“Vite - L’arte del possibile”, l’intervista a Luca Cordero di Montezemolo. VIDEO

Cronaca

L’imprenditore e manager bolognese è stato il protagonista di uno degli appuntamenti con il direttore di Sky TG24 Giuseppe De Bellis, un ciclo di interviste ai grandi italiani che si sono distinti nel proprio campo. Montezemolo ha ripercorso le tappe fondamentali della sua vita, dalle esperienze in Ferrari al rapporto con Gianni Agnelli, tra aneddoti e successi

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Luca Cordero di Montezemolo è stato il protagonista di uno degli appuntamenti del nuovo ciclo di “Vite - L’arte del possibile”, in onda su Sky TG24 (l'intervista è disponibile nel video in alto). L’imprenditore e manager bolognese ha aperto le porte del suo ufficio, “che è quasi come una casa”, per raccontarsi a Giuseppe De Bellis, ripercorrendo le tappe fondamentali della sua vita, tra aneddoti, successi e insuccessi che lo hanno portato a essere uno dei manager più vincenti e poliedrici del nostro Paese (LE ALTRE PUNTATE: BRUNELLO CUCINELLI - DIEGO DELLA VALLE - ALESSANDRO BARICCO - FEDERICO MARCHETTI - FABIOLA GIANOTTI - AMALIA ERCOLI-FINZI - MICHELE DE LUCCHI - RENZO ROSSO - ANDREA ILLY - BEATRICE VENEZI).

L’intervista a Luca Cordero di Montezemolo

Luca Cordero di Montezemolo ha una vita che è la somma di molte vite. Ha attraversato la storia degli ultimi 50 anni d’Italia toccando molto, quasi tutto, quello che in questo Paese ha un valore. Talmente tante cose differenti che non si riassumono in categorie. Per capirle, serve la l’elenco dei nomi: Ferrari, Azzurra, Italia 90, Fiat, Confindustria, Italo Treno, Alitalia, Acqua di Parma, Cassina, Poltrona Frau, Sigaro Toscano, Telehton, Itabus. Ci sono tutte, ma in particolare la prima. Per longevità (c’è stato due volte e per molti anni), per affetto, per passione. Lo si capisce parlandogli ed entrando nei suoi luoghi: c’è un riferimento alla Ferrari su ogni parete, in ogni angolo. Un rapporto che ha resistito anche a un addio che l’ha ferito profondamente. “Certi amori non finiscono”, dice. Sono quelli per le persone, per i ricordi, per le immagini, per le emozioni, per le scelte fatte, per le gioie, per i dolori, in questo caso anche molto per i suoni. Questo ha reso Luca Cordero di Montezemolo, a 75 anni, professionalmente eternamente poligamo: ha amato tutto quello che ha fatto, ama tutto quello che fa. Poi, però, c’è la Ferrari. Che c’è, che resta.

 

Luca Cordero di Montezemolo Benvenuto a Vite. Grazie per ospitarci qui, a casa sua, anche se non è a casa, ma nel suo ufficio.

 

Dove passo molto tempo. Quindi è quasi come una casa. 

 

Vite è molto agganciato ai luoghi in cui le interviste si svolgono, però questa volta partiamo da un'altra cosa e partiamo dai suoi 75 anni e dal fatto che lei ha avuto una vita con tantissime cose. E allora la prima definizione di questa vita, che è tante vite, oggi qual è? Che cos'è oggi Luca Cordero di Montezemolo?

 

Io faccio un po' fatica a guardarmi indietro in maniera approfondita, perché ho avuto la fortuna, il privilegio, l'opportunità, non so come dire, di fare molti mestieri, ma diversi dei quali con contenuti che non avevano contatti con gli altri. Credo di avere avuto due grandi fortune, uno di avere sempre avuto intorno scelto delle persone, dovunque fossi molto più brave di me, dovunque. E questo è stata per me la cosa più importante e due, indipendentemente da quale fosse il lavoro, averlo fatto con una grande passione, una grande dedizione, un grande entusiasmo. Ed essermi proprio immedesimato in quel lavoro. E questo è stato importante.

