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Migranti, paura e tensione a Sfax in Tunisia. VIDEO

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Jacopo Arbarello

Jacopo Arbarello

Nel Paese dopo la svolta autoritaria del presidente Saied, che incarcera oppositori e giornalisti, in tanti hanno paura di parlare. Soprattutto della questione dei migranti, che arrivano ogni giorno e provano a imbarcarsi sperando di arrivare in Italia

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Paura. Paura e tensione che si palpa nell’aria. In Tunisia dopo la svolta autoritaria del presidente Saied, che incarcera oppositori e giornalisti, in tanti hanno paura di parlare. Soprattutto della questione dei migranti che invadono il paese, arrivano a Sfax ogni giorno e provano a imbarcarsi sperando di arrivare in Italia. La città è invasa dai migranti subsahariani. Se ne trovano ovunque, soprattutto in centro. E tra di loro non mancano i momenti di tensione. I pochi che parlano lo fanno a volto coperto. Entrare in contatto non è semplicissimo. Ma anche le associazioni che si occupano di loro cercano di non esporsi. (LO SPECIALE MIGRANTI)

Un argomento molto sensibile

Abbiamo ad esempio provato più volte a contattare la Maison des droits et des migrations di Sfax, ma i responsabili hanno sempre addotto problemi burocratici, e anche provando a bussare alla loro porta non c’è stato verso di avere un loro commento. Il presidente dell’associazione degli studenti africani di Sfax, Wester Mombo, ci spiega che “la questione migratoria in Tunisia non è ben regolamentata, e anche per questo le autorità e le associazioni esitano a pronunciarsi” su un argomento diventato molto sensibile dopo il discorsi di febbraio del presidente Saied, che richiamandosi alle teorie sulla sostituzione etnica ha provocato un’ondata di attacchi contro i migranti e gli abitanti neri subsahariani, costringendo molti alla fuga.

La paura di essere visti

Proviamo ad entrare nelle case dei migranti africani. Il più delle volte invano. Se qualcuno si convince a farci entrare, ci sono sempre i coinquilini che non vogliono farsi vedere, alcuni perché a casa hanno raccontato di essere in Europa, altri per pudore, perché non vogliono mostrare in che condizioni siano costretti a vivere in Tunisia. Dopo qualche tentativo, in uno dei tanti caffè che ospitano solo migranti subsahariani riusciamo a convincere tre giovani a seguirci. Salgono con noi in macchina. Dicono che ci porteranno nel loro quartiere, a casa loro. Ma poi una volta arrivati sotto casa iniziano a preoccuparsi. Perché lì loro hanno la propria vita quotidiana e non vogliono irritare i tunisini facendo vedere che parlano con i giornalisti stranieri. Alla fine, per parlare, ci portano in una spiaggia isolata, e anche lì ci chiedono di fare l’intervista nascosti dietro a una palma, per non essere visti, anche se non c’è nessuno in circolazione.

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Le storie di chi vuole partire

Sono in 3, uno viene dal Mali, uno dalla Costa d’Avorio, l’altro dal Burkina Faso. Ognuno ci ha messo anni ad arrivare in Tunisia, tutti sono passati per la Libia, e tutti vogliono provare a partire appena avranno i soldi. Hanno storie diverse, che completano un unico quadro.  La premessa da cui partono è il contesto della migrazione, che ci viene spiegato da Traoré: “Pensate davvero che se noi a casa nostra avessimo da lavorare e trovassimo lavoro quando finiamo la scuola con il nostro diploma, usciremmo dal nostro paese? E perché mai? Per fare cosa? Niente. Resteremmo a casa nostra, lavorando bene. E in più avremmo i nostri genitori a fianco, e i nostri amici”.   

La paura e il desiderio

Traore, Ibrahim, Aroune e tutti gli altri migranti che abbiamo incontrato hanno paura di tutto qui in Tunisia. Paura della polizia, paura delle aggressioni razziste, paura di essere riconosciuti, paura di attraversare. Hanno paura e condividono un desiderio. Fuggire dalla povertà e dal pericolo e arrivare in Europa.  Ibrahim ci racconta come i neri siano discriminati, anche qui in Tunisia, anche se meno rispetto alla Libia: “Prima del mia arrivo mi avevano detto che veramente gli africani sono nella libertà totale qui in Tunisia, ma quello che ho scoperto arrivando qui è che non è vero, è il contrario, soprattutto dopo il discorso di febbraio del presidente Saied”. Per sopravvivere i tre ragazzi si arrabattano con qualche lavoretto, ma sono sempre precari, clandestini, devono nascondersi e la loro unica prospettiva è prendere il mare e tentare l’arrivo in Europa, nonostante sappiano bene quanto sia pericoloso. La cosa peggiore è vedere quanto sono tristi quando spiegano che “tutti hanno paura del mare, ma se non hai scelta sei obbligato a fare quello che non ami fare, è questo il problema”.

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