Inquinamento degli oceani, cosa sapere sulle cause e le conseguenze

Ambiente

Federica Scutari

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Fino agli anni Settanta, quando entrò in vigore il primo accordo internazionale sul tema, le acque del nostro pianeta sono state contaminate in maniera incontrollata da sostanze di ogni tipo, con gravi conseguenze - che permangono ancora oggi - per la flora e la fauna ma anche per gli esseri umani. Secondo alcune stime negli oceani ci sarebbero già 86 milioni di tonnellate di plastica. Ma l’inquinamento può essere anche chimico, acustico e luminoso

Le acque degli oceani coprono più del 70% della Terra e, secondo il Wwf, si stima che ogni anno ci finiscano dentro dai 4,8 ai 12,7 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Secondo alcune stime, riporta sempre il Wwf, nelle acque del nostro pianeta ci sarebbero già 86 milioni di tonnellate di plastica, di cui buona parte è ormai sui fondali. Solo negli ultimi anni il tema dell’inquinamento degli oceani ha acquistato una certa risonanza, e bisogna tenere presente che la plastica non è l’unico problema.

Come si è arrivati fin qui?

Fino agli anni Settanta si pensava che l’enormità degli oceani fosse garanzia del fatto che tutto ciò che ci veniva gettato dentro sarebbe stato diluito a sufficienza. Nelle acque del nostro pianeta veniva rilasciato di tutto, dai rifiuti alle scorie chimiche, industriali e radioattive. Ma la realtà è che le sostanze tossiche, oltre a non scomparire, tornano all’uomo tramite la catena alimentare. Nel 1972 arrivò il primo accordo internazionale sul tema, la Convenzione di Londra, poi ratificata nel 1975. Un’intesa che, essenzialmente, vietava lo smaltimento di rifiuti pericolosi in mare. Nel 2006 poi è entrato in vigore il Protocollo di Londra, un aggiornamento dell’accordo del 1972, che proibiva specificatamente lo smaltimento di qualsiasi rifiuto e materiale con pochissime eccezioni. Il 5 marzo 2023 è invece arrivato lo storico accordo all’Onu per il primo trattato internazionale a protezione dell'alto mare, quello che a oltre 200 miglia nautiche dalle coste esula dalle giurisdizioni nazionali e rappresenta i due terzi degli oceani, costituendo un ecosistema vitale per l'umanità. Il contenuto non è stato reso noto ma l'intesa è stata accolta come una svolta storica e decisiva per l'attuazione dell'impegno “30x30” preso alla conferenza Onu di dicembre sulla biodiversità, per proteggere un terzo dei mari (e delle terre) entro il 2030.

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L’inquinamento da plastica

Negli ultimi anni si è parlato molto dell’inquinamento degli oceani per quanto riguarda la plastica, che è un materiale non biodegradabile. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Plos One da un gruppo di ricerca internazionale guidato da Marcus Eriksen, co-fondatore dell'organizzazione no-profit californiana 5 Gyres Institute, a partire dal 2005 la plastica negli oceani è aumentata come non mai negli ultimi 40 anni. Sono oltre 170.000 miliardi i frammenti di plastica che galleggiano in superficie, per un peso complessivo di 2,3 milioni di tonnellate, e la velocità con cui vengono immessi in acqua è destinata quasi a triplicare entro il 2040. I residui di plastica negli oceani sono dannosi per la fauna: molti animali che li ingeriscono si ritrovano con le vie respiratorie e il tratto digerente ostruiti, o se da giovani rimangono impigliati in residui di questo tipo rischiano di sviluppare delle malformazioni. Come spiega National Geographic, “le buste di plastica assomigliano alle meduse, cibo abituale delle tartarughe marine, mentre alcuni uccelli marini si cibano di plastica perché rilascia una sostanza chimica che la dota di un odore somigliante a quello del cibo naturale che consumano abitualmente”. In molti animali sono state rinvenute anche le microplastiche che - spiega il Wwf - “derivano dall'abrasione degli pneumatici, dal lavaggio di tessuti sintetici o dalla disintegrazione di rifiuti plastici” e “vengono aggiunte a prodotti cosmetici come creme per la pelle, peeling, gel doccia e shampoo e giungono nei fiumi e nei mari attraverso le acque reflue”. Inoltre, alcuni scienziati hanno scoperto che nell’Oceano Atlantico anche i coralli si sono già nutriti di plastica invece che di cibo naturale.

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L’inquinamento chimico

Gli oceani sono duramente colpiti anche dall’inquinamento da sostanze chimiche come concimi, pesticidi, erbicidi, detersivi, petrolio, prodotti chimici industriali e acque reflue. Questo problema c’è ovunque, ma specialmente nelle zone costiere dove i deflussi dei concimi usati nei campi finiscono prima nei fiumi e poi nei mari. Una delle conseguenze è l’eccessiva crescita di alghe, spinta dalla concimazione, che consumano l’ossigeno dell’acqua causando la morte di molti esseri viventi. Inoltre, spiega National Geographic, “alcune sostanze chimiche inquinanti risalgono fino al vertice della catena alimentare, come il DDT”, mentre gli PFAS, “prodotti chimici contenuti in molti prodotti domestici, si accumulano nel sangue di esseri umani e mammiferi marittimi”.

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L’inquinamento acustico

Anche gli oceani soffrono l’inquinamento acustico. Si parla di rumori molto forti come quelli prodotti dalle navi, dalle piattaforme petrolifere o dai sonar, che interferiscono con la comunicazione sottomarina non visiva di molti animali fra cui balene e delfini. E il risultato è che a soffrirne sono i naturali schemi di migrazione, comunicazione, procacciamento del cibo e riproduzione della fauna.

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L’inquinamento luminoso

Anche la luce artificiale ha delle conseguenze sulla vita degli organismi marittimi. Spiega National Geographic: “L'inquinamento luminoso si addentra nelle acque e crea un mondo enormemente differente per i pesci che vivono tra gli scogli poco profondi in prossimità degli ambienti urbani. La luce altera i normali segnali associati con i ritmi circadiani secondo i quali le specie hanno fatto evolvere i loro cicli di migrazione, riproduzione e alimentazione. La luce artificiale notturna rende più facile per i predatori reperire i pesci preda più piccoli e può alterare la riproduzione dei pesci di scoglio”.

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