A Complete Unknown, Chalamet: "Bob Dylan, la storia della realizzazione dei propri sogni"

Cinema

Bruno Ployer

Il cast e il regista del biopic che racconta i primi anni della carriera del grande cantautore parlano della rilevanza della sua storia. In sala dal 23 gennaio. Le interviste

Timothée Chalamet interpretando Bob Dylan in A complete unknown ha dato un gran prova d’attore recitando, cantando, suonando, in un film dove la parte musicale è determinante e dominante. Il giorno della presentazione italiana l'attore statunitense ha dato anche prova di simpatia: con il sorriso ha firmato autografi e si è fatto fotografare con gli ammiratori, soprattutto ragazze, che lo hanno aspettato nelle varie tappe della giornata romana. Ha anche accettato una sciarpa giallorossa, forse perché Timothée è un fan di Francesco Totti e lo ha dimostrato dicendo di aspettare il suo commento sul film. Gli abbiamo domandato anche di questo nell’intervista realizzata in un posto speciale: su un bus a due piani scoperto parcheggiato accanto al Circo Massimo, il luogo di spettacolo più grande dell’antica Roma. Ma partiamo dal film:

 

Timothée, dopo aver girato il film lei è diventato un ammiratore di Bob Dylan?

Un grande ammiratore, perché amo la sua musica, il suo essere artista e ciò che rappresenta per la cultura, non solo in America, ma anche nel Mondo.

 

Crede che la storia di Dylan sia ancora importante?

Certo, è capace di ispirare me, persone più giovani e persone più vecchie di me. È la storia di qualcuno che ha trionfato contro ogni previsione per realizzare i propri sogni e aspirazioni. Ci si può riconoscere in ogni epoca.

 

Perché ha detto di tenere molto all’opinione di Francesco Totti sul film?

Perché Francesco Totti è come il Bob Dylan di Roma. Non è un artista della mani, ma dei piedi. Molti dicono che sia il Mozart dei piedi. È bello se i grandi artisti del tuo tempo, come Bob Dylan o Francesco Totti, avvalorano il tuo lavoro.

La questione dell’importanza di Dylan diventa subito il tema dell’intervista e richiama i punti di vista degli altri partecipanti: il regista James Mangold e gli attori Edward Norton e Monica Barbaro.

 

“Ognuno ha un rapporto molto personale con il film – dice Barbaro- e le interpretazioni di ognuno sono state molto differenti. Ho visto persone uscire dal cinema con impressioni completamente diverse, anche opposte. Secondo me parla di un’evoluzione artistica e credo sia molto interessante, soprattutto considerando come Bob Dylan si è evoluto continuamente nel corso della carriera. È importante consentire a un artista di influenzarti, di cambiare, di crescere e di evolverti”.

 

“Monica l’ha detto bene – si inserisce Edward Norton - è Il pubblico che deve decidere perché è importante. Noi possiamo solo cercare di dare vita nella storia che James Mangold ha scritto. Non si può dettarne l’importanza. Questo è il punto, secondo Bob Dylan: non parlare del significato, lascia che sia il pubblico a capirlo. Proprio in questo sta la sua potenza”.

 

James Mangold: “Credo che ‘importante’ non sia la parola giusta. Secondo me si tratta di musica senza tempo. Tra dieci anni ci sarà solo una scheggia della musica di oggi che verrà ascoltata. Qui invece stiamo parlando di musica che ha sessant’anni e che sta ancora influenzando le persone. Le ossessiona, le fa sorridere, le fa pensare, semplicemente godendo della poesia e della combinazione di parole e musica. Guardati attorno, siamo a Roma, tutto questo è stato fatto secoli fa ed è ancora importante perché è ancora bellissimo. Stiamo parlando di qualcosa che non deve essere fresco, non è latte. Deve essere solo bellissimo e significativo”.

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Mangold, possiamo dire che il suo film è un musical?

Può chiamarlo come vuole. È un film con musica. Per molti questo significa che le persone si scatenano con le canzoni e in un certo senso è così. Questo è un film sul fare musica, su persone che stanno vivendo turbolenze, drammi, gioia e paura mentre fanno musica.

 

Sa che Bob Dylan si esibì a Roma nel gennaio 1963?

No, ma non mi stupisce, girava il mondo in quel periodo. E dove ha suonato?

 

Non distante da qui. Un club ormai chiuso chiamato Folkstudio, a Trastevere.

Andiamoci!

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