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Le tappe della migrazione, anni di cammino prima di raggiungere il Mediterraneo

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Jacopo Arbarello

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Nel racconto dei tanti migranti subsahariani che abbiamo incontrato in Tunisia le mille difficoltà di un percorso ad ostacoli che dai diversi Paesi di provenienza, tutti con crisi sociali ed economiche gravi in corso, li porta attraverso il deserto del Sahara nei Paesi del Maghreb, l’Algeria, la Libia e la Tunisia. Da qui dovranno provare la traversata del mare verso l’Italia. Che è senza dubbio la parte più pericolosa del viaggio

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L’Europa e l’Italia sono la destinazione finale, per i pochi che ce la fanno. Ma il viaggio dei migranti è quasi sempre cominciato molti anni fa, ben prima del loro arrivo sulle nostre coste. In particolare gli africani subsahariani, che però non sono gli unici migranti ad attraversare il mare, partono dalle loro case con un obiettivo preciso: le coste del Mediterraneo. Ma il percorso per arrivarci è tutt’altro che semplice. Intanto perché non hanno soldi, infatti “la motivazione che vede la gioventù africana emigrare dai propri Paese– ci dice Franc Yotedje, direttore dell’Ong Africa Inteligence di Sfax – è nella stragrande maggioranza socio-economica”. Cioè cercano una vita migliore, una possibilità, laddove a casa loro tutte le strade sembrano chiuse. Come ci ha detto un migrante che la traversata l’ha già provata più volte: “Ma veramente pensate che se avessimo la possibilità di lavorare a casa nostra dopo la scuola, o di studiare, noi partiremmo per andare in Europa? E per fare cosa? Mai nella vita. Resteremmo a casa nostra con gli amici e i parenti vicino” (LO SPECIALE MIGRANTI DI SKY TG24).

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Il deserto del Sahara  

Però gli africani partono. E camminano. Camminano per centinaia di chilometri. Per scappare dai propri Paesi, che vengano dal Mali, dal Burkina Faso, dalla Guinea, dal Sudan, dal Congo o dal Niger devono attraversare il Sahara. Quello è il primo grande ostacolo. E bisogna pagare per un viaggio pericoloso: “Traversare il deserto è difficile. Ci picchiavano, ci facevano entrare anche in 30 dentro dei piccoli van, sotto il sole cocente”. A quel punto, per quasi tutti quelli che vengono dall’Africa occidentale, la prima tappa è l’Algeria. Lì si fermano per qualche mese o qualche anno, perché devono lavorare. Tutti i soldi che avevano li hanno spesi nella traversata del deserto. Ma in Algeria i neri guadagnano molto poco, la moneta è debole, e soprattutto non si parte, troppo lontana dalle nostre coste. Bisogna andare in Tunisia o in Libia. I più fortunati riescono direttamente ad attraversare il confine tunisino all’altezza di Kasserine. E anche lì bisogna camminare, questa volta tra le montagne. In Tunisia i migranti subsahariani che camminano si incontrano ovunque. Lungo le autostrade, ai bordi delle statali, e dentro le città.

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La Libia, la tappa più pericolosa  

Ma la maggior parte di loro prima passa dalla Libia. Ecco, se il deserto è difficile, su una cosa tutti i migranti che abbiamo incontrato concordano. La Libia è il peggio che abbiano vissuto. La mancanza di governo centrale e le tante fazioni armate una contro l’altra fanno sì che i migranti siano in balìa completa di tanti malfattori. Anche perché, ci spiegano, in Libia tutti girano armati, con pistole, fucili e anche kalashnikov. “In Libia i neri sono completamente denigrati. Gli arabi di lì non hanno alcun rispetto per i migranti. Possono arrivare e arrestarti senza che tu abbia fatto niente, solo perché magari vogliono il tuo telefono. Oppure c’è chi arriva con il coltello e prova a farti male, o vieni aggredito in gruppo” ci racconta Ibrahim, che dalla Libia è fuggito appena ha potuto.  

 

A far paura, in Libia, è soprattutto la Guardia costiera. “Se provi a partire e vieni ripreso finisci infatti direttamente in carcere” spiega una ragazza con un bambino in braccio “e lì se ne fregano di tutto, anche dei bambini e delle donne incinta. Per uscire devi pagare un riscatto”. E in carcere gli abusi sono quotidiani, così come le percosse e anche gli omicidi. La polizia ha un potere assoluto.

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Il racconto della traversata verso l’Italia  

L’obiettivo finale, per tutti i migranti, è l’Europa. In tanti quindi già dalla Libia tentano la traversata, senza riuscirci. A bloccarli, spesso è la marina libica, battente bandiera italiana. Il racconto che ci viene fatto da Traoré, che viene dal Mali, è molto specifico: “Siamo entrati in contatto con qualcuno che faceva viaggiare le persone verso l’Italia. Dopo due settimane abbiamo pagato i nostri soldi ed eravamo pronti a partire. Ma quando siamo arrivati sulla riva del mare ho visto che il convoglio era composto da 96 persone, troppe, ho visto che la barca era sovraccarica e ho detto no, non voglio partire. I libici che erano li erano armati. Ci hanno detto se ti rifiuti ti uccidiamo. Quindi se avessimo deciso di tornare indietro ci sarebbe stato il tipo pronto a spararci, quindi siamo stati obbligati a salire sulla barca”.

 

Saliti a bordo l’odissea doveva ancora cominciare: “Ci hanno messo in acqua verso le 8 di sera, abbiamo passato la notte sul mare, al mattino di buonora siamo partiti. Poi, verso le 3 o le 4 del pomeriggio vediamo una barca della marina libica, con la bandiera italiana. Non so se è l’Italia che ha regalato quelle barche alla Libia o no, ma c’era la bandiera dell’Italia. Noi eravamo già in acque internazionali e pensavamo fosse un battello di salvataggio. Ma quando la marina libica si è avvicinata ha cominciato a sparare in aria per spaventarci”.

 

A quel punto inizia una specie di conflitto in acqua tra un centinaio di migranti disarmati, una nave di una Ong e i guardia coste libici con le armi in pugno: “Ci volevano imbarcare, il nostro capitano non voleva perché sapeva che se ci avessero preso saremmo finiti direttamente in prigione. Lui era anziano e aveva fatto la prigione più volte quindi ha provato ad andare avanti”. A quel punto si è avvicinata una barca di salvataggio (una nave di una Ong n.d.r.) ma i libici l’hanno allontanata sparando ancora in aria: “Era per fargli capire che se si fossero avvicinati sarebbe finita male. Loro erano disarmati e se ne sono dovuti andare. Quindi i libici ci hanno imbarcato, anche se non ne avevano diritto perché eravamo in acque internazionali. Appena saliti hanno cominciato a picchiare il nostro capitano. Lo hanno bastonato. Lì ci hanno fatto vedere Lampedusa da lontano, ci hanno detto: guardatela, eccola lì, ma voi finite in prigione”. Arrivati al porto di Tripoli i migranti sono stati lasciati per ore sotto il sole dentro a una serie di furgoni, in attesa del trasferimento. Traoré racconta di essere svenuto per il troppo caldo.   

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