Il sito dell’Unione Nazionale Consumatori analizza il fenomeno dei ristoranti cosiddetti childfree, ovvero dove di fatto i bambini non sono ammessi. Ma è possibile per un ristoratore impedire l'accesso ai bambini? Scopriamo a livello legislativo cosa comporta questa operazione
- Non è semplice tenere un bambino seduto per molto tempo al tavolo di un ristorante, ed è normale che possa spazientirsi, muovendosi, giocando, magari disturbando il relax degli altri commensali. Per questo alcuni locali negli ultimi anni sono diventati childfree, ovvero dove i bambini non sono ammessi, ma questa pratica è da considerarsi legale?
- Il sito dell’Unione Nazionale consumatori specifica che la legge italiana, secondo il regolamento del TULPS (articolo 187) dice: “Salvo quanto dispongono gli artt. 689 e 691 del Codice penale, gli esercenti non possono, senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo”
- Di conseguenza, si comprende come in Italia vietare in maniera indiscriminata l’ingresso ai bambini senza un valido e legittimo motivo sia da considerarsi contrario alla legge
- Una regola che possiamo quindi considerare valida per tutti gli esercizi pubblici come bar, alberghi e pensioni, escludendo tuttavia quelli di pubblico spettacolo come ad esempio le discoteche
- Un ristorante quindi secondo la legge è un locale privato aperto al pubblico ed è considerato infatti a tutti gli effetti un pubblico servizio, che svolge l'attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande
- Per questo motivo non è semplice per un ristoratore fare appello al legittimo motivo di cui facevamo accenno sopra, ma diciamo che in questo caso, sottolinea l’Unione Consumatori, si potrebbero trovare delle scorciatoie, affermando ad esempio che lo spazio ridotto del locale non consente l’accesso a un passeggino
- Ma veniamo al consumatore: cosa fare se ci si ritrova le porte sbarrate di un ristorante perché in compagnia di bambini? Di per sé, sottolinea ancora l’Unione Consumatori, il rifiuto del ristoratore non ha rilevanza penale (che subentrerebbe in caso di discriminazione razziale, etnica o religiosa)
- Il cliente può tuttavia effettuare una segnalazione alle forze dell'ordine, e l'esercente potrebbe incappare in un illecito amministrativo, con una sanzione che oscilla dai 516 ai 3.098 euro