Lo hanno compreso nel dettaglio i ricercatori dell'Università della California a Los Angeles (UCLA), coinvolgendo un gruppo di partecipanti con epilessia resistente ai farmaci, di età compresa tra i 31 ed i 52 anni, ai quali sono stati applicati una serie di elettrodi per controllare le crisi. Gli stessi hanno indossato anche alcuni zaini speciali, pensati per analizzare e monitorare le loro onde cerebrali, mentre camminavano e si muovevano all’interno di una stanza vuota, alla ricerca di un punto nascosto
Uno studio che “ci aiuta a comprendere come il nostro cervello possa registrare le informazioni derivate dalla realtà spaziale le onde fluiscono secondo uno schema distinto, il che suggerisce che il cervello di ogni individuo sembra in grado di mappare le pareti e i confini dello spazio circostante". Così Nanthia Suthana, dell'Università della California a Los Angeles (UCLA) ha raccontato il lavoro di ricerca che ha visto protagonista un team di studiosi dell’ateneo americano, pubblicato sulla rivista “Nature”, da cui è emerso come il nostro cervello sia in grado di orientarsi attraverso lo spazio fisico tenendo traccia della posizione degli altri. E come la sua attività si caratterizzi attraverso onde cerebrali specifiche dell'orientamento.
Il ruolo delle onde cerebrali
A sottolinearlo, come detto, i ricercatori dell’UCLA, il cui studio è stato parte del National Institutes of Health's - Brain Research through Advancing Innovative Neurotechnologies Initiative (NIH BRAIN), un progetto di ricerca collaborativa, ideato con l'obiettivo di supportare lo sviluppo e l'applicazione di tecnologie innovative utili per una comprensione dinamica più approfondita della funzione cerebrale. Per arrivare alle loro conclusioni, gli esperti hanno coinvolto un gruppo di partecipanti con epilessia resistente ai farmaci, di età compresa tra i 31 ed i 52 anni, ai quali sono stati applicati una serie di elettrodi per controllare le loro crisi. I partecipanti allo studio, poi, hanno indossato anche alcuni zaini speciali, pensati per analizzare e monitorare le loro onde cerebrali, mentre camminavano e si muovevano all’interno di una stanza vuota, alla ricerca di un punto nascosto. "Le onde cerebrali di ogni partecipante scorrevano in modo simile quando si sedevano in un angolo della stanza e guardavano qualcun altro camminare, questo potrebbe suggerire che le onde venivano usate anche per tracciare i movimenti delle altre persone", ha spiegato Suthana, secondo cui questo lavoro conferma l’idea che “in determinati stati mentali alcune cellule possano reindirizzare le funzioni dell'organismo, aiutando il cervello a sapere dove si trovano i confini e gli ostacoli nell'ambiente".
Un codice comune
Dai risultati dello studio, ha sottolineato ancora l’esperta, è stato possibile comprendere che il nostro cervello “può utilizzare un codice comune per sapere dove siamo noi e dove siano gli altri nei vari contesti sociali abbiamo scoperto che le onde a bassa frequenza dell'attività neurale possono aiutare i partecipanti a sapere dove si trovano i loro compagni attraverso un labirinto". Secondo Matthias Stangl, primo firmatario del lavoro di ricerca, "diverse prove indirette supportano il ruolo del lobo temporale mediale nel modo in cui ci orientiamo, ma testare queste idee è stato tecnicamente difficile”, ha detto, spiegando come questo studio fornisca “le prove più dirette fino ad oggi a sostegno dell'ipotesi che gli esseri umani siano in grado di orientarsi e di mappare lo spazio circostante per conoscere la posizione degli altri".
Lo studio dei movimenti naturali
Come detto, la ricerca è rientrata nell’ambito del progetto NIH BRAIN, che vuole portare i ricercatori a creare nuovi strumenti e utilizzarli per rivoluzionare quanto si conosca attualmente sul cervello e sui disturbi cerebrali. "Finora gli unici modi per studiare direttamente l'attività del cervello umano richiedevano che un soggetto fosse fermo e sdraiato in un enorme scanner cerebrale o collegato a un dispositivo di registrazione elettrico”, ha concluso John Ngai, direttore dell’iniziativa accademica. Ora però, “possiamo monitorare l'attività del paziente osservando i movimenti naturali".