È quanto emerge dai risultati di un lavoro multicentrico italiano promosso dal Gruppo di Studio di Reumatologia della Società italiana di Pediatria (Sip)
Esiste un legame tra il coronavirus Sars-CoV-2 (segui la DIRETTA di Sky TG24) e la sindrome multi-infiammatoria sistemica (MIS-C), che presenta alcune caratteristiche simili alla malattia di Kawasaki. È quanto emerge dai risultati di un lavoro multicentrico italiano promosso dal Gruppo di Studio di Reumatologia della Società italiana di Pediatria (Sip), che l’ha presentato oggi, sabato 28 novembre, nel coso del suo Congresso straordinario digitale. Nei prossimi giorni la ricerca sarà pubblicata su una rivista internazionale di reumatologia.
Lo svolgimento dello studio
I circa 200 pediatri coinvolti nello studio hanno raccolto tutti i casi di malattia di Kawasaki classica e di sindrome multi-infiammatoria sistemica registrati nei bambini in Italia durante la prima ondata epidemica (dal primo febbraio al 31 maggio 2020). Gli sforzi degli specialisti hanno permesso di stabilire che sul territorio nazionale si sono registrati 149 casi totali, di cui 53 affetti da MIS-C e 96 da malattia di Kawasaki classica.
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La correlazione tra MIS-C e coronavirus
Andrea Taddio, consigliere del Gds di Reumatologia della Sip e professore associato di Pediatria all’Università di Trieste, spiega che dalle elaborazioni condotto nel corso della ricerca sono emersi tre elementi che indicano una correlazione tra la sindrome multi-infiammatoria sistemica e il coronavirus. “Innanzitutto, la percentuale di pazienti positiva al virus era nettamente più alta nella popolazione con sindrome multi-infiammatoria (75%) rispetto alla popolazione affetta da malattia di Kawasaki classica (20%). Inoltre, queste forme multi-infiammatorie sistemiche si sono accumulate temporalmente circa un mese dopo il picco dell’epidemia infettiva, a conferma che quella che abbiamo vista è stata una iper-risposta infiammatoria a un trigger virale”, spiega l’esperto. “Infine, i pazienti osservati si sono concentrati prevalentemente nel Nord Italia, soprattutto in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, le regioni dove ci sono stati più casi di Covid-19”, aggiunge Taddio. Oltre alla sua, lo studio porta anche le firma di Marco Cattalini (Università degli Studi di Brescia) e Angelo Ravelli, direttore della Clinica Pediatrica e Reumatologia dell’Istituto G.Gaslini di Genova e Segretario del Gruppo di Studio di Reumatologia della Sip.
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I tratti caratteristici dei pazienti con MIS-C
Nel corso dello studio, inoltre, è emerso che i pazienti con sindrome multi-infiammatoria sistemica, rispetto a quelli affetti dalla malattia di Kawasaki, presentano cinque tratti caratteristici. Taddio spiega che si tratta di: “un’età media più alta (intorno ai sette anni); una maggior probabilità di aver bisogno della terapia intensiva pediatrica; una maggiore necessità di aver bisogno di un sostegno ventilatorio; una maggior probabilità di manifestare sintomi atipici per la Kawasaki, quali quelli gastro-intestinali e polmonari; una maggiore probabilità di avere miocardite o insufficienza cardiaca”. Il reumatologo aggiunge che, per quanto riguarda gli esami di laboratorio, “la sindrome multi-infiammatoria sistemica si caratterizzava per degli indici di flogosi più elevati (PCR), una linfopenia, una piastrinopenia, una ferritemia più elevata e un aumento degli enzimi cardiaci (troponina, BNP)”.
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La seconda parte dello studio
In Italia, non si sono registrati decessi tra chi soffriva di sindrome multi-infiammatoria durante la prima ondata di coronavirus, tuttavia una piccola percentuale di pazienti ha avuto esiti cardiologici a distanza, anche se non clinicamente rilevanti. “La maggior parte dei pazienti affetti da sindrome multi-infiammatoria è stata trattata con IVIG e steroidi”, spiega Taddio. L’esperto rileva però che, in alcuni casi, si è reso necessario un trattamento con inibitore di IL-1 da subito, di fronte ai quadri clinici più gravi, o in un secondo momento, a causa di una scarsa risposta alla terapia di primo livello. Taddio aggiunge che lo studio verrà riaperto a breve per continuare a raccogliere dati nel corso della secondata ondata. Gli esperti, infatti, sono a conoscenza di casi di sindrome multi-infiammatoria sistemica che si stanno ripresentando in varie parti della Penisola.
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L’ipotesi di Angelo Ravelli
“Le forme iper-infiammatorie” non sono condizioni diverse dalla malattia di Kawasaki, come molti ritengono, ma fanno parte di un unico spettro di patologia che va dalle forme meno gravi a quelle più gravi ed è presumibile che il virus sia stato implicato sia nelle forme classiche di malattia di Kawasaki che in quelle iper-infiammatorie”, precisa Angelo Ravelli, segretario del Gds di Reumatologia della Sip. “Ritengo che le forme iper-infiammatorie nella loro base siano malattie di Kawasaki deformate e rese più aggressive da un virus che sappiamo essere estremamente invasivo”, prosegue l’esperto. “Quando questo virus con una forte carica virale colpisce soggetti con una particolare predisposizione genetica, in un’età non abitualmente colpita dalla malattia di Kawasaki, può dare delle forme molto più aggressive che, a mio avviso, fanno parte comunque dello stesso spettro clinico”, conclude Ravelli.
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Il documento preparato dalla Sip
Secondo Ravelli sarebbe importante studiare “il confronto del terreno genetico e dei possibili fattori causali tra i bambini che hanno avuto forme più classiche di Kawasaki e quelli che hanno manifestato forme più violente”. Si tratta di una prospettiva condivisa anche da Taddio. “Tutti i bambini osservati nel corso dello studio erano apparentemente sani, ma è possibile che chi sia capace di sviluppare una risposta infiammatoria tale sia geneticamente predisposto”, spiega il docente. Per aiutare i pediatri che avranno a che fare con un caso sospetto o confermato di MIS-C, il GdS di Reumatologia della Sip ha stilato un documento contenente suggerimenti finalizzati a definire le peculiari caratteristiche cliniche e i principi di trattamento del paziente con sindrome multi-infiammatoria Covid-correlata. “La nostra impressione è che la tempestività d’intervento sia cruciale nel determinare l’outcome del bambino”, conclude Taddio.