Ha detto, faccio fatica a guardare il passato e questa cosa è una cosa che ritorna, leggendo la sua biografia, avendola sentita parlare anche in altre interviste. Lei è sempre proiettato verso il futuro. Che cosa c'è nei prossimi mesi, nei prossimi anni della sua vita?

Molte cose. Intanto il godermi moltissimo la cosa più importante della mia vita è che la mia famiglia. Poi ci sono le cose del lavoro. Uno l'impegno con Telethon. Quando parliamo di futuro, quindi la ricerca e quindi la ricerca delle terapie, l'innovazione anche nell'organizzazione di Telethon. Poi questa azienda di autobus, molto interessante. Itabus. Perché guardi, i treni vanno nelle grandi città, ma l'Italia è fatta di tanti piccoli centri. E oggi un autobus con due guidatori, con una vita media di due anni che ti porta nelle città delle città o nelle cittadine più importanti, anche turisticamente, che ti fa viaggiare bene e che ti fa soprattutto viaggiare a dei prezzi molto competitivi, è una cosa a cui io credo molto, anche in interconnessione col treno, e a questo mi sto dedicando. E poi il sigaro toscano, che è un prodotto straordinario, è un prodotto della storia di questo Paese, dove c'è l'artigianalità, a cui dedico molto. Quindi, potrei fare, dirne delle altre, a cominciare per esempio anche da delle cose a cui mi sto dedicando e che è un progetto che lanceremo tra poco dedicato alle donne. Pensi che noi abbiamo una media: quasi il 30% di ragazze tra i 15 e i 28 anni non hanno né lavoro né istruzione importante. Sono bravissime e quindi stiamo mettendo a punto un progetto proprio per aiutare queste ragazze che sono brave, a poter esprimere tutte le loro competenze. Credo che questo sia un momento socialmente molto delicato in Italia. Chi ha avuto fortuna, chi ha avuto il privilegio come me di aver potuto fare tante cose, se può ridare un po’ è importante. A questo mi ci sto dedicando molto.

 

Questo mi dà lo spunto per una riflessione sulle nuove generazioni. Lei è ottimista o pessimista? La generazione dei ragazzi di oggi è migliore o peggiore di quella precedente? 

 

Allora io sono clamorosamente ottimista sotto l'aspetto dello spirito di iniziativa, del coraggio. Se guardiamo start up, guardiamo ragazzi che già a 22/23 anni hanno già fatto qualcosa… io mi ricordo quando Enzo Ferrari mi nominò, avevo 26 anni, direttore sportivo della Ferrari, sembrava una cosa unica al mondo, così giovane. Oggi a 26 anni, non dobbiamo guardare in America, guardiamo in Italia, ci sono ragazzi che hanno già messo in piedi molte cose. Sono invece più pessimista sotto due punti di vista: uno è che non tutti i ragazzi partono alla gara della vita, quindi alla gara della scuola, con la stessa automobile. C'è chi ha una macchina competitiva e vince e c'è chi, pur potendo vincere non ha le stesse chance. Mi riferisco alle persone che studiano in scuole degradate, alle tante famiglie che non hanno possibilità di dare computer e quant'altro ai propri figli. E questa è una cosa che mi preoccupa molto, perché è profondamente ingiusta e poi non permette a tanti ragazzi di grande potenziale di dare il massimo di se stessi. E sono preoccupato anche di questa crescita di violenza giovanile, anche in città importanti.

 

Ha citato l'inizio dell'avventura in Ferrari da giovanissimo. Mi aiuta a ricordare come è arrivato a 26 anni a fare il direttore sportivo?

