A complete Unknown, la recensione del film su Bob Dylan con Timothée Chalamet
CinemaArriva al cinema, la struggente ballata orchestrata dal regista James Mangold. Ispirata alla biografia “Dylan Goes Electric!,” scritta da Elijah Wald, un'opera che racconta la genesi di un mito della musica, tra amori, concerti e tradimenti. Con un cast eccezionale, composto da Monica Barbaro, Elle Fanning ed Edward Norton, un viaggio scandito dalle note di capolavori come Mr. Tambourine Man, Blowin' in the Wind, The Times They Are a-Changin’, Like a Rolling Stone, cantati dalla voce dello stesso Chalamet
Abbandonarsi alla visione di A complete Unknown, candidato agli Oscar 2025 come miglior film (TUTTE LE NOMINATION) e nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 23 gennaio, è come degustare una bottiglia di Heaven’s Door, il whiskey americano prodotto da Bob Dylan. Tra Straight Rye, Straight Bourbon e Double Barrel, il sapore ti cattura e schiude i cancelli di un mondo lontano e misterioso. Un’opera d’arte capace di raccontare un’autentica icona, concentrandosi esclusivamente su una manciata di anni: dal 1961 al 1965. Vocazione e prime esperienze di un artista ineguagliabile, unico cantautore ad aver vinto il Premio Nobel per la letteratura. Il regista e sceneggiatore James Mangold (già autore di Quando l'amore brucia l'anima - Walk the Line, sontuosa pellicola su Johnny Cash e sulla sua turbolenta love story) con June Carter, dribbla, parimenti a un fuoriclasse, la perniciosa palude di quei velleitari biopic che vorrebbe spiegarti tutto e alla fine non ti dicono un bel niente. Perché aveva ragione Bernardo Bertolucci: “la conoscenza aumenta il mistero”. Sicché, questa accurata sineddoche cinematografica cattura l’attimo e la sua bellezza. Un lungometraggio che rispecchia quello che Dylan pensa della settima arte: "Quando vado a vedere un film mi aspetto di venire commosso. Non vado al cinema solo per passare il tempo o perché il film mi mostri qualcosa che non conosco. Voglio essere commosso, perché questo è il senso dell'arte e anche il senso di tutti i grandi teologi. L'arte deve trascinarti via dalla tua sedia. Il suo compito è trasportarti da una dimensione all'altra."
"Non c'è una verita. ne conviene?"
Si sa, la memoria non è mai oggettiva. Con il trascorrere del tempo modifichiamo i ricordi, modelliamo il passato nella speranza di trasfigurare il vissuto, i dolori, i fallimenti in una scultura di Rodin, nello specifico, quel celeberrimo pensatore che abita in un noto museo di Parigi. Quindi A complete Unknown è non è certo una pagina di Wikipedia. Senza contare che Bob Dylan, non è mai stato un cuor contento, il “simpa della compa”, il Gesù compagnone, immortalato dal film Dogma di Kevin Smith”. Eppure, quando il giovane e scapigliato genio approda a New York City, parteggi per quel Rimbaud dinoccolato, empatizzi con chi non è mai stato empatico in vita sua. È questa la magia del cinema. L’ermetico ragazzo del Minnesota, per l’anagrafe Robert Allen Zimmerman, nato a Duluth, il 24 maggio 1941, con ogni probabilità non è mai stato un circense e tantomeno ha imparato a suonare con volitivi cowboy con la giacca con le frange. Insomma, per citare il Simenon di “L’uomo che guardava passare i treni: “Non c’è una verità, ne conviene?”
