A che punto siamo con la plastica monouso? Il viaggio in bici di Pietro ed Emiliano
AmbientePietro Franzese ed Emiliano Fava hanno attraversato gli USA in bicicletta per documentare l'utilizzo dei prodotti monouso nel Paese che ha il più alto uso capite di plastica al mondo. Un viaggio per diffondere la cultura della bici e sensibilizzare sul riciclo e sulla sostenibilità delle scelte quotidiane. Ne parliamo con Maria Cristina Lavagnolo, Professoressa di Ingegneria Ambientale e Sanitaria dell'Università di Padova
La passione per la bicicletta e l’impegno per l’ambiente: questo è "Two italians across the US”, il progetto lanciato da Pietro Franzese ed Emiliano Fava, cicloviaggiatori e videomaker, che su due ruote e zero emissioni hanno attraversato gli Stati Uniti per documentare l’utilizzo della plastica monouso nel Paese dei mille fastfood. Un viaggio oltreoceano per riflettere anche su quello che succede a casa nostra. A che punto siamo con la deplastificazione?
Come è iniziata
“L’idea è nata quando l'anno scorso ho raggiunto Capo Nord, mentre ero a pochi km dall’arrivo pensavo già alla prossima avventura, cosa che succede spesso a chi viaggia in bicicletta ed è sul punto di arrivare a destinazione. È lì che ho deciso che avrei voluto attraversare gli Stati Uniti coast to coast, ma per farlo avevo bisogno di un compagno di viaggio”, racconta Emiliano (24 anni), creator di video originario di Santa Maria di Leuca e influencer del cicloturismo. Il compagno ideale è proprio Pietro, un ventottenne brianzolo che dal 2016 pedala per l’Europa. Una passione, nata per caso e diventata lavoro grazie a youtube e a un blog, che gli ha cambiato la vita, trasformando la pigrizia e il senso di inadeguatezza in voglia di scoprire il mondo in un modo 100% sostenibile. “La bici non è solo una passione ma è anche la possibilità di vivere in un Pianeta un po’ meno inquinato: io non ho l’automobile, utilizzo la bicicletta per andare ovunque”, spiega Pietro.
Generazione "social e green"
L’incontro tra i due è virtuale: avviene su Instagram in armonia con i tempi. A trasformare il viaggio in missione, l'obiettivo di realizzare un documentario che racconti l'America della plastica, che sarà pubblicato nei prossimi mesi, e la collaborazione con la onlus Plastic free, associazione che, dal 2019, organizza clean up, educazione ambientale per i giovanissimi, salvataggio delle tartarughe marine e deplastificazione dei Comuni. Fino al 30 aprile si può contribuire a una raccolta fondi mirata in particolare alla salvaguardia della riserva naturale del Mida Creek in Kenya.
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Gli Usa
California, Arizona, New Mexico e poi ancora Texas, Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida: "Abbiamo viaggiato per 6000 km da San Francisco, precisamente dall’iconico Golden Gate Bridge, fino a Key West il punto più a Sud degli Stati Uniti continentali", scandisce Pietro. Gli USA sono un luogo simbolico: i primi consumatori al mondo di plastica con un tasso di utilizzo pro capite da record, il regno del monouso. Ogni anno producono circa 42 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. “Non appena usciti dalla California, abbiamo seguito la Interstate 10 (I-10) lungo il confine messicano e l’inquinamento delle strade è peggiorato. La maggior parte della sporcizia era accumulata nelle Rest Area, dove la gente risposa e si rifocilla", ricorda Emiliano. Anche se l'inquinamento ai bordi delle strade può essere in molti tratti sotto controllo e il refill delle borracce nelle catene di ristorazione è una buona pratica piuttosto radicata, restano grandi contraddizioni: “Siamo passati per un paesino di 5mila anime che aveva 23 fastfood. Non era un villaggio di passaggio. Questo fa sì che utilizzino molta plastica e quella che non viene utilizzata è tantissima e non viene riciclata”.
