanno trovato uno, perché io non ho mai corrotto nessuno"

Tangentopoli, la storia dell'inchiesta Mani Pulite
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Sergio Moroni era invece un parlamentare del PSI. Quest’ultimo non resse allo scandalo e il 2 settembre del 1992 si uccise. Prima di farlo inviò a Giorgio Napolitano, allora presidente della Camera, una lettera in cui ribadiva la sua innocenza e scriveva: “Mi auguro solo che questo possa contribuire a una riflessio­ne più serie e più giusta, a scelte e decisioni di una democrazia matura che deve tutelarsi"

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Tre mesi dopo il suicidio di Moroni, Bettino Craxi ricevette un avviso di garanzia. Fu una notizia enorme: Craxi era stato Presidente del Consiglio e allora era ancora segretario del Psi, posizione dalla quale si dimise nel 1993, pochi mesi dopo aver pronunciato uno storico discorso in cui accusava tutti i suoi colleghi: "Buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale... Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo"

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Altro partito che perse il suo segretario in questo periodo fu quello Repubblicano. Raggiunto da un avviso di garanzia per violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti, Giorgio La Malfa decise di fare un passo indietro

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Lo stesso fece a marzo del 1993 Renato Altissimo, allora segretario del Partito Liberale, che nei mesi seguenti ammise di aver ricevuto un finanziamento illecito per il partito pari a 200 milioni di lire  

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Le inchieste giudiziarie non risparmiarono nemmeno il Partito comunista, che nel frattempo era diventato Pds. Il primo marzo del 1993 venne arrestato Primo Greganti con l'accusa di aver ricevuto per conto del partito una tangente di 621 milioni di lire, fra il 1990 e il 1992, dal gruppo Ferruzzi. Greganti, che era un ex operaio, divenne famoso col soprannome "compagno G"

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Nelle inchieste dei magistrati finì anche Gabriele Cagliari, allora presidente dell’Eni. Laureatosi al Politecnico di Milano in ingegneria industriale, era stato nominato al vertice dell’azienda nel 1989 su indicazione del Psi che anni prima lo aveva fatto diventare membro della giunta esecutiva. Venne arrestato il 9 marzo del 1993 per presunte tangenti e passò a San Vittore 154 giorni. Si suicidò il 20 luglio dello stesso anno, dopo aver saputo che non sarebbe stato scarcerato  

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Tre giorni dopo venne arrestato Sergio Cusani, consulente finanziario di Raul Gardini che era uno tra i più famosi manager di allora avendo guidato Montedison, un’importantissima azienda chimica privata. Su Cusani pesavano le accuse di falso in bilancio e di violazione alla legge sul finanziamento dei partiti in relazione al caso Enimont così chiamato dal nome del colosso nato dalla fusione di Eni e Montedison

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Cusani è ritenuto l’imputato simbolo di Mani Pulite e venne condannato a 5 anni e dieci mesi. Sembrava probabile anche una condanna di Gardini ma questo si suicidò il giorno stesso in cui Cusani fu arrestato. Poche ore dopo, sotto casa sua arrivò uno dei magistrati titolari dell’inchiesta, Antonio Di Pietro   

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Classe 1950, all’epoca Antonio Di Pietro era sostituito procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano e già da tempo si occupava di reati contro la pubblica amministrazione. All'epoca fecero molto scalpore alcune sue dichiarazioni: “Più che di corruzione o di concussione, si deve parlare di dazione ambientale, ovvero di una situazione oggettiva in cui chi deve dare il denaro non aspetta più nemmeno che gli venga richiesto; egli, ormai, sa che in quel determinato ambiente si usa dare la mazzetta o il pizzo e quindi si adegua”  

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Di Pietro faceva parte di un ampio pool composto anche da altri magistrati: Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Sergio Borrelli, Gerardo d’Ambrosio, Francesco Greco, Ilda Boccassini e Armando Spataro  

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A coordinarli c’era Francesco Saverio Borrelli, allora capo della procura di Milano. Laureatosi in legge a Firenze nel 1952, tre anni dopo era entrato in magistratura e nel 1983 era diventato Procuratore aggiunto nel capoluogo lombardo. Fu lui a spedire al leader socialista Bettino Craxi il primo avviso di garanzia. Alcuni lo ricordano anche perché, rivolgendosi ai politici candidati alle elezioni, nel dicembre 1993 disse: "Se hanno scheletri nell'armadio, li tirino fuori prima che li troviamo noi"

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Il processo a Cusani per l’affare Enimont, considerato la madre di tutte le tangenti, iniziò il 28 ottobre del 1993 e coinvolse tra gli altri Arnaldo Forlani, allora segretario della Democrazia Cristiana ed ex presidente del Consiglio. Il 17 dicembre, rispondendo alle domande di Di Pietro, disse: “Prima dell' avviso di garanzia non sapevo nulla dei finanziamenti in violazione della legge e non lo so neppure adesso, perché è ipotizzato. Se altri lo dicono che ci sono stati, io lo apprendo come lei''. Venne infine condannato a due anni e 4 mesi  

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Gli arresti proseguono anche l’anno successivo. Il 12 maggio 1994 tocca a Francesco De Lorenzo, esponente del Partito Liberale ed ex ministro della Sanità, noto tra l’altro per la riforma del sistema sanitario che porta il suo nome. Accusato di aver incassato tangenti per nove miliardi di lire, venne condannato in via definitiva e si costituì nel carcere di Civitavecchia.  Nella foto: l'ex ministro Francesco De Lorenzo (s) ascolta la requisitoria in un processo a suo carico nel 1997

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Altri due ministri di peso che vennero coinvolti nell’inchiesta in quel periodo furono Claudio Martelli (in foto) e Gianni De Michelis. Il primo era un autorevole esponente del Psi e ricopriva la carica di ministro della Giustizia quando il faccendiere Silvano Larini lo accusò per il cosiddetto “conto Protezione”. Nel 1993 venne inoltre raggiunto da un avviso di garanzia per bancarotta fraudolenta a seguito del quale si dimise dalla carica

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Gianni De Michelis era invece ministro degli Esteri. Vicinissimo a Bettino Craxi, finì al centro di moltissimi procedimenti. Molti si conclusero con l’assoluzione ma patteggiò un anno e sei mesi per corruzione nell’inchiesta veneta sulle tangenti nelle autostrade e sei mesi nella maxitangente Enimont

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In un’intervista ad Aldo Cazzullo, disse: “I procedimenti contro di me furono una trentina. Per non diventare matto, mi dissi che dovevo trovarmi qualcosa da fare. E passare dalle discoteche alle biblioteche”. E ancora “le cifre [delle tangenti] erano del tutto compatibili con il sistema economico: diciamo quel 3% che è considerata dai direttori dei supermercati la soglia fisiologica del taccheggio. Oggi si fa cento volte di peggio”

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