Mia Goth, da Suspiria a Frankenstein: perché è l’icona più inquieta del cinema di oggi

C’è un momento, in Frankenstein di Guillermo del Toro, in cui Mia Goth non interpreta: respira, vibra, si dissolve. È la Elizabeth più dolente e luminosa mai portata sullo schermo, una creatura che sembra uscita da un sogno febbrile di Mary Shelley. “Guillermo me l’aveva detto: ho scritto il personaggio con te in mente”, racconta lei, ancora incredula. Ed è vero: Del Toro ha trovato in Mia la sua musa definitiva, una delle poche star capaci di incarnare insieme la grazia e la ferocia del gotico. In un film che trabocca di visioni barocche e creature ibride, è Mia Goth la cosa migliore di Frankenstein: un corpo che non imita ma si trasfigura, un’anima che abita la soglia fra amore e orrore. Dal sangue alla grazia Goth non è più soltanto la “final girl”. È la “prima dea” di un nuovo pantheon cinematografico dove il terrore diventa arte. Da Suspiria di Guadagnino a Pearl, da Infinity Pool a MaXXXine, fino al Frankenstein di Del Toro, la sua carriera è un rosario di metamorfosi. Nel suo sguardo convivono la disperazione algida di A Cure for Wellness e la follia lucente di un’eroina disneyana precipitata nell’inferno del desiderio. In Suspiria di Luca Guadagnino, dove interpreta Sara, Goth impara a comunicare con il corpo prima che con la voce: danza come se ogni gesto fosse un incantesimo, una preghiera dolorosa. “C’era qualcosa di crudo e primordiale in quella danza, una forza femminile che non aveva nulla di sexy ma tutto di sacro,” ha raccontato a Wonderland Magazine. È lì che nasce il suo modo di recitare: fisico, totale, capace di fondere la grazia e il terrore in un unico movimento. Nei film di Ti West, poi, quella tensione si moltiplica: Goth trasforma la scream queen in una creatura mitologica. Maxine Minx, diva pornografica e santa pop, avanza nella notte californiana come un’apparizione, con la sicurezza insolente di chi ha capito che la paura può essere glamour e la ferocia può brillare. Quella lezione del corpo, appresa tra le streghe di Berlino, trova il suo compimento nella recitazione spoglia e quasi ascetica di Frankenstein: dal rito al silenzio, dal sangue alla grazia. Come ha scritto AnOther Magazine, Goth “non interpreta l’orrore: lo sente nella carne.” È un’attrice che non pensa ma vibra, che considera la recitazione non un esercizio intellettuale ma un atto fisico, un contatto con l’invisibile. “È un mestiere di sensazioni, non di concetti. A volte preferisco non parlare di una scena: basta sentirla”, spiega. C’è qualcosa di ancestrale, quasi rituale, nel suo modo di stare davanti alla macchina da presa. Goth non recita: si possiede, come una medium. Ti West, che l’ha accompagnata nella trilogia X–Pearl–MaXXXine, lo ha capito meglio di chiunque altro. “Finché non sei un mostro, non sei una star”, diceva Bette Davis. E Mia Goth, con la sua dolcezza inquieta e il suo magnetismo ipnotico, è la dimostrazione vivente che la mostruosità può essere un atto di libertà. A trentadue anni, Mia Gypsy Mello da Silva Goth – nata a Southwark, cresciuta tra Rio e Londra, figlia di una madre brasiliana e di un padre canadese – è una delle interpreti più sorprendenti della sua generazione. Scoperta da Lars von Trier in Nymphomaniac, ha attraversato il cinema come un’ossessione: nuda, fragile, famelica, senza mai scivolare nel compiacimento. In Pearl sorride fino a sanguinare, in Infinity Pool gioca col potere e con la crudeltà, flirtando con la follia. In Frankenstein trova la sua epifania: la bellezza profanata che diventa poesia visiva. “Ho impiegato tempo a trovare Elizabeth – confessa – ma ho capito che era vicina a me. È un personaggio pieno di contraddizioni, come lo sono io.” E infatti, nella lettura di Del Toro, Elizabeth non è la vittima sacrificale del mito, ma una donna che reclama la propria voce in mezzo ai fantasmi maschili della creazione. È il cuore pulsante di un film che parla di identità, perdita e rinascita, di ciò che si distrugge per tornare a vivere. Negli ultimi anni, Mia Goth ha riportato l’horror nel territorio del sublime, trasformandolo in una liturgia del corpo e della mente. È la regina di un’estetica