Covid, varianti minacciose per i più giovani: in aumento i ricoveri

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Lo ha sottolineato una ricerca i cui risultati sono stati pubblicati su “Eurosurveillance”, la rivista scientifica online del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc). Al centro dello studio, l’incidenza delle varianti inglese, sudafricana e brasiliana in sette Paesi europei, compresa l’Italia

La presenza delle varianti inglese, sudafricana e brasiliana in sette Paesi europei, compresa l’Italia, sta facendo aumentare il rischio di ricovero ospedaliero anche tra i più giovani. Lo ha sottolineato una ricerca, i cui dati sono stati pubblicati su “Eurosurveillance”, la rivista scientifica online del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc). L'attenzione degli epidemiologi che hanno condotto lo studio, infatti, si è voluta concentrare sulle tre varianti del virus Sars-CoV-2 più diffuse in Europa e ha indicato nello specifico che tutte, seppur in misura diversa, stanno contribuendo a rendere più vulnerabile la popolazione, anche quella meno anziana. Secondo gli esperti, infatti, la diffusione delle varianti inglese (B.1.1.7), sudafricana (B.1.351) e brasiliana (P.1), in tutte le fasce d'età, da 0-19 anni agli over 80, sta contribuendo ad aumentare la pressione sulle strutture ospedaliere, in particolare nei giovani, e questa situazione rappresenta una ragione in più, si legge nello studio, per "raggiungere rapidamente livelli elevati di copertura vaccinale".

I motivi che hanno spinto ad analizzare i dati

In particolare, hanno spiegato gli esperti, l'esigenza di un'analisi sistematica sull’incidenza delle varianti rispetto ai ricoveri fra i giovani si è resa necessaria in seguito all'osservazione di maggiori tassi di infezione riscontrati nei pazienti in età scolare rilevate in Gran Bretagna, Ma non solo, anche all'aumento dei ricoveri nelle persone con meno di 60 anni che è stato registrato in Germania e ai ricoveri più numerosi per la variante sudafricana, segnalati in Danimarca. Per questo motivo gli epidemiologi, hanno impostato questo studio, condotto su più di 23.300 casi provocati da varianti, selezionati fra i 3.2 milioni complessivi registrati in sette Paesi specifici, ovvero Cipro, Estonia, Finlandia, Irlanda, Italia, Lussemburgo e Portogallo, in un lasso temporale compreso fra metà settembre 2020 e metà marzo 2021.

I numeri dello studio

Tra i dati emersi, quello secondo cui dei casi provocati dalle varianti, 23.343 nello specifico, 19,995 erano legati alle varianti del coronavirus. In tutti i Paesi presi in esame, la variante inglese è risultata essere la più diffusa ed è stata identificata in 3.730 bambini e ragazzi fra gli 0 e i 19 anni, pari al 19,4% dei casi, in 6.005 giovani adulti fra 20 e 39 anni (31,3%) e in 6.151 adulti fra 40 e 59 anni (32,0%). Meno incidenza e quindi numeri più bassi, è emersa dai dati relativi alle fasce d' età più avanzate: 2.538 casi in quella fra 60 e 79 anni (13,2% del totale) e 783 negli over 80 (4,1%). Secondo gli studiosi, il rischio di ricovero è risultato tre volte maggiore nella fascia 20-39 anni e 2,3 volte più alto in quella 40-59 anni. Per le altre due varianti, invece, i dati si sono rivelati meno allarmanti, con percentuali differenti nelle diverse fasce d'età. La variante sudafricana, ad esempio, è più comune nelle fasce d'età 20-29 anni (147 casi, 33,7%), e 40 e 59 anni (139, 31,9%), poi in quella 60-79 anni (62, 14,2%), mentre nei giovanissimi fra zero e 19 anni (60, 13,8%) e infine negli over 80 (28, 6,4%) molto meno. A causa di questa variante il rischio di ricovero è stato rilevato pari a 3,5 e 3,6 volte maggiore per i gruppi d'età tra i 40 ed i 59 anni e tra 60 e 79 anni. Infine, la variante brasiliana è stata rilevata soprattutto nella fascia 40-59 anni (107 casi, 30,4%) e da 0 a 19 anni (79, 22,4%), meno nelle fasce d'età 20-29 (66 casi, 18,8%), 60-79 (58, 16,5%) e over 80 (42, 11,9%). In questo caso, il rischio di ricovero è aumentato fra 3 e 3,1 volte nei gruppi d'età 20-39 anni, 40-59 e 60-79.

UnÕinfermiera maneggia un tampone per il Covid presso uno dei centri Artemisia Lab di Roma, 2 novembre 2020. ANSA/CLAUDIO PERI

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