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Disadattti e sognatori
Da vagabondo a visionario, A Complete Unknown ci offre un ritratto indimenticabile dell’artista da giovane. Ci si perde di buon grado in quella comunità di disadatti e sognatori (ancora una volta si strizza l’occhio alla comune di Parigi e l’imberbe Rimbaud). La ricostruzione di MacDougal Street, nel Greenwich Village, è da nomination all’Oscar. The Kehle of Fish, Café Reggio, Café Wha, Don and Elsie’s Music Box, Mineha Tavern e The Gaslight prendono vita sullo schermo. Al pari di chi ha contribuito a trasformare un talento in un genio, pur senza proferire parola, solo con la musica. Come Woody Guthrie. Le sequenze ambientate nell’ospedale del New Jersey tra il mentore, da remoto. che ormai si manifesta solo con lo sguardo e il futuro premio Nobel sono da antologia. Un perpetuo gioco di sguardi, perché tra geni ci si intende. In quell'America, agitata dall'invasione della baia dei Porci e a seguire, dall' assassinio del presidente Kennedy, Bob omaggia i "Mavericks", gli Hobo, ma è difficile convivere il letto con il successo, soprattuto se lo hai semopre desiderato

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A Complete Unknown, Timothée Chalamet a Roma a Piazza di Spagna
Da Monica Barbaro a Elle Fanning
A complete Unkown è un film in grado di arrivare pure a chi di Bob Dylan sa poco o niente. In fondo, è pure una grande storia d’amore e di amicizia. Basta pensare a Peter Seeger, in fissa per la musica folk, per la libertà e per Bob Dylan. E quanto risulta sublime lo scontroso Edward Norton nei panni di questo serafico personaggio, immenso sia quando suona il banjo, sia quando accoglie e sponsorizza il menestrello from Minnesota. Cionondimeno, risulta gigantesca la performance di Monica Barbaro che interpreta Joan Baez. Indimenticabile quando in coppia con il menestello canta Blowin' in the Wind oppure battibecca in una crepuscolare stanza del mitico Chelsea Hotel. Straordinaria pure la partecipazione di Elle Fanning che presta volto e voce a Sylvie Russo, ispirata a Suze Rotolo, uno dei grandi amori giovanil del cantautore . Una relazione tormentata e financo immortalata da Don Hunstein nella celeberrima copertina dell'album The Freewheelin' Bob Dylan

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A Complete Unknown, tutto sul film con Timothée Chalamet aka Bob Dylan
Timothée Chalamet come Rimbaud
Antipatico ruvido, anaffettivo, eppure fascinoso, amabile, fragile. Il Bob Dylan di Timothée Chalamet, candidato agli Oscar come miglior attore, è uno, nessuno, centomila. L''attore americano è incredibile, sia quando, sia quando recita. Con il viso che con il passare degli anni perde di rotondita e quello sguardo in cui l'innocenza, cede il passo al disagio. Un artista stanco di essere la proiezione del desiderio di qualcun altro. Perché quando ti chiedono da dove nascano le tue canzoni, il tuo interlocutore, in realtà, rosica perché quelle note, quelle parole non sono venute in mente a lui:
Se Philip K Dick si domandava se gli androidi sognassero pecore elettriche. A Complete Unknown ci mostra che il talentuoso cantautore bramava chitarre elettriche. E soprattutto odiava essere imprigionato in un cliché, incatenato in un genere. Per Dylan Come per Rimbaud, “L’io è un altro” E quell’esibizione, datata 25 luglio1965 in quel di Newport, tempio del culto del folk, cambierà per sempre la storia della musica e non solo. Con la benedizione di Johnny Cash (un ottimo Boyd Holbrook), i tempi cambiano e continueranno a cambiare. Chissenefrega, se dal parterre, qualche occhiuto talebano della chitarra acustica grida “Giuda! Traditore!”. In virtù della british invasion, protetto da un paio di occhiali da sole, avvolto nell’aderente giacca scamosciata e nei jeans Levi’s 501 molto slim, Dylan travolge il pubblico, quanto una pietra che rotola. Ed è fantastico, che al tempo stesso il film citi la celeberrima battuta finale dell’epocale melò. Perdutamente tua, con Bette Davis che chiosa: Oh, Jerry, non chiediamo la luna... abbiamo già le stelle.”. Ecco, il lungometraggio di Mangold riesce nel miracolo di offrircele entrambe. Ed è impossibile, terminata la visione uscire dalla sala senza canticchiare: “How does it feel, how does it feel?. To be without a home Like a complete unknown, like a rolling stone.”