Men, la recensione del film horror di Alex Garland tra mito e mascolinità tossica

Cinema

Paolo Nizza

Arriva al cinema dal 24 agosto l'attesa pellicola firmata dal regista inglese. Un perturbante e originale folk horror che riflette sui rapporti tra uomo e donna ai giorni nostri

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La paura mangia l’anima. Soprattutto se sei una moglie traumatizzata dalla dipartita di un marito, incapace di accettare l’idea di divorziare. Una figura femminile circondata da maschi che hanno tutti la stessa faccia e la medesima voglia di sopraffarti. E l’amena campagna inglese si trasforma in un incubo a cielo aperto. Il cottage dei tuoi sogni diventa una prigione da cui pare impossibile fuggire. Di questo parla Men, terzo e sorprendente lungometraggio firmato da Alex Garland dopo Ex Machina e Annientamento. A prima vista potrebbe sembrare un pamphlet cinematografico volto a dimostrare il vecchio adagio, ovvero, gli uomini sono tutti uguali. Invece si tratta di una sorprendete e spaventosa cartina di tornasole del nostro presente. Uno specchio che riflette il mondo in cui viviamo. Forse non è la pellicola più terrificante degli ultimi anni. Molti spettatori inglesi e americani hanno lasciato terrorizzati la sala durante la proiezione. Ma si sa le fobie risultano assai soggettive. Basti pensare alla Arachibutirofobia, la paura del burro d’arachidi attaccato al palato. Tuttavia, Men dimostra quanto il cinema horror (se fatto con perizia e senza concessioni al marketing e agli algoritmi) sia il genere più efficace per rappresentare l’essere umano in tutta la sua complessità e le sue contraddizioni. Perché come diceva Lucio Fulci, "il cinema della paura è fatto di idee" e non di effetti più o meno speciali o di trucchi prostatici più o meno riusciti.

L'inferno all'inglese

“Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate” Già dal primo scambio di battute, si evince che Harper Marlowe, la vedova protagonista di Men, è precipitata nell’Ade. Infatti, Geoffrey, panciuto e tranquillo padrone di casa, accoglie con questa domanda la giovane donna: “È stato un viaggio infernale?”. E solo in apparenza il riferimento riguarda la M4, la trafficatissima autostrada che collega Londra con il sud del Galles. Con la sua dentatura sporgente, il burberry d’ordinanza, la camicia a quadri, la cravatta regimental, il maldestro proprietario del cottage è un dinoccolato Caronte che predice il futuro. L’agognata e bucolica vacanza nella splendida cornice si trasfigurerà in una stagione all’inferno per l’affittuaria alla ricerca di pace e serenità. Il paradiso non abita, qui tra le colline del Gloucestershire, in una zona rurale nel sud-ovest dell’Inghilterra. Le Cotswold sono un Averno made in England. E ancora una volta la mela si rivelerà il frutto proibito. Sono trascorsi eoni, ma in un mondo a misura di maschio. L’albero della conoscenza è un perpetuo tabù per Eva e le sue figlie. Vige sempre il motto chi dice donna dice danno. Sicché per la protagonista il pericolo si cela nella dimora, in quella casa dalle pareti rosse e dalle travi basse in quercia. E alla fine del tunnel non si palesa la luce, ma un’ombra malevola, mentre riecheggiano le note e le voci della Missa Sillabica composta da Arvo Pärt nel 1977. Una liturgia della crudeltà, una cognizione del dolore consumata all’ombra di una fanciulla che rifiuta il trito cliché della damigella in pericolo. E parimenti a un soffione levitano i rimorsi e i sensi di colpa.

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Il cast di Men: Jessie Buckley e Rory Kinnear

In Men, il patriarcato ha mille facce. Il talentuoso Rory Kinnear è la maschera e il volto di una tossica mascolinità che impera e impazza nel villaggio di Cotson nella contea di Hertfordshire. Come Sir Alec Guinness in Sangue Blu o Kirk Douglas in 5 volti dell’assassino, l’attore inglese incarna con maestria questa galleria di mostri di campagna. A partire dal viscido Vicario per il quale in fondo non è un peccato capitale se un uomo picchia una donna, per passare poi a Samuel, lo studentello di nove anni che apostrofa la protagonista con il purtroppo consueto epiteto “Stupid Bitch”. Il male si moltiplica e si riflette dal pub alla chiesa, e mutando l’ordine dei doppelganger il risultato non cambia. Per la dolente Harper si fa sempre più complesso fronteggiare questa sinistra parata di crudeli archetipi. E Jessie Buckley (nomination all’Oscar per La figlia oscura) si conferma una delle attrici più versatili e complete della sua generazione. La sua performance ci restituisce tutta la complessità di una donna costretta a confrontarsi con i propri demoni, con la morte del proprio marito e soprattutto con una ridda di feroci persecutori di genere maschile.

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Dal Green ManSheela-na-gig, i miti pagani di Men

Solo un regista coraggioso e visionario della caratura di Alex Garland può citare in un film horror la poesia Leda e il cigno di William B. Yeats e il poema Ulisse e la sirena di Samuel Daniels senza risultare stucchevole e pedante. Menzionati dal personaggio del Vicario, divorato dalla pulsione sessuale, persino lo stupro compiuto da Zeus che portò alla nascita di Elena di Troia e “la bellezza creata per disfare o essere disfatta” si trasfigurano in capi d’accusa contro la polarità femminile. E il braccio trasformato in mostruosa chela è il giogo con cui sottomettere ogni donna al proprio volere. E Men, con il piglio anarchico e geniale delle opere che osano e perturbano, si concede il lusso di giocare con la mitologia e il folklore. A partire dal Green Man, “l’uomo verde” che stalkera la protagonista del film. Simbolo pagano di fertilità, tuttavia presente in molte cattedrali gotiche, quell’entità fatta di carne e foglie nel finale del film si trasfigura nella Sheela-na-gig, ovvero la scultura medioevale che rappresenta una donna nuda dalla vulva gigantesca. E in una grottesca surrealista coazione a ripetere, il maschio genera se stesso. Una sequenza da antologia del body horror, un omaggio a quel capolavoro rappresentato da Society di Brian Yuzna. Una partenogenesi delirante, inobliabile metafora del riprodursi all’infinito dell’orgoglio e del pregiudizio maschili. Ma sulle note della struggente Love Song, la canzone della cantautrice britannica Leslie Duncan che apre e chiude Men, comprendiamo quanto sia semplice e importante la verità raccontata dal film. Dobbiamo solo avere il coraggio di guardarla. E come recita il testo della ballad: "Do you know what I mean? Have your eyes really seen?" ("sai cosa intendo?  I tuoi occhi hanno davvero visto?")

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