Sulle spiagge di Sfax, tra le scarpe abbandonate dai migranti

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Jacopo Arbarello

Jacopo Arbarello

Viaggio nel sud della Tunisia, nella provincia di Sfax da cui partono la maggior parte delle barche che provano a raggiungere l’isola di Lampedusa, distante appena qualche decina di chilometri. Prima di partire i migranti si appoggiano per qualche ore nelle case abbandonate sulla spiaggia, dove lasciano tutto quello che non è necessario, a partire dalle scarpe. Per molti però la partenza è un fallimento e devono ricominciare da capo. Ne abbiamo incontrato un gruppo che si riparava nei campi dietro alla spiaggia

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Hafiza conosce bene gli africani che partono verso l’Italia. La sua casa è sul mare, a Nord di Sfax. La spiaggia davanti casa sua vede partenze continue, appena il meteo è favorevole. E ospita una specie di cimitero di barche in ferro, affondate appena partite perché imbarcano acqua o perforate dalla polizia per non farle più partire. Hafiza ci guida tra le case dove i migranti si nascondono prima di partire e dove troviamo i loro pochi resti. Mentre sulla spiaggia restano le scarpe, scarpe ovunque. Perché i trafficanti li imbarcano scalzi. Accanto ad una barca distrutta dalla polizia con le ruspe troviamo uno dei lasciti più impressionanti tra i tanti oggetti che i migranti lasciano a terra. Una specie di deposito di scarpe, tutte quelle che devono lasciare prima di salire a bordo. 

Un viaggio mortale 

Solo nei primi 5 mesi di quest'anno, sono 480 i corpi ritrovati nella regione di Sfax. Il doppio di due anni fa. E Hafiza con la sua esperienza conferma che le tragedie in mare sono continue: “Non ho più voglia di mangiare i pesci di questo mare, per l’odore dei cadaveri. Una notte una barca intera come questa qui davanti è affondata, era piena. Sono tutti morti. Solo un piccolo bambino è uscito vivo dal mare”. 

I rifugi prima della partenza

Hafiza ci fa vedere le case lungo la spiaggia dove i migranti si nascondono prima di partire e dove troviamo i loro pochi resti.  E anche qui le loro scarpe. Ma oltre alle scarpe ci sono anche i loro vestiti, quelli che abbandonano prima di imbarcarsi. E ancora decine di bottiglie d’acqua, di yogurt e di scatolette di tonno e di aringhe, cioè il cibo più economico che si possa trovare. Infine, quasi incredibilmente, tanti spazzolini da denti con tubetti di dentifricio, come se i migranti si lavassero i denti prima di imbarcarsi. 

 

I barchini mortali 

Tornati verso la casa di Hafija, ci aspetta un suo amico. Conosce i trafficanti, dice che stanno diventando ricchi in poco tempo grazie alla truffa mortale di questi barchini in ferro che affondano a pochi chilometri dalla riva: “Prima anche io volevo partire, ma adesso non più. E’ troppo pericoloso, le barche in metallo non danno garanzie, camminano due o tre chilometri e affondano. E questo perché i trafficanti vogliono solo i soldi, la vita delle persone per loro non conta, amano il denaro e il resto non è un problema”. Cioè i morti in mare non sono un problema. 

I migranti sotto agli ulivi 

Poi il ragazzo ci racconta che a pochi metri, proprio nei campi dietro alla spiaggia, c’è un gruppo di migranti che non è riuscito a partire e adesso si ripara dal sole cocente sotto l'ombra degli ulivi. Con sé non hanno nulla, se non dei salvagente improvvisati con le camere d'aria dei pneumatici. La maggior parte di loro infatti non sa nuotare e pensa che questo possa salvarli in mare. Sono tra le 20 e le 40 persone, hanno provato a partire qualche giorno fa e ora sono bloccati in questi campi aridi: “Guarda bene: non abbiamo acqua, non abbiamo da mangiare, non abbiamo casa, dormiamo all’aperto. Guardate. Qui dove siamo è difficile fare tutto, anche tornare a Sfax, non possiamo prendere i mezzi pubblici e la città è lontana” ci dice il primo ragazzo disposto a parlare con noi.

Le motivazioni della partenza 

Poi anche gli altri si avvicinano. Gli chiediamo perché decidano di partire sebbene conoscano i rischi. La risposta è disarmante, nella sua semplicità: “Vedi i tuoi amici che sono partiti – ci spiega un giovane - e che sono morti. Eppure continui a venire. Non è che lo facciamo per piacere. Proviamo a partire perché abbiamo molti problemi, una famiglia, alcuni hanno lasciato moglie e figli a casa per venire qui. Per venire a prendere questo genere di rischio. Sacrifichiamo la nostra vita perché la vita sia migliore a casa. Per forza dobbiamo rischiare, ci sono donne incinta tra di noi, ci sono bambini, e non abbiamo scelta. Eppure, malgrado tutto ciò, ogni volta falliamo e dobbiamo ricominciare da zero. Sempre noi. Perché?”.

Cosa si aspettano dall’Europa 

Abbandonati in un campo di ulivi dietro a spiagge costellate di barchini in metallo affondati subito dopo la partenza o distrutti dalla polizia, questi migranti sembrano abbandonati da tutti. E sfruttati dai trafficanti. Cerchiamo di capire da loro cosa vogliano, cosa cerchino, e cosa si aspettino dall’Europa e dalla comunità internazionale visto che sembra che nessuno qui in Tunisia, nemmeno le Ong che si occupano di migrazione, venga ad aiutarli: “Gli europei, gli italiani, le Nazioni Unite dovrebbero fare tutto il possibile per noi, perché il compito della migrazione ci sia facilitato. L’Europa ci deve accogliere, è questo che vogliamo”. Il desiderio dell’Europa, in questi migranti, è con tutta evidenza più forte del pericolo della morte.


 

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