Ciudad Juárez, la città simbolo della violenza sulle donne
MondoCiudad Juárez alla frontiera nord del Messico, è diventata la città simbolo della guerra contro le donne: dal 1993 sono oltre 2.250 le vittime di femminicidi. La maggior parte degli assassini resta, però, impunito. Ne abbiamo parlato con la giurista Laura Salinas Beristáin, ex coordinatrice delle politiche pubbliche presso il pubblico ministero messicano per la violenza contro le donne
“Non una donna di meno, non una donna assassinata in più”.
È lo slogan contro il femminicidio che ha fatto il giro del mondo. A coniarlo è stata Susana Chavez, poetessa messicana e attivista per i diritti delle donne, poco prima di essere uccisa a 36 anni, tra il 5 e il 6 gennaio 2011. Un assassinio rimasto impunito, come la maggior parte di quelli avvenuti a Ciudad Juárez. Siamo alla frontiera nord del Messico, nello stato di Chihuahua. Qui il femminicidio – donne violentate, mutilate, torturate – è una piaga sociale almeno dal 1993.
Come scrive l’antropologa Rita Laura Segato, “più che in ogni altro luogo, si fa reale il detto corpo di donna, pericolo di morte”.
Trent'anni di femminicidi a Ciudad Juárez
Abbiamo parlato di quanto accade a Ciudad Juárez con la giurista e femminista Laura Salinas Beristáin, ex coordinatrice delle politiche pubbliche presso il pubblico ministero messicano per la violenza contro le donne e la tratta di essere umani, nonché coordinatrice della prima unità di genere in Messico, il Programa de Asuntos de la Mujer, creato proprio nel 1993 all'interno della Comisión Nacional de los Derechos Humanos.
“Il crimine sessuale contro una donna è un crimine di genere. È un modo da sempre usato per ferire le donne in quanto donne. Da sempre si è visto che l'attacco alla sessualità è una forma di controllo maschile sulle donne, soprattutto nei confronti di quelle donne che vogliono rompere gli schemi”.
Si stima che dal 1993 siano morte oltre 2.250 donne solo a Ciudad Juárez. Parliamo di una media di oltre sei vittime al mese, ma le cifre ufficiali sono al ribasso e non raccontano la reale emergenza perché ogni anno decine di donne scompaiono nel nulla.
Femminicidi e criminalità organizzata
Sarebbe sbagliato, però, classificarli solo come crimini sessuali: tra il 1993 e il 2007 il 9,1% degli omicidi di donne è stato attribuito alla criminalità organizzata, secondo i dati raccolti da El Colegio de la Frontera Norte.
Le vittime sono spesso in condizione economiche critiche, si trasferiscono alla ricerca di lavoro, per poter aiutare le loro famiglie.
“Questo le rende indipendenti e allo stesso tempo più vulnerabili – spiega la dott.ssa Salinas Beristáin – Quando migrano, molte volte sono isolate dalle loro reti di supporto e assistenza. D’altra parte, la discriminazione è un fenomeno culturale. E la discriminazione delle donne è la percezione che esse valgano meno degli uomini e che dovrebbero stare a casa”.
E così lungo il confine, da una parte aumentano le bande e la guerra tra narcos, dall’altra si intensifica il fenomeno migratorio senza però che si adeguino le infrastrutture urbane: “Quindi mancano i servizi, manca l'illuminazione, mancano le strade per arrivare alle zone degli alloggi periferici, i trasporti e quando escono dal lavoro le donne sono costrette a camminare per strade buie, in aree dove non c'è polizia e protezione”.
L'impunità dei crimini di Ciudad Juárez
Ciò che denunciano famiglie e associazioni è soprattutto l’impunità di questi crimini, che sia per carenze tecniche, mancanza di risorse o semplice cecità politica.
“Lo Stato non svolge il suo ruolo di sorveglianza e assistenza di queste donne. Questo fa capire che possono essere uccise senza conseguenze”.
E per quanto dagli anni’90 ci sia stata una risposta da parte dello Stato, che ha anche creato una procura specializzata proprio nel contrasto della violenza sulle donne, la strada da percorrere è ancora lunga.
“Sono state fornite risorse agli uffici di questi procuratori. C’è stata un’enorme formazione per i funzionari pubblici, ci sono stati grandi sforzi nei confronti della società civile in questioni, ad esempio, di antropologia sociale, di antropologia forense, con una prospettiva di genere, proprio per trovare una modalità di svolgimento delle indagini, con una prospettiva di genere”.
L'attesa per le prossime elezioni presidenziali
Ed è per questo che in molti guardano con fiducia alla possibilità che alle elezioni del prossimo giugno salga alla presidenza del Messico una donna.
“Noi donne pensiamo che ora spetti alle donne dimostrare che siamo più vicine alla vita rispetto agli uomini grazie al modo in cui siamo state educate - conclude la dott.ssa Salinas Beristáin - Se ci fosse una presidente, è probabile che enfatizzerebbe questioni in cui gli uomini non si sono ancora introiettati”.