Cristina Rivera Garza: "Ho scritto un libro su mia sorella, vittima di femmicidio"

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Ludovica Passeri

Ludovica Passeri

Una delle principali voci della letteratura latinoamericana, ospite del Book Pride di Milano, si racconta tra dolore, femminismo e politica

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Città del Messico, 1990, Liliana Rivera Garza, vent'anni, viene trovata morta nel suo appartamento. Il suo ex fidanzato fugge sottraendosi al processo. È la trama de “L’invincibile estate di Liliana”, edito da Edizioni SUR. Non è un giallo, non è un thriller, non è fiction, ma un fatto di cronaca. A raccontarlo è la sorella della vittima: Cristina Rivera Garza, una delle scrittrici latinoamericane più influenti e lette. Per scrivere questo libro, ha impiegato trent’anni, trent’anni di esitazioni, di “non è ancora il momento”, trent’anni per trovare le parole giuste, per farsi coraggio e aprire, senza metafore, le scatole dei ricordi colme degli oggetti appartenuti a Liliana, che come spesso accade vengono relegate in un angolo perché la vita di chi resta continui. Un’operazione dolorosa ma necessaria per ridare dignità, storicità, tridimensionalità alla ragazza uccisa. Ma anche per fare giustizia, perché è proprio grazie a questo libro e al materiale raccolto da Cristina che i giudici sono tornati sul caso, facendo dei passi avanti dopo un lungo stallo. Scorrendo le pagine del libro Liliana smette di essere soggetto passivo, vittima, e esplode con i suoi colori e la sua profondità tra momenti di crisi, euforia, sogni. Abbiamo incontrato l’autrice a Milano dove è ospite del Book Pride, la Fiera degli editori indipendenti. Il tour italiano di Garza continua con Modena, Bologna, Firenze, Roma

 

Quando comincia questa storia?

ll 16 luglio del 1990, il giorno in cui mia sorella minore Liliana Rivera Garza fu uccisa dal suo ex fidanzato Ángel González Ramos. Poco dopo una giudice di città del Messico fece richiesta di arresto contro questo individuo, ma lui fuggì e da allora è rimasto fuori dalla portata della legge. “L’invincibile estate di Liliana" racconta questo pezzo della mia vita

 

Perché ha scritto questo libro e perché proprio in questo momento?

È un libro che voglio scrivere da tantissimi anni, è il libro che volevo scrivere già quando cominciai a fare la scrittrice, quando iniziai a mettere nero su bianco le prime parole sulla carta o sullo schermo del pc. È stato un processo lungo perché elaborare un lutto quando è scaturito dalla violenza è ancora più complicato. Si accompagna al senso di colpa, alla vergogna. Per attraversare personalmente tutto questo ci vuole tempo. Una volta deciso di farlo, è stato abbastanza veloce: è sgorgato perché ce l'avevo dentro, ma il lavoro emotivo, il lavoro di ricerca, quello emozionale è durato 30 anni.

 

Come si comincia a scrivere un libro del genere?

Il processo ha preso il via con l'apertura degli scatoloni in cui erano conservati gli oggetti personali che appartenevano a mia sorella, quando finalmente mi sono decisa a leggere le sue tantissime note, lettere, messaggi, disegni, tutti i tipi di documenti di quello che definisco archivio affettivo, l'archivio dei suoi affetti. Posso dire di aver scritto il romanzo con lei, a fianco a lei e per sua mano

 

Quanto le è costato in termini emotivi?

 Il prezzo che ho dovuto pagare è alto, c’è un lavoro enorme, ma la possibilità di invocare, di toccare, di attivare la memoria di mia sorella, di ricostruire la sua esperienza sulla terra è stata profondamente liberatoria. Non posso parlare di sollievo perché solo la giustizia, che ancora non è stata fatta, potrà alleggerire il mio animo, però la possibilità di vederla qui accanto a me nella redazione, di vedere che ha un impatto su altre persone, che la sua storia possa aiutare altre generazioni, e migliorare il mondo in cui queste generazioni vivranno, mi ha dato la giusta ricompensa

 

Qual era il suo obiettivo?

Per me era molto importante che la protagonista del libro fosse Liliana, che al centro ci fosse la sua vita, la sua voce, la sua esperienza, la sua maniera di vedere il mondo, perché siamo abituati a vedere questo tipo di crimini con l’occhio e la narrazione patriarcale, del “delitto passionale”, e poche volte tuttavia dal punto di vista della vittime, di quelli che hanno amato le vittime, della famiglia, degli amici. Per me è stato necessario ribaltare la prospettiva

Cosa la fa più arrabbiare della narrazione mainstream sui femminicidi?

