La mafia problema pedagogico. Assai prima che criminale

Cronaca
Domenico Barrilà

Domenico Barrilà

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Rubare degli agrumi, in un quartiere difficile siciliano. Un episodio del passato che torna di attualità in questi giorni elettrizzati dalla cattura di un latitante, a cui il suo ambiente educativo forse non oppose mai dinieghi e quello sociale gli fece credere che fosse normale barare al gioco

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Un uomo, nato e cresciuto in Sicilia, in un quartiere difficile, mi consegna un ricordo d’infanzia, racconta di quando entrò in un frutteto coi suoi amici rubando degli agrumi. “Tornai a casa col bottino, credendomi un piccolo eroe che portava alla famiglia qualcosa da mangiare, come si sentivano i miei amici. Mia madre mi bloccò sulla porta, intimandomi di riportare quei frutti dove li avevo presi. Così feci. Da quella volta, che era anche la prima per me, non partecipai ad altre scorribande. Metà dei miei amici continuarono su quella strada, che li avrebbe condannati a una vita difficile”. Un intervento che tocca un destino, come spesso accade ai gesti educativi. Preso isolatamente un singolo episodio può non essere rappresentativo di un orientamento pedagogico, ma spesso i ricordi remoti vengono memorizzati in quanto impregnati di persistenze, per tale ragione è immaginabile che l’atteggiamento di quella madre esprimesse una consuetudine.

La cattura del latitante

L’episodio torna di attualità in questi giorni elettrizzati dalla cattura di un latitante, a cui il suo ambiente educativo forse non oppose mai dinieghi e quello sociale gli fece credere che fosse normale barare al gioco. Mi è accaduto di confrontarmi con detenuti, anche in regime di carcere duro, o con giovanissimi, talvolta minori, che scontavano una pena, e sentirli evocare con grandi rimpianti criticità educative nella loro infanzia. Sebbene viva in Lombardia da quasi mezzo secolo, la mia adolescenza è trascorsa in Sicilia, ragione per cui ritengo che l’evento così forte dell’arresto, per il quale bisogna ringraziare unicamente le forze dell’ordine e il personale giudiziario, non determinerà cambiamenti significativi sugli inneschi perversi e su tutto ciò che ruotava intorno alla figura e al sistema del latitante. Da coloro che sapevano benissimo chi fosse e dove si nascondeva alle persone che sembrano neutrali tra lo Stato e il mafioso o, addirittura, dalla parte di quest’ultimo.

L’Italia come un sistema planetario

Questa vicenda può essere una grande opportunità per rivoluzionare l’approccio al magma che sottostà ai fenomeni legati alla grande criminalità, dando una mano soprattutto a coloro i quali, che sono i più, remano nella direzione giusta, ma sono costretti a vivere atmosfere innaturali perché mancano risposte che affiancano quella repressiva, sottraendo alla solitudine i cittadini. Strade che richiedono forti consapevolezze. Innanzi tutto, bisognerebbe avere chiaro che il Paese, in barba a chi ne parla come di un blocco unico, è più simile a un sistema planetario. Tanti corpi celesti, con climi e temperature molto vari, stato di fatto che rende scarsamente utile studiare la temperatura media dell’intero sistema mentre sarebbe assolutamente necessario avere la situazione specifica di ogni pianeta o satellite interessato. Propria a causa di tale configurazione, per conoscere, anche solo superficialmente, le varie specificità del nostro paese occorre camminarci sopra, frequentarle assiduamente. Non c’è un punto mediano da cui osservarlo. Se non si tiene conto di questo, si rischiano giudizi moralistici, per quanto esteticamente corretti, come quando si biasimano i cittadini che in questi anni sono stati, volontariamente o meno, nella stessa bolla del mafioso. L’istinto è quello di stigmatizzare talune parole e atteggiamenti sfuggenti, ambigui, eppure bisogna passare da quei luoghi per comprendere i sentimenti che pervadono le persone, spesso di paura verso i criminali o di rabbia verso chi dovrebbe impedirne le prepotenze. Tuttavia, il fondale su cui si proiettano le immagini è troppo diverso per essere ricompreso in un giudizio uguale per tutti.