 

Questa è una storia da film. Io e un mio amico avevamo una macchina, che pagavamo a metà, e facevamo i rally, approfittando che c'era la contestazione giovanile in università. Io mi sono laureato a Roma con 110 e lode e pubblicazione della laurea. Ho fatto lo studente universitario in legge bene. Però c'erano dei grandi momenti vuoti perché c'era l'occupazione. E quindi facevamo i rally. Mi invitarono a una trasmissione “Chiamate Roma 3131” Gianni Boncompagni e Moccagatta. Era una trasmissione oggi impensabile, per cui si poteva telefonare in diretta e dire qualunque cosa. Chiama uno…

 

Oggi si fa con i social media. All'epoca era forse più interessante…

 

Si, anche perché era vero, le chiamate non erano filtrate. Questo chiama e mi dice: “Lei sta dicendo un sacco di fesserie, perché l'automobilismo è lo sport che inquina, è uno sport pericoloso, uno lo sport da ricchi”. Io gli rispondo duramente: “tu non sai niente perché ci sono fior di piloti che sono figli di meccanici che sono nati lì. Le corse sono molto importanti per progetti d'avanguardia. Enzo Ferrari, che arrivava in ufficio, aveva una di quelle radio di una volta, grandi, enormi. La metteva sul tavolo e ascoltava questa trasmissione. Chiamò in diretta e disse “Ma chi è questo ragazzo? Questo è uno che gli attributi. Bravo!” E mi disse: “Senta, mi venga a trovare a Maranello”. Io vinsi una borsa per andare alla Columbia University, a New York e andai a New York per un corso di specializzazione. Io sono di Bologna che è la città, tra l'altro, più bella del mondo e andavo a trovare i miei nonni a Bologna e andai a Maranello. A un certo momento lui mi disse: “Io avrei bisogno di un ragazzo come lei perché io sono nelle mani degli ingegneri. Loro decidono tutto. Qualcuno mi racconta anche delle balle. Io allora gli dissi: “Guardi, non lo dica due volte perché io vengo”. Io a luglio, finita l'università, feci non stop New York-Maranello di Modena, con i miei genitori disperati che dicevano: “Ma come, diventi un avvocato internazionale e ritorni a giocare con le macchine?”. Maranello che a quel tempo era proprio un paesino. E io ebbi la grande fortuna di lavorare con un uomo difficile ma eccezionale, che mi ha insegnato molte cose e a cui devo molta riconoscenza. Nella vita nel mio DNA ho due cose: una è il senso di riconoscenza: è bello ringraziare e dire “grazie” a chi ti ha dato molto. La seconda è il senso della squadra: ho avuto la fortuna di vincere 19 campionati del mondo tra piloti e costruttori, in epoche diverse, prima come direttore sportivo, poi come presidente e amministratore delegato. Però queste vittorie sono arrivate perché c'era una squadra coesa, sia quando si vinceva e quando non si vinceva e soprattutto c'era un'organizzazione perfetta. Ognuno sapeva quello che doveva fare con persone eccezionali.

 

Ha detto che Bologna è la città più bella del mondo, però a un certo punto arriva a Roma...

 

Io sono nato a Bologna nel 1947, subito dopo la guerra, e ho un ricordo bellissimo di una città povera, molto colpita. E io andavo con mio papà e mia mamma in Vespa, in tre. Senza casco, senza niente, in tre. Però ho dei ricordi bellissimi delle gite domenicali fuori porta. Ho avuto la fortuna di avere una famiglia che aveva dei valori. Mio padre era piemontese, quindi tutta la mia famiglia a Montezemolo è piemontese e mia madre è totalmente bolognese. Io mi sento molto bolognese e molto emiliano. Mio papà trovò poi un lavoro a Roma, lui era laureato in agraria e venne a lavorare a Roma che io avevo sette anni. Ho fatto qui scuola e università. Però quando potevo tornavo sempre a trovare i miei nonni a Bologna. Mi ricordo che al tempo c'era il famoso “Settebello”… già allora i treni mi piacevano.

 

Scuola a Roma… Mi ricorda chi sono i suoi compagni di liceo?

