Tunisia, oppositori in cella e giornalisti processati: la svolta autoritaria di Kais Saied

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Jacopo Arbarello

Jacopo Arbarello

Nel paese della Rivoluzione dei Gelsomini, la prima e forse la più riuscita delle primavere arabe, da un paio di anni le cose sembrano essere tornate indietro. Il presidente ha infatti sospeso e poi sciolto il Parlamento e fatto approvare una nuova Costituzione che gli conferisce più ampi poteri. Attivisti e giornalisti denunciano la repressione delle libertà fondamentali e la persecuzione delle opposizioni 

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Che paese è la Tunisia di Kais Saied con cui l’Europa si appresta a stringere accordi economici e in materia di sicurezza per bloccare l’arrivo dei migranti? Un paese molto diverso da quello uscito dalle primavere arabe del 2011, che qui ebbero inizio, e che sfociarono in una costituzione, quella del 2014, tra le più avanzate del mondo arabo. Tutto questo adesso è passato. Saied, eletto nel 2019 come immacolato giurista populista, il 25 luglio di due anni fa ha infatti avocato a sé tutti i poteri, intraprendendo una strada autoritaria e illiberale. Arresti di oppositori e critici si sono succeduti negli ultimi anni diffondendo un clima di paura. Trovare qualcuno che ne parli non è facile in Tunisia, e chi lo fa mette seriamente a rischio la propria incolumità. Incontriamo Mohamed, ricercatore universitario e oppositore, in un bar della capitale molto affollato, ma per intervistarlo lontano da occhi indiscreti è meglio scegliere una saletta interna.  

“Un colpo di Stato” 

“Ci sono molte persone, e io sono fra queste, che pensano che quanto accaduto il 25 luglio 2021 sia stato un colpo di stato per accentrare tutti i poteri nelle mani del presidente e non un correttivo della rivoluzione come ha detto Saied” esordisce Mohamed Sahbi Khalfaoui, che oltre a insegnare all’università di Tunisi ha anche fondato l’Osservatorio per la transizione democratica in Tunisia.  

Dopo aver sospeso il Parlamento perché corrotto e scritto una nuova costituzione in cui vengono drasticamente ridotte le prerogative delle Camere e l’indipendenza della magistratura, Saied l’ha fatta approvare dal popolo che ha detto sì a larga maggioranza. Poi però alle successive elezioni parlamentari la disaffezione verso il regime autoritario è venuta fuori, visto che a votare è andato solo il 9 per cento degli aventi diritto. Un’astensione record a livello mondiale. Anche perché nella nuova Costituzione c’è scritto che i candidati non possono essere legati ai partiti, per cui tutte le opposizioni hanno boicottato il voto. 

Oppositori in carcere 

“Oggi molti oppositori tunisini sono in carcere unicamente perché esprimono la loro posizione contro il presidente della Repubblica. E per questo sono accusati di complotto contro la sicurezza dello stato” rincara la dose Mohamed. La furia del regime contro gli oppositori è arrivata al culmine questa primavera con l’arresto del leader del partito islamista Ennhada, Rached Ghannouchi, ma perfino chi osa esprimere solo a parole delle critiche al governo deve fronteggiare arresti e persecuzioni giudiziarie.  

Bavaglio ai giornalisti 

Tra i pochi ad avere il coraggio di raccontarci qualcosa c’è anche il capo del sindacato dei giornalisti, Madhi Jlassi: “Qui in Tunisia abbiamo un problema con la libertà di espressione. Ci sono attacchi contro i giornalisti, processi contro i giornalisti, e non solo contro i giornalisti ma anche contro sindacalisti, blogger, leader politici. C’è in generale un clima di terrore contro i giornalisti, contro gli oppositori, contro le differenze. Per questo diciamo che ci sono veramente problemi di libertà di espressione in Tunisia”. 

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La corruzione resta un problema 

Il governo di Saied, con la concentrazione di tutti i poteri in mano al presidente, sembra dunque presentare tutto l’armamentario tipico dei regimi autoritari che lentamente si evolvono verso la dittatura. Il percorso democratico della Tunisia dopo il 2011 è ormai un lontano ricordo. Chi lo difende sostiene che il presidente, con il consenso popolare, abbia solo sospeso la Costituzione e il Parlamento per combattere la corruzione e rilanciare l’economia. Un obiettivo che però finora è ampiamente fallito visto che il paese dipende dai fondi stanziati dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale. Per il giornalista Madhi Jlassi però questa tesi non regge, perché la corruzione è ancora presente a tutti i livelli anche se il Parlamento è stato sciolto, e solo la democrazia può garantire una vera lotta contro la corruzione. Detto questo però, nessuno dei nostri due interlocutori parla apertamente di dittatura, dicono solo che c’è stata una svolta autoritaria, e che le libertà si sono ristrette, ma sono fiduciosi di poter continuare la loro lotta per difenderle, quelle libertà. 

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Crisi economica e sociale 

In tutto questo però il paese versa in una crisi economica che sembra di difficile soluzione, con un debito pubblico altissimo, l’inflazione intorno al 10% e la disoccupazione altissima, soprattutto quella giovanile. L’accordo con il Fondo monetario internazionale, che doveva erogare a più riprese un finanziamento di 2 miliardi di dollari, è bloccato perché il presidente ha rifiutato le condizioni imposte al suo paese. Per molti qui in Tunisia il rifiuto di Saied è ben motivato. L’Fmi chiede infatti di ridurre la spesa pubblica, in particolare quella dei salari degli statali. Una operazione molto complicata in un paese che per anni ha usato le assunzioni pubbliche quasi come una forma di welfare, un po’ come ha fatto la Democrazia cristiana nell’Italia del secondo dopoguerra. In più il Fondo monetario chiede di sospendere o ridurre i sussidi su pane e benzina. Ovviamente l’establishment tunisino ha paura che, se le misure venissero adottate, potrebbero scatenarsi rivolte di piazza. Tante volte abbiamo visto “rivolte del pane” nei paesi in via di sviluppo. Per avere i soldi dell’Fmi, necessari per l’economia del paese, Saied conta adesso però sulla mediazione dell’Europa di Meloni e Von der Leyen. 

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La Tunisia di Saied ha preso una china antidemocratica ormai da almeno 2 anni, ma l’Europa e l’Italia in particolare, sembrano temere troppo l’instabilità politica di questo paese per provare a imporre limiti alla deriva autoritaria del presidente. Preferiscono finanziarlo e chiudere gli occhi su quello che accade a pochi chilometri dalle nostre coste. Su questo Mohamed Sabhi è molto netto: “E’ impensabile dare dei soldi alla Tunisia perché costruisca centri di detenzione dei migranti al posto degli europei, per risolvere il problema qui e non nei paesi di origine di questi migranti. Non diventeremo il poliziotto o la guardia costiera dell’Europa, che sulla questione delle migrazioni è molto ipocrita”. Parole che vengono condivise anche da capo del sindacato dei giornalisti Madhi Jlassi. Ma soprattutto parole che ricordano molto da vicino quelle del presidente Kais Saied a Ursula Von Der Leyen a inizio giugno. In Tunisia in tanti si chiedono se il presidente agirà sulla base di quello che ha detto o se invece cederà alle lusinghe e ai soldi europei finendo per fare il poliziotto del vecchio continente. 

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