Il premier si chiude a Palazzo Chigi e lavora solo sulle questioni di governo. Sul Quirinale tocca al Parlamento decidere. Partiti ancora in stallo
Le luci a Palazzo Chigi restano accese fino a tardi ma è una giornata di silenzio. Dalla sede del governo, il giorno dopo quel confronto con le forze politiche che avrebbe messo in mostra la volontà di Draghi di essere parte attiva nella corsa per il Colle - sollevando critiche e perplessità - non filtra pressoché nulla. Si lavora sulle questioni che riguardano il Paese - questo il refrain ufficiale - per il Quirinale la scelta è nelle mani del Parlamento. Quasi una presa di distanza rispetto a 24 ore prima (QUIRINALE: LO SPECIALE - IL SONDAGGIO - LE CURIOSITÀ - TUTTI GLI AGGIORNAMENTI LIVE).
Draghi “amareggiato”
A metà giornata i rumors scommettono su un nuovo incontro con Conte. E un altro ancora con Renzi con cui Draghi si sarebbe già visto due volte negli ultimi sette giorni. Ma alla fine tutto evapora nel caos silente di questa giornata di transizione o decantazione, come la definiscono i parlamentari più navigati. Chi ha parlato con Draghi lo descrive “amareggiato” per come sono stati letti gli incontri con i partiti. Una richiesta arrivata da loro, a cui il premier avrebbe semplicemente dato risposta. Ma il nodo resta sempre lo stesso: come realizzare l’eventuale trasloco al Colle dell’ex governatore della Bce senza mandare all’aria il governo?
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I dubbi sul futuro
Le perplessità della Lega e di Conte, la paura di un cambio senza paracadute di molti parlamentari non cambiano lo stato delle cose. Draghi può farsi garante della stabilità del Paese, ma sul governo che verrà devono essere i partiti a trovare la quadra e a garantirne la tenuta e l’efficacia. Con o senza di lui. E c’è già chi in questo ragionamento legge un messaggio cifrato. Se non dovesse salire al Colle, Draghi non mollerebbe la guida del governo. Ma non ammetterebbe alcun cedimento, nessun rallentamento, nessuno spazio a esigenze di bandiera per la campagna elettorale che arriverà da li a poco. Le riforme - anche quelle più dure e impopolari - dovrebbero arrivare a destinazione. Senza sconti o mediazioni infinite. Uno scenario che per i partiti potrebbe rivelarsi difficile da sostenere, con il rischio di una crisi molto più dura e complicata.