Un protocollo innovativo per la scoperta di nuovi farmaci: lo studio

Salute e Benessere

A metterlo a punto un team internazionale di ricercatori, tra cui esperti dell’Università di Trento e di Perugia, dell’Istituto Telethon Dulbecco, di Fondazione Telethon e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). Si basa sul metodo denominato "Pharmacological Protein Inactivation by Folding Intermediate Targeting" (PPI-FIT), ottenuto grazie a contributi che vanno dalla fisica teorica alla chimica farmaceutica, passando per la biologia cellulare

Un protocollo innovativo per la scoperta di nuovi potenziali farmaci, in grado di contrastare gravi malattie neurodegenerative ad oggi incurabili. E’ stato sviluppato da un team internazionale di ricercatori, tra cui esperti dell’Università di Trento (Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrativa e dal Dipartimento di Fisica), dell’Università di Perugia (Dipartimento di Scienze Farmaceutiche), dell’Istituto Telethon Dulbecco, di Fondazione Telethon e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN).

I dettagli dello studio

Il lavoro di ricerca, pubblicato sulla rivista scientifica “Communications Biology” si è basato sul metodo denominato "Pharmacological Protein Inactivation by Folding Intermediate Targeting" (PPI-FIT), ottenuto grazie a contributi che vanno dalla fisica teorica all'informatica, dalla chimica farmaceutica alla biochimica, passando anche per la biologia cellulare, come riporta un comunicato apparso sul sito internet dell’Infn. “Il nuovo approccio multidisciplinare consiste nell'identificare piccole molecole in grado di bloccare il processo di ripiegamento (folding) di una proteina coinvolta in un processo patologico, promuovendone quindi la degradazione attraverso i meccanismi di controllo presenti nelle cellulle”, hanno sottolineato i ricercatori, raccontando i risvolti dello studio. “PPI-FIT è stato applicato per la prima volta nel campo delle malattie da prioni, patologie neurodegenerative rare che colpiscono l'uomo e altri mammiferi e che sono balzate all’attenzione dell’opinione pubblica negli anni 90’ in occasione dell’emergenza ‘mucca pazza’”, hanno aggiunto. Si tratta di patologie causate principalmente “dalla conversione conformazionale di una normale proteina, chiamata proteina prionica cellulare, in una forma patogena aggregata, in grado di propagarsi come un agente infettivo (prione)”. Oggi, proprio grazie al metodo PPI-FIT, gli esperti sono riusciti ad identificare una classe di molecole che hanno la capacità di ridurre i livelli cellulari di questa proteina prionica e, di conseguenza, “bloccare la replicazione della forma infettiva nelle colture cellulari”.

Le potenzialità del nuovo metodo

I risultati dello studio, che ha usufruito anche della collaborazione di altri gruppi di ricerca, tra cui quello dell’Università di Santiago de Compostela, dell’Istituto di Biofisica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dell’Institute of Neuropathology dell’University Medical Center di Hamburg-Eppendorf, del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova e dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare di Padova, hanno già fatto scattare due richieste di brevetto, una già approvata e la seconda attualmente in attesa di approvazione. Inoltre, la start-up Sibylla Biotech, spin off dell’Università degli Studi di Perugia, dell’Università di Trento e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ha deciso di utilizzare le potenzialità del metodo PPI-FIT per sviluppare una serie di farmaci contro un’ampia varietà di patologie, tra cui ad esempio il cancro e anche il Covid-19.

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