Le posso dire due nomi conosciuti, tra tanti altri, che sono Mario Draghi e Gianni De Gennaro, il quale poi è diventato il capo della polizia. Gianni lo persi di vista, ma una volta, vidi un servizio del telegiornale su un rapimento di un signore che si chiamava Carrera e c’era De Gennaro. Io non potevo pensare che Gianni, che a scuola era proprio un monello, fosse diventato un poliziotto. Mario, invece, secondo me già li studiava per fare il capo della Banca d'Italia o della Bce perché era sempre perfetto. Era un buon giocatore di pallacanestro e molto educato. Studiava, però era anche una persona che stava alla battuta, una persona con cui si stava bene.

 

Torniamo al suo percorso… Ferrari. La differenza tra l'esperienza da direttore sportivo in un'epoca e poi quella da presidente successivamente.

 

È enorme. Intanto perché quando tu sei giovane e sei alle prime armi hai un tipo di sfacciataggine maggiore. E poi io avevo la fortuna, in ogni caso, di avere sopra di me Enzo Ferrari, che mi ha insegnato due cose fondamentali che vorrei poter trasferire ai giovani. La prima è di non arrendersi mai e quindi di avere sempre la forza di reagire anche nei momenti difficili. E noi abbiamo avuto dei momenti anche tragici, non solo difficili. La seconda è di pretendere ancora di più dai tuoi collaboratori quando sei al top, quando vinci, perché lì c'è il rischio di dire “siamo i più bravi”. E’ logico che quando perdi o quando non vai bene devi reagire, ma l'importante è di farlo quando sei al top. Dicevo una differenza enorme, perché io mi sono trovato come presidente amministratore delegato in un momento molto difficile. La Ferrari non vinceva da decine di anni, quando noi abbiamo vinto nel 2000 e erano passati 21 anni dall'ultima vittoria in Formula uno. E anche nel mondo delle corse era un po’ vista come un'azienda sempre meravigliosa, ma con dei prodotti un po’ datati, in termini di tecnologia, di innovazione, eccetera. Io mi dovevo occupare di tutto e quindi era una responsabilità enorme nel rinnovare la gamma dei prodotti, nel rinnovare l'organizzazione, nel rinnovare gli impianti produttivi, nel rinnovare la squadra, per provare a vincere in Formula uno e per vincere devi avere degli anni davanti perché non vinci dall'oggi al domani e quindi enorme. Io ho passato veramente dei momenti durissimi nel primo anno di Ferrari, proprio per tutte le cose che c'erano da fare.

 

È vero che quando è arrivato in Ferrari per rivitalizzare l'area commerciale ha dato a tutti i dirigenti delle riviste di moda?

 

Sì, credo che mi avranno preso un po’ per pazzo. Io ho dato il primo anno come libro per le vacanze delle riviste di moda perché non mi piaceva, cosa che poi valeva anche dopo per la Fiat, che fossero gli ingegneri a fare il marketing, per esempio i colori, gli interni delle vetture, i materiali, i dettagli. E dico “Il mondo sta andando in una certa direzione. Quale migliore modo di far vedere riviste americane, giapponesi, italiane in cui si vedeva attraverso la moda, l’estatica, il trend, dove stavano andando i gusti”. Questo è il primo anno. Il secondo anno, gli diedi un libro che si chiamava “Ozio creativo” di un sociologo, un po’ paradossale ma intelligente, Domenico De Masi, in cui si dimostrava che quando sei in vacanza, se pensi, se ragioni, hai più idee. Poi lui andava un po’ troppo in là, perché alla fine “Ozio creativo” diceva praticamente che non doveva lavorare nessuno, ma qualcuno deve lavorare. Però era per stimolare un po’ la creatività.

 

E quando vede quello che avete costruito in quel periodo e quindi la nuova vita della Ferrari, che è cominciata in quel periodo, che ricordi ha?