Il rapporto tra lo spazio e il tempo

Solo per dirne una, Bologna-Milano, 210 chilometri, un’ora di treno. Catania-Palermo 210 chilometri mezza giornata sulle rotaie. Il rapporto tra lo spazio e il tempo non è privo di conseguenze biografiche per chi abita i territori, perché genera una diversa relazione con gli eventi. Se voglio andare a trovare un parente nel capoluogo emiliano, muovendomi da quello lombardo, posso sbrigarmela in giornata, lo stesso non può accadere se abito in Sicilia. Ho parlato innumerevoli volte in Sicilia o in Calabria e l’indomani in Friuli o in Lombardia. Lo stacco è sensibile, sovente accompagnato da quello che definisco “Jet lag esistenziale”, uno straniamento emotivo che mi rimane appiccicato addosso per giorni. Questo non accade perché abbia qualche censura da muovere agli abitanti di quelle regioni, ma perché penso a tutti i bambini e ai ragazzi che potrebbero seguire piste diverse, non di rado insopportabilmente diverse, pure essendo connazionali.

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La macchina che produce mostri rimane attiva

La mia professione mi conduce in giro per l’Italia da quasi quarant’anni, credo di essermi mosso da casa migliaia di volte, e mai mi è accaduto di avvertire similitudini nette, percezioni di omogeneità. Una ricchezza da un lato, un’ingiustizia se parliamo di asimmetrie nelle condizioni sociali. Considerati i temi che tratto, non è difficile entrare in rapporti di confidenza e di solidarietà con le persone che incontro nei dibattiti. A parte la Valle d’Aosta e la Basilicata, sono stato per motivi di lavoro in tutte le regioni, in alcune tornandovi più spesso che in altre, allacciando relazioni con persone, alcune trasformatesi in solide amicizie. Per questo trovo eccessive le letture epiche di questi giorni, degli eventi o dai trionfi mediatici. Vi sono stati altri arresti eccellenti in passato, altre esultanze, altre passerelle, ma il giorno dopo si era ancora punto e a capo, perché la macchina che produce mostri rimane attiva. Se si vuole davvero bene alle forze dell’ordine e alla magistratura, non bisogna vellicarle con fare ruffiano, ma metterle in condizione di operare in ambienti diversi. Da qui la necessità di creare un welfare specifico, specializzato, duttile, chirurgico.

L’importanza di chi riveste ruoli educativi

Un’assistente sociale in realtà non fa lo stesso mestiere in tutte le regioni, perché le richieste che provengono dal basso sono dissimili, non di rado incomparabili. Il brodo ambientale specifico determina pensieri e comportamenti specifici; dunque, chi opera si rapporta a situazioni singolari e non replicabili, e deve tenerne conto, ma qualcuno deve aiutarlo a sviluppare il proprio intervento contribuendo a mettere a disposizione letture corrette. Lo stesso discorso dovrebbe valere per gli insegnanti e per tutti coloro che rivestono ruoli educativi. Lo Stato deve lavorare massicciamente su questo snodo, mobilitando grandi idee e altrettanto grandi energie. In un contesto dove la paura rende omertosi, non si possono deridere i cittadini che parlano timorosi davanti al cronista, ma occorre che le istituzioni, attraverso le loro articolazioni amministrative e tecniche, si impegnino sul piano economico e pedagogico affinché ognuno di loro possa vivere libero da quell’umiliante ipoteca, fuori da questa prospettiva sarà un perenne gioco a guardie e ladri, come in un video gioco dove una volta si vince e una volta si perde, ma la logica non cambia mai. Non dovrebbe essere difficile capire questo passaggio, ma forse è proprio la facilità del quadro a rendere tutto più complicato. Edgar Allan Poe, diceva infatti che è molto laborioso trovare ciò che abbiamo sotto il naso, mentre è assai più facile arrivare a ciò che è nascosto. Credo che avrebbe assai da dire sull’intera vicenda culminata con l’arresto del latitante e con le premesse che lo rendono solo una replica di cose già viste. Per quanto banale possa sembrare, possiamo vincere solo educando, a patto che sia un’azione corale e competente.

 

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

 

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