Attacco Iran a Israele, la situazione un mese dopo e i possibili scenari

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Jennifer Caspani

Jennifer Caspani

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Il conflitto dura da 40 anni, ma dallo scorso mese ha conosciuto un'escalation senza precedenti con attacchi missilistici e droni, sottolineando un'ideologica ostilità persistente tra le due Nazioni. Nonostante una tregua momentanea, le minacce nucleari iraniane mantengono alta la tensione

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Almeno fino a un mese fa, un conflitto in piena regola tra la Repubblica islamica dell’Iran e Israele sembrava impensabile. Eppure, il mese scorso la lunga inimicizia tra le due nazioni è esplosa con una serie di attacchi missilistici e droni senza precedenti. Ma dopo quarant’anni di guerra-ombra, 7 giorni di fuoco, e settimane di “stallo”, a che punto è oggi il difficile rapporto tra Israele e l’Iran? (SEGUI LA DIRETTA SULLA GUERRA ISRAELE-HAMAS)

La situazione attuale

Al momento, le due parti sembrano aver preso una pausa. Ma per quanto tempo durerà? Come sottolineato in una recente analisi del New York Times, probabilmente finché l’Iran sarà governato da un governo islamista che antepone la propria ideologia rivoluzionaria all’interesse nazionale, i due paesi non conosceranno mai la pace, e il Medio Oriente non conoscerà mai una stabilità significativa. Iran e Israele, a differenza di altre nazioni al centro di conflitti moderni (come Russia e Ucraina, Cina e Taiwan) non sono “avversari naturali”, in quanto non hanno controversie su terre e risorse. La loro "faida" può essere compresa sotto la lente dell’ideologia, non della geopolitica.

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Guerra-ombra dal 1979

L’antagonismo ideologico-esistenziale tra il fondamentalismo sciita e il sionismo ebbe inizio nel 1979 con la rivoluzione islamista, guidata dall’ayatollah Khomeini, che trasformò l’Iran da una monarchia alleata degli Stati Uniti in una teocrazia anti-americana. Il trattato di Khomeini del 1970 “Governo islamico”, che divenne la base della costituzione che governa la Repubblica islamica, è intriso di minacce contro gli ebrei. Allora, come oggi, l’antisemitismo spesso si nascondeva sotto la superficie dell’antimperialismo. In pochi, tra i rivoluzionari iraniani e i progressisti occidentali, che appoggiarono Khomeini nel 1979 si erano presi la briga di esaminare attentamente la sua visione dell’Iran. Una volta al potere, Khomeini costruì la sua ritrovata teocrazia su tre pilastri ideologici: “morte all’America”, “morte a Israele” e “sottomissione delle donne”. Gli attacchi di tipo militare cominciarono nel 1982. Per quattro decenni i due Paesi si sono combattuti prevalentemente attraverso le “guerre per procura” delle milizie filo-iraniane (Hezbollah, Hamas, Houthi) contro Israele, a cui quest’ultimo ha risposto generalmente con operazioni chirurgiche, assassinii e attacchi aerei o missilistici mirati su obiettivi specifici. Oltre quattro decenni dopo, la visione del mondo degli attuali governanti iraniani si è evoluta poco. L’ayatollah Ali Khamenei, successore di Khomeini, denuncia il sionismo in ogni suo discorso ed è stato uno dei pochi leader mondiali a elogiare pubblicamente l’attacco di Hamas del 7 ottobre contro Israele. Ciò che è cambiata, almeno in parte, è la posizione del popolo iraniano, in seguito alla presa di coscienza del fatto che a ostacolare la possibilità di condurre una vita normale in Iran è la leadership della Nazione, non gli Usa o Israele. Motivo per cui negli ultimi 2 decenni il Paese ha vissuto numerose rivolte di massa.

L’attacco iraniano

Una data chiave dell’escalation della faida Iran-Israele è il 13 aprile scorso, in serata, quando l’Iran ha varcato una soglia nuova con il lancio di oltre trecento fra missili e droni, direttamente dal suo territorio a quello di Israele. Lancio eseguito in risposta all’attacco del primo aprile, attribuito a Israele, contro l'ambasciata iraniana a Damasco, in cui sono stati uccisi diversi alti ufficiali dei Pasdaran. La risposta di Israele è stata limitata: un singolo colpo contro una base militare di Isfahan sferrato il 19 aprile. La stessa logica sembra essere stata abbracciata dal regime di Teheran che ha deciso di sdrammatizzare l’attacco israeliano su Isfahan e non sembra preannunciare ulteriori rappresaglie.

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La minaccia nucleare

Ma a preoccupare Israele, e il resto del mondo, è la minaccia iraniana di “riconsiderare” la sua politica nucleare. Minaccia che ha alimentato le ansie israeliane, distolto l’attenzione dalle sofferenze dei palestinesi e facilitato accordi  tra Israele e i governi arabi altrettanto timorosi dell’Iran. L’ultimo avvertimento in merito è arrivato negli scorsi giorni dal consigliere della Guida Suprema Ali Khamenei e capo del Consiglio strategico per le relazioni internazional Kamal Kharrazi, nel corso di un'intervista rilasciata ad al-Jazeera. "Due anni fa annunciai che l'Iran aveva la capacità di produrre una bomba nucleare. Oggi disponiamo ancora di tale capacità, ma non abbiamo deciso di produrla. Ma se l'esistenza dell'Iran fosse minacciata, dovremo cambiare la nostra dottrina nucleare", ha riferito Kharrazi, evidenziando un possibile fine militare del programma nucleare della Repubblica islamica, che finora Khamenei aveva sempre escluso, emettendo anche una fatwa in cui aveva definito “haram” (proibito) lo sviluppo di armi atomiche. C’è da sottolineare, però, che l'attacco, seppur circoscritto, condotto da Israele a Isfahan, potrebbe essere stato volto a trasmettere il messaggio che, in caso di necessità, il paese sarebbe in grado di colpire i siti nucleari iraniani. Non è da escludere, tuttavia, che uno strappo futuro potrebbe venire, sul fronte iraniano, se Teheran supererà la tappa finale nella costruzione dell’arma nucleare.

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