 

Sono molto orgoglioso. Sono molto orgoglioso perché nella vita come nello sport, le parole contano, ma poi contano i fatti. Io mi ricordo che quando entrai a Maranello, guidando la mia macchina, il primo giorno di lavoro dopo 17 anni, ero tra il commosso e l’emozionato. Però sinceramente mi aspettavo un'azienda che avesse fatto più innovazione. Mi venne a trovare pochi mesi dopo Ralph Lauren, che è un grande cliente appassionato, e che è sempre stato nella mia vita insieme a della gente come Michele Ferrero o come altri. Ho sempre cercato di guardare degli esempi da cui c'era da imparare, un uomo che, cominciando con una bancarella che vendeva delle cravatte da un Manhattan, è diventato un grandissimo. Io gli feci vedere i progetti di macchine che avevo. E lui, che è un uomo di gusto e mi disse “Luca, complimenti, però ti devo dire una cosa, mi sarei aspettato di vedere una fabbrica più hitech, più innovativa”. Questa era esattamente la sensazione che ho avuto anche io tornando a Maranello. Però io credo che nella vita, nel lavoro è molto importante lavorare per priorità, focalizzazione o delle altre priorità come la riorganizzazione della squadra corse, i nuovi modelli della Formula uno, delle vetture da strada e anche modificare un po’ l'organizzazione, far crescere dei numeri due o numeri tre che avevano un buon potenziale. Però allora decisi anche di rinnovare tutto l'impianto di Maranello e mi sono affidato a degli architetti di prim'ordine, a cominciare da Renzo Piano che ci fece la galleria del vento a cui dissi due cose “Voi non dovete fare delle cose esteticamente eccezionali. Belle sì, ma belle devono essere le macchine. Voi dovete fare delle cose che abbiano due fattori: una, una grandissima qualità della vita per chi ci lavora. Quindi luce, aria, ambiente e due, delle cose che durino nel tempo e non siano di moda”. A Maranello c'è la fabbrica che fa i pezzi dei motori, che normalmente è la parte più retriva perché scura, in cui abbiamo messo delle piante vere, con un microclima. Venne Bezos, il fondatore di Amazon, ed io ero convinto di vendergli una decina di macchine, e invece nemmeno una Ferrari, però rimase esterrefatto della qualità della vita dell'ambiente di lavoro. Mettemmo l'aria condizionata perfino in fonderia. Io lo detesto l'aria condizionata, tenevo sempre le porte aperte. La prima volta che venne Schumacher, che è un maniaco della salute, vedo questo che entra nel mio ufficio e chiude la finestra. Io avevo proprio l’ufficio dentro la fabbrica e lui mi disse “Lei si rende conto cosa respira?” ed io gli rispondo “Saranno affari miei. Lascia aperta la finestra perché fa caldo”. Però dicevo pensi che perfino nella fonderia c'era l'aria condizionata. E io una delle soddisfazioni più grosse che ho avuto nella mia vita è stato quando noi abbiamo vinto il premio “Il miglior posto dove lavorare in Europa”, che fu un'indagine del Financial Times tra tutti i dipendenti di aziende europee, non solo automobilistiche, su come si lavora, quindi qualità della vita, gratificazione, ecc. Quindi, per rispetto, completamente diverso.

 

Lei ha citato Enzo Ferrari e lo ha chiamato privilegio. E poi ho avuto la fortuna di avere un altro grandissimo, l'avvocato Agnelli. Come si gestisce il rapporto con due monumenti?

 