Che se ne parli come una violenza straordinaria, eccezionale e che sia ogni volta ridotta a crimine passionale. Abbiamo interiorizzato questa narrazione, quella per cui l’uomo sarebbe colto da un offuscamento temporaneo. Ci hanno scolpito in testa l’immagine di un uomo che perde il senno e uccide la prima persona che ha di fianco, una donna ovviamente. Se perde il senno, allora appare automaticamente come meno responsabile dei suoi atti. In questo modo il crimine viene ridimensionato, relativizzato, contestualizzato, minimizzato



Che significato ha scrivere questo romanzo in Messico, uno dei Paesi con il tasso di femminicidi più alto al mondo?

In Messico ogni giorno 11 donne sono uccise dai loro partner o ex partner, una cifra spaventosa, ma i numeri non sono tanto più rassicuranti in altre parti del mondo. Negli Stati Uniti, Paese in cui vivo, 3 donne perdono la vita ogni giorno e sono numeri simili ad altre città europee. L’importante è riconoscere tutto questo come violenza strutturale, una violenza che non attacca solo regioni delimitate del mondo. È un fenomeno globale perché deriva dalle disuguaglianze intrinseche del mondo in cui viviamo, le disuguaglianze di genere.

 

Cosa la spaventa di più?

Questa violenza non solo esiste, ma cresce per accumulazione. Si va costruendo giorno per giorno grazie alla nostra cecità, al nostro non voler vedere, e cresce anche per i limiti del linguaggio, perché spesso ci mancano le parole per identificare questo male, e se non lo sappiamo definire a parole, allora non possiamo proteggerci

 

Una delle sue missioni è “sovvertire il linguaggio patriarcale”, ma come si fa a passare dalle letteratura alla quotidianità, alla società?

È  tutto collegato: c'è continuità tra letteratura e quotidianità. Quando lavoriamo con il linguaggio, stiamo lavorando in realtà con la vita, con il potere contro il potere. Il linguaggio egemonico ci intorpidisce, ci rende passivi, assopiti. Credo che la letteratura abbia il potere di risvegliarci

 

A giugno 2024 in Messico si celebreranno le elezioni presidenziali e le due principali candidate sono donne: Claudia Sheinbaum del partito di sinistra Morena e Xóchitl Gálvez scelta dai conservatori di Pan. Comunque vada sarà un successo?

La storia ci ha insegnato che spesso quando le donne hanno accesso a posizioni di potere, di lavoro, all’insegnamento, ai vari ambiti della società ci sono cambiamenti. Purtroppo la storia ci ha insegnato anche che essere donne non sempre è sufficiente per generare questi cambiamenti. Basti pensare alla Thatcher.

 

Ha fiducia nella politica?

Vivo negli Stati Uniti, quindi sto attraversando entrambe le campagne elettorali e questi due appuntamenti mi provocano uno stato di ansia e oppressione. Vedo gli Usa, un Paese che sta vivendo in una fase di regressione storica con un programma di una delle due parti che è razzista e conservatore, xenofobo e poi il Messico in cui c'è un dibattito accesissimo sul futuro, su quello che sarà. Credo che i cambiamenti non arrivino mai dall’alto, quando sono veri partono dal basso, che nascano dalle mobilitazioni. Ce lo ha insegnato il femminismo. Non mi preoccupo mai troppo di chi sta al potere ma di come si stanno organizzando quelli che ne sono esclusi, che tipo di riflessioni si sono innescate e con che tipo di spirito critico possiamo contagiare le persone che ci circondano



Sia in Messico, sia negli Usa si parla molto di aborto per ragioni diverse. In Messico per la depenalizzazione del 2023 e negli Usa per il ribaltamento della sentenza Roe contro Wade. Che idea si è fatta del momento in cui viviamo?

Negli Usa il diritto alla riproduzione e all’autonomia del corpo della donna sembrava acquisito, scritto nella pietra e invece è stato oggetto di un attacco frontale, forte e spaventoso. Questo ci insegna che i diritti necessitano di una mobilitazione continua, di essere costantemente rivendicati e guadagnati tutto in il mondo e che non possiamo avere fiducia nel fatto che restino lì in eterno. Ma quello che mi colpisce di più nonostante tutto è la l’entusiasmo e l’impegno delle nuove generazioni che sono combattive, disposte a prendere il centro dello spazio pubblico e prendere la parola . E l’America Latina è un terreno fertile, dobbiamo riconoscerlo. Negli ultimi 20-30 anni proprio il Sud America è stato teatro di mobilitazioni enormi come quella in Argentina e la cosiddetta marea verde. La lotte per il diritto a una riproduzione libera e programmata è stata dirompente e penso che dal Sud globale sia arrivata una lezione fortissima

 

Le piace la definizione "scrittrice femminista"?

Non basta da sola. Scrittrice femminista, scrittrice di frontiera, impegnata nell’educazione. Voglio dire che non siamo mai una cosa sola, l’identità è un cosa complessa e il femminismo stesso è efficace se intersezionale. Certamente quello femminista è il linguaggio che ha più influenzato la mia scrittura perché è il più lucido e razionale che conosca.

 

 

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