L’impatto globale
Proprio negli ultimi mesi negli USA si è parlato di vietare la vendita di prodotti monouso nelle zone di parchi nazionali e riserve entro il 2032. Sarebbero interessati dalla misura 480 milioni di acri. Il fine ultimo è quello di contenere la dispersione negli oceani: si stima che circa 22 milioni dei 460 milioni di tonnellate di plastica prodotte al mondo ogni anno (questa la cifra stimata nel 2019) finiscano nell’ambiente in modo incontrollato. Le cattive abitudini e il consumismo sfrenato di alcuni Paesi si ripercuotono su tutto il pianeta. Da qui l'idea di scegliere il Kenya come beneficiario delle donazioni, un posto lontano dai nostri radar che vive nella quotidianità l’emergenza globale con le sue spaventose distese di rifiuti. Attraverso i soldi raccolti si rafforzerà il sistema di smaltimento della plastica nella zona di Mida Creek, finanziando anche la realizzazione di cestini in fibra naturale oltre alla costruzione di un pozzo per l'acqua dolce e alla messa a dimora di mangrovie, pianta fondamentale per la biodiversità.
L’Italia
Pietro ed Emiliano puntano anche ad accendere i riflettori sulla situazione italiana. L’Italia è il secondo Paese nella classifica europea dei consumatori di plastica. E abbiamo anche un primato. Siamo i primi in Europa per consumo di acqua minerale in bottiglia, in gran parte di plastica. Beviamo 200 litri di acqua in bottiglia all’anno a testa contro i 100 litri della media europea. Secondo Valore Acqua, saliamo persino sul podio mondiale.
Un vero cambio di passo?
Dall’inizio del 2022 è entrata in vigore in Italia la direttiva europea Single Use Plastic (SUP) che ha voluto mettere un argine ai prodotti monouso e ad uso ridotto, ma in una declinazione tutta italiana. “Nel nostro Paese è stata recepita in modo non completamente aderente a quelle che erano le richieste dell’Europa: sono stati salvati dallo stop alla messa in vendita i prodotti fatti di plastica biodegradabile o compostabile con almeno il 40% di materiale rinnovabile fino al 2023. Dopo il 2023 dovranno contenere almeno il 60% di materiale rinnovabile”, illustra Maria Cristina Lavagnolo, docente di Ingegneria sanitaria e ambientale all’Università di Padova. “Sono stati esclusi anche i materiali fatti di cartoncino che hanno una percentuale di plastica interna - quella utilizzata per impermeabilizzare le confezioni - inferiore al 10%”, aggiunge.
Un altro fronte aperto
Un nuovo regolamento sul packaging in plastica è in discussione in Europa. “Bisogna considerare che nel nostro Paese consumiamo circa 6 milioni di tonnellate di plastica all’anno, di questi circa il 40% vanno a produrre imballaggi, che sono il settore responsabile per la maggior parte della produzione dei prodotti monouso”, spiega Lavagnolo. Anche su questo tema l’Italia promette battaglia: il testo è considerato poco flessibile per la sua essenza autoapplicativa. In parole povere, non avrebbe bisogno di essere recepito come accade per le direttive, ma sarebbe automatico e per questo più rigido. Perplessità degli imprenditori anche rispetto all’idea che sta dietro alle nuove norme: sarebbero troppo improntate sul riutilizzo a discapito del riciclo e quindi dei buoni risultati ottenuti dall'Italia proprio nell'ambito degli imballaggi, sempre secondo il mondo produttivo.
La vita nuova dei rifiuti
Nel 2020 siamo riusciti a riciclare il 73% dei rifiuti urbani e industriali (il 49% era plastica). Numeri record che ci hanno collocato persino sopra la media europea. “In Italia, la plastica oggi viene per 1/3 riciclata, 1/3 portata a recupero energetico e l’altro terzo finisce in discarica anche se la percentuale si sta abbassando velocemente, più o meno le stesse percentuali che abbiamo in Europa. Le criticità di alzare i ricicli - chiarisce Lavagnolo - sono dovuti a mancanza di impianti, ma c’è anche il problema della qualità della plastica riciclata”. Dal ‘97, anno in cui è stato emanato il decreto Ronchi che metteva al centro in modo organico "prevenzione dei rifiuti e attività di riutilizzo, riciclaggio e recupero", sono stati fatti grandi passi avanti. “Plastic free è qualcosa a cui possiamo cercare di tendere, ma che sicuramente per adesso e per i prossimi anni sarà quasi impossibile - sottolinea Lavagnolo - possiamo tenerla presente e tenere presente gli impatti della plastica tradizionale e portare avanti delle azioni anche europee che permettano di tenere sotto controllo abbandono e ridurre le emissioni non solo nel post consumo, ma anche quando la plastica viene prodotta”.