Cominciamo col dire che sono state due persone eccezionali, che avevano anche diversi elementi in comune, due fra tutti: l'amore per il proprio paese e per il proprio territorio, perché anche l'avvocato Agnelli, che giustamente aveva un'immagine anche molto cosmopolita eccetera, era un uomo molto attaccato a Torino, molto attaccato alle sue origini. Molto di più di quanto poi non potesse apparire con le tante persone che magari hanno parlato di lui senza poi conoscerlo così bene. E l'altra cosa che avevano in comune era quella di amare le cose belle dell'Italia. Tutte, nessuna esclusa. A loro devo molto, vorrei dire moltissimo. Non voglio dire tutto perché poi molto dipende da te, perché tu puoi dare, puoi avere tutte le fortune del mondo quando sali in macchina sulla Formula uno ma se poi ha il piede che non spinge… L'avvocato era una persona che mi ha insegnato, ho detto prima anche di Ferrari, anche lui due cose importanti. Uno, una grande curiosità. Io la fortuna, per esempio, parlando con lei, di capire tanto del vostro lavoro attraverso il dialogo con lei, con le domande che le faccio, avendo tra l'altro una grande passione per l'editoria e per la comunicazione. Quindi una grande curiosità e due, un senso del dovere e dell'educazione. L'avvocato aveva una cosa molto sabauda, piemontese, cavalleria, però un grande senso del dovere, dell'educazione, dello stile. E questo è una cosa che ho imparato molto da lui. E io lo devo ringraziare. Come devo ringraziare Ferrari perché ha avuto fiducia in me. Mi ha posto in condizioni, io non avevo ancora compiuto trent'anni che ero il direttore delle relazioni esterne della Fiat. Mi chiese di entrare in consiglio di amministrazione e mi è sempre stato vicino, anche perdonandomi errori che ho fatto nella mia vita. Perché nella vita l'importante è sapere che quando hai fatto degli errori non li devi ripetere. E a lui devo moltissimo e mi creda, ancora oggi mi manca, mi manca, mi manca molto.

 

Ha citato gli errori, qual è quello che considera il suo errore? La cosa della quale ha imparato di più.

 

Un errore che ho fatto sopravvalutando la mia posizione e pensando di poter avere dei vantaggi economici dalla posizione che avevo, anche se ero molto giovane. Questo mi ha insegnato come la trasparenza e il senso del dovere fossero fondamentali.

E invece la più grande intuizione che penso di aver avuto. Quale è stata?

Ne vorrei dire due. Uno è quello di aver avuto l’intuizione e direi anche il coraggio di avere completamente modificato tutto i prodotti della Ferrari che erano prodotti che erano quasi diventati, io li chiamavo dei “gadget per ricchi”, non delle macchine che ti godi e che ti puoi godere . E quindi abbiamo fatto delle macchine con un grandissimo successo onestamente e che hanno risposto alle esigenze di un pubblico molto ampio e questo ha portato a un'enorme crescita. E l'altro, onestamente, il treno, perché da un foglio bianco una mattina svegliarsi e dire questo è un paese in cui il treno è fondamentale tolte isole, e in cui viviamo, con un monopolio in cui decidono prezzi e servizi. Tutti siamo prigionieri. Credo che sia stata un'intuizione giusta per l'Italia, coraggiosa. E dimostra anche che in questo Paese, con tutti i difetti, si riescono ancora a fare delle cose importanti, perché non dimentichiamoci che noi siamo stati i primi e gli unici a fare la prima società totalmente privata di treni di alta velocità. L'Europa adesso lo ha imposto anche agli altri Paesi.

 

E quello, mi corregga se sbaglio, è stato anche il momento in cui, in maniera definitiva, lei che si è sempre considerato un manager, diventa anche imprenditore

 

Sì, io ero diventato imprenditore anche con due miei cari amici, Diego Della Valle e Paolo Borgomanero, con un'operazione quasi goliardica, con un profumo che si chiamava Acqua di Parma, che poi abbiamo venduto nientemeno che a Louis Vuitton. E lì siamo diventati talmente tanto imprenditori che era diventato un lavoro troppo grosso per noi, per cui uno doveva mandare avanti le proprie aziende. Io lavoravo giorno e notte alla Ferrari e anche sabato e domenica, perché un sabato-domenica sì e uno no eri sottoposto a un giudizio universale con i gran premi, per cui se vincevi eri bravissimo, se non vincevi era un fesso. E lì fu già un momento imprenditoriale importante. Poi io ho fondato anche un fondo di investimento che si chiama Charme, il cui primo investimento fu in prodotti fantastici come Poltrona Frau Cassina, tutti i mobili italiani di alto livello. Però certamente il treno è stata la prima, anche perché qui si trattava di investimenti mastodontici. Poi non è che compriamo il trenino dei bambini, Rivarossi o Marklin. E quindi poi si trattava di formare personale. Dove li trova dei guidatori dei treni? Il personale siamo andati a cercarlo nei villaggi vacanze, nelle navi da crociere, tutti giovani formati e in formazione, perché per noi: pulizia, qualità del servizio, qualità del servizio e attenzione al cliente erano fondamentali. Abbiamo comprato il treno più moderno in Europa. Siamo stati i primi, anzi, all'inizio abbiamo pagato anche un prezzo perché erano troppo nuovi. Purtroppo non c'era una fabbrica italiana di treni.

