Fegato grasso e intestino: un legame alla base della malattia epatica

Salute e Benessere
Immagine di archivio (Ansa)

Un team guidato dalla clinica Humanitas ha scoperto che il danneggiamento di due barriere intestinali può far transitare i batteri nel fegato, dando via al processo che può portare alla steatopatite non alcolica 

C’è il danneggiamento di due barriere intestinali all’origine della steatopatite non alcolica, nota anche come Nash, che porta all’accumulo di grassi nel fegato, con gravi conseguenze per i soggetti affetti. A svelare il meccanismo dietro lo sviluppo di questa malattia epatica cronica è un nuovo studio coordinato da Maria Rescigno, della clinica Humanitas di Milano, e pubblicato sul Journal of Hepatology. Rispetto alla steatosi epatica non alcolica (Nafld), la Nash si distingue per una condizione più grave, caratterizzata da cicatrizzazione e morte dei tessuti, oltre che da processi infiammatori, che alterano in modo permanente la funzionalità del fegato.

Fegato grasso: il ruolo giocato dall’intestino

Gli scienziati erano già a conoscenza del fatto che, nei casi più gravi, la patologia nota comunemente come fegato grasso può sfociare nella più grave steatopatite non alcolica, che a propria volta può evolvere in cirrosi epatica e condurre a insufficienza epatica. Il team di ricercatori coordinato da Rescigno ha notato per la prima volta una correlazione tra lo stato del fegato e l’intestino, in particolare con le due barriere che proteggono quest’ultimo impedendo ai batteri di entrare nel sangue. Si tratta più precisamente di due strati, uno epiteliale esterno e l’altro vascolare: quest’ultima barriera sarebbe però attaccabile da un microbiota alterato da un’alimentazione ricca di grassi, che porterebbe quindi al danneggiamento di questa protezione e al conseguente sviluppo della steatopatite non alcolica.

Il passaggio dei microbi da intestino a fegato

Rescigno sottolinea che il lavoro svolto dai ricercatori è il primo a dimostrare “che un’alimentazione ricca di grassi induce un’alterazione del microbiota capace di danneggiare la barriera vascolare”. Una volta compromesso questo strato, infatti, i microbi intestinali possono spostarsi nel fegato dando vita a un’infiammazione che può trasformarsi poi in steatosi epatica non alcolica e successivamente in steatopatite. Stando ai dati più recenti, un italiano su quattro soffre di fegato grasso, che può arrivare a colpire anche un soggetto su due considerando le persone affette da obesità. L’ultimo studio può però portare a risvolti importanti, poiché come spiega Rescigno “abbiamo osservato che inibendo l’apertura della barriera vascolare, o con un metodo genetico o usando l’acido obeticolico, possiamo chiudere la barriera e impedire ai batteri di entrare in circolo e quindi di sviluppare la malattia”. 

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