E’ quello a cui sta lavorando un team di esperti dell’Università di Ferrara, coordinato dalla professoressa Ilaria Lampronti, e che vede coinvolti ricercatori anche di altri atenei italiani. La ricerca rientra nell’ambito delle nuove strategie utili per affrontare i sintomi ma anche per curare la fibrosi cistica, considerata “la malattia genetica più diffusa in Italia”
Un lavoro di ricerca su alcune nuove molecole di sintesi che potrebbero esercitare un’azione antinfiammatoria e, allo stesso tempo, correggere la mutazione più diffusa che causa la fibrosi cistica. E’ quello in cui è impegnato il team di esperti coordinato dalla professoressa Ilaria Lampronti, dell’Università di Ferrara, grazie ad un finanziamento della Fondazione per la ricerca sulla Fibrosi Cistica (FFC).
L’importanza della ricerca
“Le cure a cui i pazienti si sottopongono oggi sono basate sull’utilizzo di farmaci che agiscono sui sintomi: antinfiammatori classici steroidei e non steroidei, antibiotici per combattere le infezioni polmonari e agenti che fluidificano le secrezioni. La ricerca sta cercando di individuare nuove strategie non solo per affrontare i sintomi ma anche per curare la malattia”, ha spiegato Lampronti, come si legge in un comunicato diffuso sul portale dell’ateneo ferrarese. E da qui parte proprio lo studio in questione sulla fibrosi cistica, considerata “la malattia genetica più diffusa in Italia”. Chi ne viene colpito subisce gravi danni soprattutto ai polmoni, alle vie respiratorie e all’intestino, a causa della iperproduzione “di un muco denso che limita l’attività degli organi e diventa terreno fertile per numerosi agenti patogeni”, suggeriscono gli esperti. Fino a poco tempo fa, chi nasceva con questa malattia non raggiungeva l’età scolare, ma attualmente l’aspettativa di vita è migliorata, anche grazie a nuove tecniche di diagnosi e allo sviluppo di trattamenti farmacologici, e secondo le stime si aggira intorno ai 40 anni.
Le mutazioni del gene Cftr
Ma su cosa si basa lo studio? L’insorgenza della fibrosi cistica è causata da differenti mutazioni del gene Cftr (Cystic Fibrosis Trandmembrane conductance Regulator), si legge nel comunicato. La proteina codificata da questo gene è protagonista del trasporto degli ioni cloro nei tessuti, processo legato alla produzione di secrezioni negli organi. “Quando si verificano le mutazioni sul gene Cftr, le funzioni di trasporto degli ioni cloro della omonima proteina diminuiscono o si perdono. Di conseguenza, si ha un’alterazione delle secrezioni: si disidratano, appaiono più dense e viscose e contribuiscono al danneggiamento dei tessuti” ha sottolineato ancora Lampronti. Proprio su tale meccanismo si articola il nuovo studio dei ricercatori dell’Università di Ferrara, in collaborazione anche con esperti di altri atenei. La molecola antinfiammatoria che verrà testata, secondo gli esperti, potrebbe dunque essere in grado di correggere il difetto causato da alcune mutazioni sul gene Cftr, tra cui la più diffusa, è una specifica mutazione, detta “ΔF508”. “Vorremmo testare il nuovo derivato anche su colture primarie derivate da pazienti e approfondire gli aspetti farmacologici, necessari per pensare a un eventuale e sperato trasferimento tecnologico futuro” hanno spiegato i ricercatori.
Uno dei principali attori dell’infiammazione
Il futuro farmaco è stato selezionato alla luce dei risultati ottenuti con diversi studi in vitro eseguiti su alcuni modelli cellulari di fibrosi cistica, e in vivo, anche su un modello murino sviluppato in collaborazione con i ricercatori del San Raffaele di Milano. “Si tratta di un derivato psoralenico di ultima generazione, analogo della trimetilangelicina, sintetizzato nei laboratori di ricerca della professoressa Adriana Chilin dell’Università di Padova, partner in questo studio”, ha specificato infine Lampronti. La molecola, che ha dimostrato di avere un’evidente capacità antinfiammatoria, potrà interferire con la via molecolare di uno dei principali attori dell’infiammazione, “il fattore di trascrizione NF-kB”. Bloccandolo la molecola può inibire “l’espressione di fattori pro-infiammatori come le interleuchine IL-6 e IL-8, marcatori caratteristici della malattia, e atre citochine, chemochine e fattori di crescita coinvolti nell’infiammazione”, ha concluso l’esperta.