Frankenstein, recensione del film di Guillermo del Toro: il gotico diventa poesia
Recensioni NetflixGuillermo del Toro firma con Frankenstein il suo film più personale, presentato a Venezia 82 e disponibile su Netflix (visibile anche su Sky Q, Sky Glass e Now tramite la app Smart Stick) dal 7 novembre. Con Oscar Isaac, Jacob Elordi e Mia Goth, il regista trasforma il mito di Mary Shelley in una visione gotica e struggente sull’imperfezione, l’amore e la ribellione. Una recensione che esplora il cuore spezzato e visionario di un capolavoro
“Così il cuore si spezzerà, eppure spezzato vivrà”, scriveva Lord Byron. Ed è con questa ferita che si apre Frankenstein di Guillermo del Toro, presentato a Venezia 82 e disponibile su Netflix dal 7 novembre. Non un semplice adattamento del romanzo di Mary Shelley, ma una liturgia gotica che è insieme confessione personale e summa del cinema del regista messicano.
Del Toro stesso lo ha definito “più di un sogno, una religione”. Per lui, i mostri sono santi patroni, compagni segreti di chi si sente fuori posto. Qui, il mostro diventa lo specchio della nostra umanità fragile e imperfetta.
Un laboratorio tra arte e abisso
Ambientato tra la guerra di Crimea e i ghiacci dell’Artico, il film segue Victor Frankenstein (Oscar Isaac), scienziato-artista con l’energia di una rockstar decaduta, ossessionato dall’idea di sfidare la morte.
La sua Creatura (Jacob Elordi), concepita come un mosaico di corpi e memorie, non nasce per suscitare orrore ma compassione: una statua di alabastro incrinata, un Prometeo ricomposto che porta in sé la bellezza e l’orrore della vita.
Del Toro rifiuta le cuciture mostruose della tradizione: “Non volevo che fosse un cadavere mutilato. Victor non è un macellaio, voleva l’uomo perfetto”.
La creatura diventa bambino, filosofo, soldato risorto: una figura tragica e sublime che attraversa i secoli come un canto di solitudine.
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Mia Goth, l'icona inquieta che trasforma l’orrore in bellezza
Oscar Isaac e Jacob Elordi: padri e figli, carne e spirito
Il cuore pulsante del film è la relazione tra Victor e la Creatura: padre e figlio, carnefice e vittima, due riflessi deformi dello stesso dolore.
Oscar Isaac incarna un Victor fragile e tirannico, “un despota che si crede vittima”, come lo descrive Del Toro. Jacob Elordi, invece, dona alla Creatura un’innocenza infantile e una lentezza quasi rituale, ispirata alla danza Butoh. È un corpo che impara a esistere, un angelo caduto in cerca di un padre.
La loro fratellanza spezzata diventa metafora dei traumi che attraversano generazioni, dei padri che non sanno amare e dei figli che cercano di comprendere.
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Venezia 82, in concorso "Frankenstein" di Guillermo del Toro
Elizabeth, la luce fragile di Mia Goth
Accanto a loro, Mia Goth è una Elizabeth eterea e tagliente, attratta dal mondo naturale come un’entomologa di anime. È il cuore luminoso di un film immerso nell’oscurità, il riflesso della madre perduta di Victor e la promessa impossibile di amore.
Con i suoi abiti verdi e viola, è una scream queen neoromantica, capace di ribaltare l’icona della sposa gotica. Nei suoi sguardi abita la libertà di un’anima che rifiuta la gabbia.
Come le farfalle amate da Del Toro: magnifiche, ma sempre destinate allo spillo.
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"Frankenstein" di Del Toro ci rivela che il vero mostro è l'uomo
La bellezza dell’imperfezione
“Il film mostra il nostro diritto all’imperfezione e ci ricorda cosa significhi restare umani nel periodo meno umanizzante della storia”, ha detto Del Toro.
Frankenstein diventa così un manifesto politico e poetico. Non un horror in costume, ma un melodramma rock: rosso e nero, carne e anima.
È un film che racconta l’adolescenza eterna dell’uomo, la ribellione contro Dio, contro il sistema e contro sé stessi.
Del Toro dissemina segni e reliquie: catene che si trasformano in ancore, dettagli che separano l’umano dal divino. È un cinema che interroga, non che consola.
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Il corpo come ideologia
In Frankenstein la carne non è semplice materia, ma una scrittura politica. Ogni cicatrice diventa una parola di protesta contro l’omologazione del potere e la crudeltà della scienza che vuole dominare la vita.
La Creatura, composta da frammenti di corpi, diventa l’allegoria di un mondo che non accetta la diversità e tenta di eliminarla.
Del Toro trasforma il corpo difforme in un atto di resistenza, un’icona della sopravvivenza. L’orrore non nasce dal mostro, ma dallo sguardo che lo giudica.
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Frankenstein, il trailer del film di Guillermo del Toro
Un’epopea visiva: dal ghiaccio al sangue
Girato tra Toronto, Edimburgo e Glasgow, il film è una sinfonia visiva.
La fotografia di Dan Laustsen alterna blu siderali e rossi incandescenti, mentre la scenografia di Tamara Deverell costruisce laboratori circolari e castelli che evocano Barry Lyndon e Crimson Peak.
Tutto è reale: set colossali, protesi, navi meccaniche.
Del Toro rifiuta il digitale per restituire al gotico la sua carne e la sua materia.
Il risultato è un film inciso nella pietra, una tragedia monumentale in cui anche il ferro sembra sanguinare.
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Alexandre Desplat e la musica del cuore spezzato
La colonna sonora di Alexandre Desplat accompagna la storia come un requiem d’amore.
Archi, organi, cori solenni: un tema che oscilla tra lirismo e follia, trasformando il dolore di Victor in melodia.
È una partitura viva, che respira con i personaggi, come se anche la musica fosse un corpo ricomposto.
Una preghiera che vibra d’eternità.
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Frankenstein, 13 minuti di applausi per il film di Del Toro a Venezia
Eredità e futuro del mostro
Con Frankenstein, Del Toro chiude il suo personale vangelo dei mostri: dal vampiro orologiaio di Cronos all’amore anfibio de La forma dell’acqua, fino a questa creatura che chiede soltanto di essere vista.
Ma apre anche un nuovo capitolo per il cinema fantastico: uno in cui il gotico smette di essere nostalgia e diventa atto politico.
Frankenstein non è solo resurrezione: è sopravvivenza poetica, memoria del dolore, riflessione sull’umanità che resta quando tutto il resto crolla.
Nel finale, la Creatura pronuncia la frase che riassume tutto:
“Nella vita il cuore umano è spezzato, ma anche con il cuore spezzato si vive.”
Frankenstein come cocktail
Se questo Frankenstein fosse un cocktail, sarebbe un Corpse Reviver n.2: un bicchiere nato per risvegliare i morti, tra assenzio e limone, gin e Cointreau.
Un drink che brucia e consola, che sa di resurrezione e di condanna.
Un sorso che ti lascia intontito ma vivo, con il cuore ancora spezzato eppure capace di battere.
È questo, in fondo, il brindisi di Guillermo del Toro: che anche dalle ceneri del dolore possa rinascere un po’ di umanità.