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Tunisia, le immagini e i racconti delle violenze sui subsahariani

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Jacopo Arbarello

Jacopo Arbarello

A Sfax, nel sud del Paese, è ancora viva la memoria dei giorni di febbraio e marzo, dopo il discorso che richiamava alla sostituzione etnica del presidente Saied che ha scatenato violenti attacchi razzisti. E la violenza non è ancora propriamente finita

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Il razzismo non conosce frontiere, e soprattutto colore. Ma quello verso i neri è praticamente universale. La Tunisia non fa eccezione anche perché il Paese è invaso dagli immigrati subsahariani che vogliono raggiungere l’Europa. Abbiamo chiesto a Ibrahim, che è arrivato a Sfax dopo essere partito dalla Guinea Conacry due anni fa, se sia difficile avere la pelle nera in Tunisia e questo è quello che ci ha risposto: “Ci causa molti problemi. Noi stessi ci chiediamo molto perché Dio ci abbia dato questo colore perché siamo denigrati in tutti i Paesi arabofoni” (LO SPECIALE MIGRANTI).

Le parole del presidente tunisino

Il discorso, che può essere definito razzista, del presidente tunisino Kais Saied sulla sostituzione etnica, a febbraio, ha aggiunto benzina sul fuoco: “L'afflusso di un grande numero di migranti irregolari subsahariani in Tunisia è un piano criminale preparato dall'inizio di questo secolo per cambiare la composizione demografica della Tunisia, alterando le radici arabe e musulmane”. Dopo queste parole del presidente, nel Paese, e soprattutto a Sud, si è scatenata un'onda di attacchi contro gli immigrati subsahariani, e una fuga di chi ha potuto, verso l'Europa e verso i propri Paesi d'origine.

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Le testimonianze

La paura e le conseguenze di questi attacchi sono ancora negli occhi di chi li ha subiti. Un altro ragazzo della Guinea ci racconta quello che ha vissuto: “Dopo le polemiche sul discorso del presidente ho perso il lavoro e fino ad oggi non l’ho più trovato. È difficile per noi che abbiamo la pelle nera”. Un muratore che incontriamo a Zarzis invece spiega come a febbraio sia dovuto scappare da Tunisi, la capitale, fino all’estremo Sud perché il proprietario di casa li ha messi alla porta e non avevano più un’abitazione. Infine Aisha, che fa la venditrice ambulante davanti alla Medina di Sfax, si lamenta della polizia: “Noi veniamo qui per provare a fare qualche soldo, ma la polizia ci dà la caccia continuamente, c’è molto razzismo”.

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“Le persone non si sentono sicure, hanno molta paura”

Ma non sono solo gli ultimi, quelli che arrivano a piedi dal deserto, ad aver sofferto e patito, ad aver provato il terrore degli attacchi razzisti sono stati anche gli africani con regolare permesso di soggiorno come ci racconta il responsabile dell'associazione degli studenti africani, che ci fa anche vedere le foto di chi ha subito violenza a colpi di coltello e anche di spada. Poi Wester Mombo, direttore dell’Associazione degli studenti e degli stagisti africani in Tunisia, ci spiega come sono stati vissuti quei giorni e ci fa anche vedere le foto delle aggressioni: “Le persone non si sentono sicure, hanno molta paura. Dopo il discorso del presidente abbiamo vissuto una carneficina totale, una grande confusione, nel senso che anche quando camminavi per strada la gente ti urlava: nero, africano! È stato un discorso che ha portato molto odio nei cuori di molti, anche se poi hanno voluto rettificare il tiro. Ma noi abbiamo aperto anche degli sportelli psichiatrici per aiutare i nostri studenti a gestire il trauma che hanno vissuto”.

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“Ogni giorno ti chiedi se tornerai a casa sano e salvo”

Il razzismo ha tante forme, e in Tunisia quello verso gli africani subsahariani sembra ormai averle assunte quasi tutte. Ibrahim ad esempio ci spiega che adesso a Sfax per un migrante africano è quasi impossibile prendere l’autobus, perché gli autisti si rifiutano di far loro il biglietto. Traorè invece, che viene dal Mali, trae le sue conclusioni: “Sono o non sono condannato? Sono condannato. E allora se trovo qualcuno che mi fa attraversare il Mediterraneo perché No? Partirò, mi prenderò questo rischio, perché tanto anche qui in Tunisia rischio tutti i giorni, appena esci di casa gli arabi possono aggredirti in qualsiasi momento, con i coltelli e anche in gruppo. È difficile anche solo procurarsi da mangiare. Ogni giorno ti chiedi se tornerai a casa sano e salvo”.

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