Osiris-Rex, un nuovo studio sulla morfologia dell'asteroide Bennu

Scienze

E’ stato condotto da un team internazionale di esperti, tra cui anche Maurizio Pajola, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). Gli astronomi hanno potuto indagare “la relazione che esiste nel modo in cui l’asteroide riflette la luce solare, la cosiddetta riflettanza e la struttura della sua superficie”

Nuove, preziose, informazioni sono state rilevate a proposito della morfologia dell’asteroide Bennu, scoperto nel 1999 ed al centro della missione della sonda Osiris-Rex della Nasa che prevede, anche, il recupero di campioni dalla superficie dell'asteroide ed il loro trasporto a Terra. Il lancio è avvenuto a settembre 2016 e l'arrivo sull'asteroide, con l'inserimento in orbita, si è verificato a dicembre 2018, mentre il ritorno dei campioni sulla Terra è previsto per il 2023. Intanto però, grazie allo studio di un team internazionale di astronomi, è stato possibile scoprire maggiori nozioni sulle caratteristiche della superficie dell’asteroide. Il tutto a pochi giorni (20 ottobre) dal’atterraggio di Bennu nel cratere Nightingale, il primo dei siti selezionati per il prelievo di campioni.

L'asteroide Bennu
Nasa

Osservazioni multibanda della luce solare

Nella squadra di esperti, il cui studio è stato pubblicato sulla rivista “Science”, era presente anche Maurizio Pajola, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). Gli astronomi, si legge proprio in un comunicato apparso sul portale dell’Inaf, sono riusciti a combinare una serie di osservazioni multibanda della luce solare riflessa dalla superficie di Bennu con immagini dettagliate della morfologia dell’asteroide stesso, ottenute grazie al lavoro della strumentazione a bordo della sonda, tra cui la Osiris-Rex Camera Suite (Ocams). Gli scienziati hanno così potuto indagare “la relazione che esiste nel modo in cui l’asteroide riflette la luce solare, la cosiddetta riflettanza, e la struttura della sua superficie”.  Nello studio è emerso come alcuni fenomeni di erosione spaziale, legati all’impatto delle particelle cariche del vento solare ed al bombardamento di piccoli meteoriti, definito in gergo “space weathering”, possano contribuire al cambiamento del colore superficiale di molti corpi minori e senza atmosfera del sistema solare. Nel caso di oggetti cosmici carbonacei, come Bennu, si genera “un aumento della riflettanza alle lunghezze d’onda dell’ultravioletto e del blu”.

La superficie di Bennu

Tra l’altro, precedenti analisi effettuate sull’asteroide Bennu hanno confermato che faccia parte della classe dei carbonacei, quei corpi cosmici che circa 4.6 miliardi di anni fa hanno portato acqua ed elementi volatili sulla Terra, favorendo lo sviluppo della vita. “La sua superficie è composta prevalentemente da grossi massi contenenti fillosilicati, composti idrati e magnetite”, spiegano gli esperti, “ed è attiva, dando luogo cioè a frequenti emissioni e sbuffi di materiale, perdendo circa 10 chili di particelle lungo un’orbita completa nello spazio interplanetario”.

Diversi colori

Per approfondire però ulteriori aspetti legati all’asteroide, ha spiegato Pajola, gli astronomi si sono serviti di “immagini multispettrali della superficie di Bennu nei quattro filtri di MapCam (a lunghezze d’onda comprese tra 0.44 a 0.89 micron), che mostrano diversi colori distribuiti su un terreno globale moderatamente blu con due tipi principali di massi distinguibili per riflettanza e struttura”. Ciò ha permesso di attribuire “la diversa riflettanza e la variazione di colore all’eterogeneità primordiale nella composizione dell’asteroide da un lato, e alle diverse età di esposizione di ciascuna porzione di superficie dall’altro”, ha spiegato ancora. Le analisi, in definitiva, hanno consentito di individuare un legame fra l’incremento della quantità di blu nella luce riflessa da Bennu e la presenza di superfici poco esposte agli agenti atmosferici spaziali. Ad esempio, nei crateri superficiali di minori dimensioni, le età di esposizione inferiori corrispondono a colori più tendenti verso il rosso. Infine, i crateri più grandi hanno colori molto simili a quelli del terreno. “Lo space weathering non sembra guidare una semplice transizione dal rosso al blu (o viceversa) nel caso di Bennu. Piuttosto, appena esposte, le superfici rosse subiscono una prima variazione diventando marcatamente blu, per poi aumentare la riflessione anche nella luce visibile e alle lunghezze d’onda del vicino infrarosso. Il risultato di questa evoluzione di riflettanza è il colore medio osservato su Bennu”, ha rilevato ancora Pajola.

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