 

Lei è stato anche almeno due volte vicino alla politica. La prima volta, quando ha avuto una chiamata e rischiava o avrebbe potuto fare il ministro. Mi ricordo come andò?

 

Anche quella è stata una bella cosa da film, perché io tornavo da Maranello come sempre la sera verso le 20:00 e approfittavo per fare delle telefonate anche magari a degli amici. Sento una telefonata di Maurizio Beretta, che poi diventò il mio direttore generale in Confindustria, che allora era non so se alla Rete uno o al Tg1 e mi dice “Complimenti. Berlusconi ha appena detto che farai il ministro”, ed io: ”Dove stai scherzando?” “E a Porta a Porta”. Io gli feci notare che Porta a Porta è alle 22:00 ed erano le 8 di sera. Ma io non sapevo che lo registravano. Lui mi disse “Ha detto te e la Moratti”, io rimasi così, perché è vero che Berlusconi mi fece una battuta una volta però non ero preparato e poi gli risposi così “Le dico la verità. Un ministro tecnico se non ci fosse stata la Ferrari di mezzo l'avrei fatto volentieri, anche per mettere un po’ a disposizione non più ad un'azienda ma al Paese, le tue competenze, il tuo entusiasmo, la tua passione e io sono orgoglioso di essere italiano e quindi, anche se posso fare qualcosa, mi sarebbe piaciuto. Però la Ferrari era prima di tutto. Ebbi una grande soddisfazione il giorno dopo perchè ricevetti una lettera firmata da moltissimi, moltissimi collaboratori della Ferrari, non solo dirigenti, che avevano visto la trasmissione e mi chiedevano di rimanere.
La seconda volta fu quando uscii da Confindustria. Io parlai con dei signori americani che avevano fatto una sorta di associazione idee. Però io già li pensavo non solo alle idee, ma anche a delle persone. Cioè era un modo per cercare di avvicinare alla politica delle persone di qualità, perché secondo me, lo vediamo oggi, quanto avremmo bisogno di una classe dirigente anche più giovane, più competente, ecc. E lì ci andai molto vicino. Andai molto vicino, troppo forse, perché io passavo le notti insonni e ne ho passate diverse della mia vita, di notti insonni con Italo, con la Ferrari, quando mi fu chiesto di fare il presidente della Fiat, il giorno dopo essere diventato presidente di Confindustria, fu una notte terribile perché da un lato non volevo andare, dall'altro io avevo un senso di riconoscenza verso la famiglia, verso l'avvocato, era difficile. Tornando al punto, io credo che in certi momenti, tu devi avere il coraggio di prendere certe decisioni e quindi è così.

 

L’ha sfiorata la politica. Nel futuro ci può essere qualcosa? E si può fare politica anche stando fuori dalla politica? Si può dare un contributo alla politica anche rimanendo fuori?

 

Credo che si possa fare politica, nel senso alto della parola, intanto facendo bene il proprio mestiere, poi cercando di unire il più possibile il mondo della politica. Io credo che mai come oggi noi abbiamo delle priorità davanti, sono priorità che conosciamo da anni. Ecco, su questo credo che tutti coloro che hanno amore per il proprio Paese, competenze e anche da mettere a disposizione delle cose che uno nella vita ha fatto, andrebbero sollecitate, perché io vedo che è un momento molto, molto difficile, molto delicato per il mondo, ma in particolare io lo vedo per il nostro Paese, pur essendo un grande ottimista e avendo sempre la convinzione che è un Paese che ha delle grandissime capacità però attenzione, perché poi se continui a dover fare dei combattimenti con le mani legate dietro la schiena, anche se sei molto bravo, poi è dura.

