Questa la tesi a cui è giunto un team di scienziati di università del Belgio, della Svezia e della Norvegia, riuniti in un gruppo multidisciplinare, in uno studio che ha fortemente criticato le decisioni in materia di contrasto al Covid-19 dell'Agenzia di Salute Pubblica svedese, definite “discutibili”, tra mancanza di trasparenza “segretezza, insabbiamento e manipolazione dei dati”
Un approccio nella lotta alla diffusione del Covid-19 che è stato un vero e proprio “fallimento”. In questi termini è stata definita la politica anti Sars-Cov-2 della Svezia dal primo studio scientifico sistematico sulla strategia nazionale, realizzato a due anni dai primi contagi e pubblicato di recente sulla rivista “Humanities & Social Sciences Communications”. Lo studio ha visto coinvolti scienziati di università del Belgio, della Svezia e della Norvegia, riuniti in un gruppo multidisciplinare che comprendeva esperti in epidemiologia, medicina, studi religiosi, storia, scienze politiche e diritti umani.
Le tesi emerse dal rapporto
Decisioni sanitarie definite “discutibili”, mancanza di trasparenza delle autorità svedesi e persino “segretezza, insabbiamento e manipolazione dei dati”. Queste alcune delle tesi avanzate dai ricercatori dello studio, riprese dal “Corriere della Sera”, e riferite come detto alle strategie anti-Covid messe in atto nel Paese che, durante il periodo pandemico, aveva scelto di evitare chiusure diffuse per limitare i danni economici, tentando la via della cosiddetta immunità di gregge naturale e senza imporre mai lockdown o ancora limitazioni alle libertà movimento dei cittadini. Ma, piuttosto, puntando sulla responsabilità individuale e non su imposizioni a livello governativo. La strategia svedese del “laissez-faire ha avuto un grande costo umano per la società svedese”, hanno argomentato gli esperti, sottolineando come differenti lavori di ricerca abbiano dimostrato che “i costi umani sarebbero stati significativamente inferiori in Svezia se fossero state attuate misure più severe, senza impatti più dannosi sull’economia”. Le valutazioni emerse, segnala il Corriere, sono arrivate dopo attente valutazioni su “articoli scientifici rilevanti, sottoposti a revisione tra pari, pubblicati sulla gestione della pandemia in Svezia e negli altri Paesi nordici” e anche attraverso l’analisi di “tutte le conversazioni via e-mail, gli ordini del giorno delle riunioni, gli appunti delle riunioni e i comunicati stampa delle parti interessate coinvolte nel processo decisionale a livello nazionale”.
Le accuse all’Agenzia di Salute Pubblica
Quali le accuse mosse dal rapporto al governo svedese? Secondo lo studio, lo stesso avrebbe delegato la gestione della pandemia all’Agenzia di Salute Pubblica, dal 2014 però priva dei suoi più autorevoli consulenti scientifici, passati a lavorare per il rinomato Istituto Karolinska. Così facendo, hanno detto gli studiosi, “l’autorità mancava di competenza e poteva ignorare i fatti scientifici, con l’Agenzia della Salute Pubblica che “non ha basato i suoi consigli su prove scientifiche ma su preconcetti sulle pandemie influenzali e sull’immunità di gregge, affidandosi principalmente a un piccolo gruppo consultivo con un focus disciplinare ristretto e una competenza troppo limitata”. In sostanza, l’organismo svedese è stato “sistematicamente scorretto nelle sue valutazioni del rischio, e ha ignorato le prove scientifiche sulle strategie di soppressione, la trasmissione per via aerea”. Sarebbero poi emerse pratiche totalmente inadeguate, tra cui quella per cui la popolazione non sia stata avvisata che gli individui asintomatici potessero essere contagiosi e che le mascherine potessero proteggere sia il portatore sia gli altri individui. E poi ancora, tra le altre criticità, quella relativa al fatto che a molte persone anziane è stata somministrata “morfina invece di ossigeno, nonostante le scorte disponibili”, conducendoli di fatto al decesso. Durante la primavera del 2020, sempre secondo il rapporto, molti individui non sarebbero stati ricoverati negli ospedali e non avrebbero ricevuto un esame sanitario in quanto considerati non a rischio. Inoltre, sempre secondo le valutazioni dell’Agenzia della Salute Pubblica svedese, sarebbe stato negato o declassato il fatto che i bambini potessero essere infettivi, sviluppare malattie gravi, o guidare la diffusione dell’infezione nella popolazione, “mentre le loro e-mail interne indicavano l’obiettivo di usare i bambini per diffondere l’infezione nella società”.
Il ruolo di Tegnell
La pandemia di coronavirus, ha concluso il rapporto, avrebbe dunque “rivelato diversi problemi strutturali nella società svedese, a livello politico e giudiziario, nella sanità, nei media ufficiali e nella burocrazia, con il decentramento, la mancanza di responsabilità e indipendenza, e il rifiuto di informazioni accurate e complete al pubblico come problemi ricorrenti a diversi livelli”. Mai menzionato direttamente, tra i principali accusati c’è l’architetto della strategia anti-Covid svedese, ovvero l’ex epidemiologo di Stato Anders Tegnell, dimessosi il 9 marzo scorso, poco prima dell’uscita dello studio sul fallimento della politica da lui proposta.