nuova, dove la paura è erotica, il dolore è grazia, e la mostruosità diventa linguaggio. La moda l’ha incoronata: è apparsa sulle copertine di Vogue Italia e AnOther Magazine, ritratta come un’eroina romantica e selvaggia, vestita Prada o Comme des Garçons, sospesa tra la bambola e la strega. “Descriverei il mio stile con una parola: donna. Poter essere femminile con tutto ciò che mi fa sentire bella e sicura di me”, dice lei. È la stessa femminilità che porta nei suoi film: inquieta, ambigua, profondamente libera. Forse per questo Guillermo del Toro l’ha voluta nel ruolo più fragile e insieme più potente del suo Frankenstein. La nascita di un’icona Nel laboratorio di Del Toro, la sua Elizabeth chiude un cerchio. Dal sangue di Pearl alla purezza tragica di Frankenstein, Mia Goth diventa la creatura e la creatrice di un immaginario nuovo: quello in cui l’horror incontra l’empatia e la bellezza coincide con la ferita. È un percorso di reincarnazioni, un rosario di metamorfosi che restituisce all’arte dell’attore una dimensione mistica. Goth non interpreta i ruoli: li assorbe, li espira, li lascia marcire e rinascere dentro di sé. È una performer da laboratorio alchemico, dove l’orrore diventa oro liquido, e il corpo — strumento, tempio, ferita — si fa linguaggio sacro. Nel cinema di oggi, dominato da superfici perfette e narrazioni anestetizzate, Mia Goth è un’anomalia necessaria: un volto che non rassicura, un corpo che non consola, una voce che non chiede approvazione. È l’anti-star che riporta il mistero nel volto umano, la sacerdotessa che ricorda al pubblico che la paura può essere una forma d’amore. E così, mentre in Frankenstein la sua Elizabeth contempla il confine fra la vita e la resurrezione, anche noi — spettatori ipnotizzati — comprendiamo che il vero miracolo non è la creazione del mostro, ma la nascita di Mia Goth come icona del perturbante. Una diva del nostro tempo, dove la grazia ha il sapore del sangue e il terrore quello della verità. È un percorso di reincarnazioni, un rosario di metamorfosi che restituisce all’arte dell’attore una dimensione mistica. Goth non interpreta i ruoli: li assorbe, li espira, li lascia marcire e rinascere dentro di sé. È una performer da laboratorio alchemico, dove l’orrore diventa oro liquido, e il corpo — strumento, tempio, ferita — si fa linguaggio sacro. Nel cinema di oggi, dominato da superfici perfette e narrazioni anestetizzate, Mia Goth è un’anomalia necessaria: un volto che non rassicura, un corpo che non consola, una voce che non chiede approvazione. È l’anti-star che riporta il mistero nel volto umano, la sacerdotessa che ricorda al pubblico che la paura può essere una forma d’amore. E così, mentre in Frankenstein la sua Elizabeth contempla il confine fra la vita e la resurrezione, anche noi — spettatori ipnotizzati — comprendiamo che il vero miracolo non è la creazione del mostro, ma la nascita di Mia Goth come icona del perturbante. Una diva del nostro tempo, dove la grazia ha il sapore del sangue e il terrore quello della verità. Se fosse un cocktail sarebbe “The Electric Eve” Non è un drink, è una resurrezione. “The Electric Eve” nasce dal laboratorio immaginario di Guillermo del Toro e da una danza interiore che attraversa tutta la filmografia di Mia Goth. Un twist dark sul Corpse Reviver #2: gin, Cointreau, succo di limone, un goccio d’assenzio e qualche goccia di granatina. Si serve in coppa ghiacciata con una foglia d’oro galleggiante, come la scintilla che riaccende la vita dentro il corpo del mostro. Ogni ingrediente è un frammento della sua metamorfosi: il gin, la mente lucida della danzatrice di Suspiria; il Cointreau, la dolcezza assassina di Pearl; il limone, la scossa di sopravvivenza di MaXXXine; l’assenzio, il delirio erotico di Infinity Pool; la granatina, il sangue che ribolle sotto la pelle della Elizabeth di Frankenstein. È un brindisi alla trasformazione e alla femminilità che non chiede perdono — un sorso che elettrizza e inquieta, come una carezza data con le dita immerse nella luce.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Mia Goth, da Suspiria a Frankenstein: perché è l’icona più inquieta del cinema di oggi

Paolo Nizza