"Frankenstein" di Del Toro ci rivela che il vero mostro è l'uomo

Per Guillermo Del Toro “Frankenstein” di Mary Shelley è sempre stato una sorta di bibbia. L’ha letto, studiato e costantemente consultato. Lavorare a un adattamento per il cinema è stato come coronare un sogno. E in molti, tra fan e addetti ai lavori, non aspettavano altro che poterlo vedere. Con il suo “Frankenstein” Del Toro ha provato a rispettare sia il tono del romanzo di Mary Shelley sia, poi, il tema del mostruoso. La sua Creatura, interpretata splendidamente da Jacob Elordi, è un’estensione dell’umano: spogliata di qualunque percezione e di qualunque preconcetto; quasi costretta a piegarsi al mondo che la circonda, con la cattiveria e la malizia delle persone. Nel libro di Mary Shelley, Del Toro ha trovato esattamente quello di cui, crescendo, aveva bisogno: uno specchio in cui vedersi e riconoscersi; un riferimento tanto nel rapporto con gli altri quanto per i tumulti emotivi che lo travolgevano durante la giovinezza. La Creatura, per Del Toro, è diventata una sorta di simbolo dell’insicurezza e della frenesia dell’adolescenza. Al contrario, nell’ossessione di Victor Frankenstein ha scoperto la fede profonda che si può avere per un’idea. Ovviamente ci sono delle differenze importanti tra il percorso del personaggio del libro di Mary Shelley e quello di Del Toro. Eppure è abbastanza innegabile una certa somiglianza: come Frankenstein, anche Del Toro ha inseguito per molto tempo il suo obiettivo . E come Frankenstein anche Del Toro ha provato a difendere la sua Creatura. Non è un’esagerazione dire che questa storia, con i suoi spunti e le sue riflessioni, ha finito per condizionare profondamente l’immaginario e la visione di Del Toro. Il rapporto con il mostruoso, per esempio, è uno dei temi principali della sua filmografia. “Frankenstein” si divide essenzialmente in capitoli, seguendo prima le premesse del racconto, con la presentazione dei personaggi e del contesto in cui la loro storia viene raccontata, e dividendosi poi tra il punto di vista dei due protagonisti. Per Del Toro è sempre stato importante provare a riportare nel suo film lo stesso ritmo dei dialoghi e della scrittura di Mary Shelley. Quindi la stessa musicalità, lo stesso andamento coinvolgente, la stessa ricercatezza nella caratterizzazione dei personaggi. La messa in scena di “Frankenstein”, tra scenografia e costumi, è sontuosa, ricca e decisamente spettacolare. Del Toro non si abbandona mai all’effettistica e alla computer grafica; prova sempre a sfruttare al massimo il trucco e le ricostruzioni. Oscar Isaac interpreta Frankenstein, mentre Mia Goth interpreta Elizabeth. E se è Isaac a dare una struttura e una compostezza al racconto, sono Goth ed Elordi – che, come dicevamo prima, interpreta la Creatura – a dare al film una sua profondità emotiva. Il film di Del Toro si offre come una riflessione per immagini sull’amore, sull’accettazione dell’altro, sulle differenze tra singoli individui. Parla anche di rapporto tra creatura e creatore, tra figli e genitori, tra persona amata e persona innamorata. Ha una sua linearità precisa, e non è assolutamente difficile da seguire. Nella visione di Del Toro la Creatura acquisisce uno spessore ulteriore, proprio perché diventa un simbolo. Curiosa, insicura, quasi infantile. Poi però sola, costretta a nascondersi. Finalmente accolta e accudita. Infine più consapevole, desiderosa di condividere la propria esistenza con qualcun altro; pronta a vendicarsi del suo creatore e a lasciarsi andare completamente alla rabbia. Il paradigma mostruoso-sconosciuto si ribalta. E scopriamo che il vero mostro, l’essere cioè che fa più paura, è l’uomo. Con la sua ferocia, la sua sete di vendetta e le sue ambizioni. Anche Frankenstein, come la Creatura, attraversa diverse fasi e cambia. Arrogante, geniale, brillante. Quindi deciso a chiedere perdono e a offrirsi completamente alla pietà dell’altro. Isaac ed Elordi, in questo, finiscono per incarnare quasi i due opposti. Tra di loro, essenziale e volutamente gentile, c’è Mia Goth, che si muove dall’uno all’altro. Il “Frankenstein” di Del Toro – dal 7 novembre su Netflix – è un film in cui convivono contemporaneamente più anime. C’è quella del regista messicano, innamorato – come dicevamo all’inizio – del romanzo di Mary Shelley. C’è quella dei personaggi e degli attori. E poi ce n’è un’altra, forse meno lampante e immediata, che ci parla della passione per le storie e del loro potere: possono essere una grande conquista, un modo per allargare i propri orizzonti e la propria consapevolezza e per avvicinare persone apparentemente lontanissime tra di loro.

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"Frankenstein" di Del Toro ci rivela che il vero mostro è l'uomo

Gianmaria Tammaro