 

Quali sono, secondo lei queste priorità?

 

Io per la prima volta sono preoccupato di aspetti sociali del Paese e credo che sia arrivato il momento per fare una grande operazione verità sulla situazione economica e sociale dell'Italia. E’ chiaro che dobbiamo fare le riforme, le risorse che arrivano dall'Europa sono fondamentali. Fisco, giustizia, per dirne due, sono fondamentali. Però se noi guardiamo a dei numeri, noi abbiamo oggi un quasi 14% di bambini che sono a livello di povertà, più di 5 milioni di famiglie che sono a livello di povertà, noi non possiamo chiuderci gli occhi, soprattutto di fronte a inflazione, costo dell'energia, costo della vita. Quindi io sono molto preoccupato. Le priorità? Io dico le priorità delle “esse” che sono fuori da quelle che dicevo fondamentali da affrontare. Ci metterei anche la burocrazia, tra quelle fondamentali, perché è un grande palla al piede del Paese, oltre a fisco e giustizia, pensiamo alla salute. Oggi abbiamo trascurato investimenti importanti nel miglioramento degli ospedali, soprattutto per chi non ha la possibilità di andare in cliniche private. Pensiamo al tema della scuola dove ne abbiamo parlato, bambini, anche scuole che sono troppo diverse dal Nord al Sud. Pensiamo alla sostenibilità. Qui, ragazzi, continuiamo a non parlare di un tema di fondo, ne parliamo nei convegni, però lo dobbiamo affrontare con decisioni coraggiose. Pensiamo al tema anche importante, della sicurezza. Su questi temi io sogno, spero che le persone più responsabili del Paese in tutti i settori si mettano insieme, sono quattro, cinque priorità fondamentali. Sento troppo silenzio, troppo disinteresse, troppo poca azione da parte di tutti su questi temi. E l'altro, è il tema del lavoro, perché oggi noi abbiamo tanti lavori che gli italiani non vogliono fare, abbiamo tanti lavori potenziali che non vengono coperti come nell'agricoltura o nel turismo. Cifre importanti, parliamo di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Abbiamo arrivi di emigranti. Facciamo insieme, con investimenti da parte di tutti, un grande lavoro di formazione per poter coprire dei posti di lavoro che oggi non ci sono e di cui un Paese che vive di turismo, di industria e anche, grazie a Dio, di cultura deve poter occupare.

 

E chi può fare la sintesi? Chi può tenere insieme tutte queste anime?

 

Io credo che qui c'è una questione anche purtroppo contingente. Siamo in piena campagna elettorale, vedo tutti molto rivolti al “day by day”, al giorno e al presente. Auspico che ci siano leaders che si rendano conto che oggi bisogna essere vicino a quelli che sono i veri problemi della gente. E io credo che un tema dei salari sia un tema reale, perché arrivare alla fine del mese per molti è difficile, al di là dei 5 e oltre milioni di persone in povertà e quindi credo che questo sia uno sforzo che da parte del governo, ma da parte anche di tutti gli altri intorno a un tavolo, vada fatto.

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Curato e realizzato dal direttore di Sky TG24 Giuseppe De Bellis, “Vite – L’arte del possibile” è un ciclo di interviste dedicate al successo e alla capacità di raggiungerlo. Un ritratto professionale e personale di grandi italiani che si sono distinti nel proprio campo: dall’industria al cinema, dalla scienza allo stile fino all’arte e alla letteratura, divenendo noti in tutto il mondo. Le interviste entreranno anche a far parte della syndication dell’area news del Gruppo Comcast e potranno essere trasmesse anche da NBC. Le interviste di “Vite – L’arte del possibile” sono disponibili anche tra i podcast di Sky TG24, sul sito skytg24.it.

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