Anche se la Gran Bretagna non fa più parte dell'Unione europea, il processo avviato con il referendum e l'invocazione dell'articolo 50 del Trattato sull'Ue non è ancora completato. Si continua a discutere soprattutto di commercio, immigrazione e della situazione dell'Irlanda del Nord
Sono passati cinque anni da quando il Regno Unito invocò l'articolo 50 del Trattato sull'Unione europea, dando formalmente avvio all'uscita del Paese dall'Ue. Il processo era iniziato il 23 giugno dell'anno precedente, quando il 52% degli elettori votò per il Leave e, in teoria, si è concluso il 31 dicembre del 2020 alle 23 (la mezzanotta in Italia), quando la Brexit è di fatto avvenuta. In realtà, però, Londra e Bruxelles continuano a negoziare. Alcune regole previste dall'accordo che hanno raggiunto sono entrate in vigore solo pochi mesi fa e altre lo faranno durante l'estate. Questo stato dei lavori, ancora in corso, rende difficile fare un bilancio sull'impatto della Brexit, a maggior ragione perché è avvenuta in un anno caratterizzato dalla pandemia. Ecco cosa sappiamo, arrivati a questo punto.
Gli ultimi dati sull'economia
Nel 2021 il Pil del Regno Unito è cresciuto del 7,5%, il tasso di crescita più rapido dalla seconda guerra mondiale. Ciò nonostante, anche a causa del -0,2% registrato a dicembre, le dimensioni della sua economia sono rimaste minori rispetto a quelle registrate prima della pandemia. Secondo Samuel Tombs, un esperto citato dal Guardian, l'emergenza sanitaria c'entra solo in parte. "Non si può dare la colpa al Covid-19 per la sotto-performance continuata del Regno Unito. Omicron ha colpito tutti i Paesi occidentali in modo simultaneo e il nostro governo ha imposto meno restrizioni che altrove", ha detto. "Le esportazioni continuano ad emergere come un'area di marcata debolezza". Nel 2021 il volume delle esportazioni dal Regno Unito all'Unione europea è diminuito del 12% rispetto al 2018 mentre si è ridotto "solo" del 6% quello verso altri Paesi. Londra è uscita anche dalla classifica dei primi 5 partner commerciali della Germania dopo che l'esportazione dei suoi prodotti a Berlino è crollata dell'8,5% nel 2021. Secondo un report redatto da un comitato parlamentare, dal 2020 la pandemia, la Brexit e la pressione globale hanno "soppresso" il commercio con l'Europa e, anche se non è facile quantificare gli effetti legati a ciascuna di queste circostanze, "l'uscita dall'Unione europea ha avuto un impatto e i nuovi controlli alle frontiere hanno portato ulteriori costi alle aziende". Gli autori del report puntano il dito anche contro l'aumento delle pratiche burocratiche, che costituisce una "sfida" soprattutto per le imprese piccole, e definiscono "ottimistica" la previsione di creare entro il 2025 "il miglior confine al mondo", anche alla luce delle file chilometriche che si sono create in alcune aree. Secondo Jacob Rees-Mogg, ministro per le opportunità di Brexit, tuttavia, il calo delle esportazioni è dovuto alla disruption durante il Covid e la decisione di lasciare l'Ue sta anzi rilanciando l'economia.
Le regole sull'immigrazione e la manodopera
Negli ultimi giorni il CEO di Next, Simon Wolfson, ha invitato il governo del Regno Unito a semplificare le regole sull'immigrazione per risolvere un problema con cui da mesi combatte il Paese: la carenza di manodopera e, più in generale, di lavoratori. A causa della Brexit, i cittadini dell'Ue che risiedono nel Paese non godono più di molti vantaggi, motivo per cui alcuni se ne sono andati, e non è detto che le persone che ci vogliono emigrare riescano a farlo, tranne nel caso in cui siano iperspecializzate. Wolfson, che è un sostenitore della Brexit, ha parlato di "barriere controproducenti" e ha detto che è proprio "la cronica mancanza di manodopera" e la disruption nelle catene di fornitura globali a spingere l'inflazione. Al problema del personale, sono stati attribuiti anche gli scaffali vuoti dei supermercati e le file per fare benzina dello scorso anno.
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La questione irlandese
Uno dei motivi per cui la Brexit è ancora un work in progress è la cosiddetta questione irlandese. Sin dall'inizio dei negoziati si è voluto evitare il ritorno di un cosiddetto "confine duro" tra l'Irlanda e l'Irlanda del Nord, che fa parte a tutti gli effetti del Regno Unito ma è stato a lungo terreno di scontro. Questo obiettivo è stato raggiunto col "protocollo dell'Irlanda del Nord" che riconosce a Belfast uno status speciale, motivo per cui deve seguire le regole del mercato unico. Il risultato di questa decisione è che l'Ue non controlla le merci provenienti dall'Irlanda del Nord ma quest'ultima deve verificare quelle che arrivano dalla Gran Bretagna. Il protocollo non ha mai soddisfatto i cosiddetti "unionisti" e lo scorso 3 febbraio il primo ministro dell'Irlanda del Nord Paul Gavin si è dimesso proprio in polemica coi suoi contenuti. Intanto, i giudici hanno respinto l'ipotesi che il documento fosse illegale, e ad occuparsi di questo dossier è arrivata una nuova figura. Si tratta di Lizz Truss, che ha sostituito il precedente negoziatore per la Brexit, David Frost. L'esperto si era dimesso lo scorso dicembre esprimendo "preoccupazioni per la direzione di marcia" intrapresa dal governo.
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Gli accordi con gli altri Paesi
La questione irlandese non è cruciale solo per la politica interna del Regno Unito e la sua stabilità. Negli ultimi giorni, il deputato americano Richard Neal ha detto che un accordo commerciale bilaterale tra Usa e Regno Unito è desiderabile, ma non potrà andare avanti se mette a rischio il trattato di pace sull'Irlanda del Nord o se questo è usato per fini politici. Neal non è un politico qualsiasi. Come riporta il Guardian, il suo comitato si occupa proprio dei trattati commerciali e senza la sua approvazione non si va da nessuna parte. Mentre i negoziati su questo fronte proseguono, il Regno Unito ha già chiuso accordi con altri Paesi. Lo scorso febbraio, per esempio, ne ha firmato uno con la Nuova Zelanda che, secondo il governo di Londra, aumenterà il commercio tra i due Paesi del 60%. Il più importante, probabilmente, è però Aukus, un patto di sicurezza stretto con Usa e Australia.
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L'opinione pubblica
Secondo un sondaggio di Ipsos UK Political Pulse, condotto tra il 4 e il 7 marzo 2022, il 44% degli intervistati pensa che la Brexit abbia avuto un impatto negativo sul Paese - il 3% in meno rispetto a gennaio - mentre il 30% lo considera positivo, con un aumento di 4 punti percentuali rispetto a gennaio. Secondo una persona su cinque, non ha comportato alcuna differenza mentre il 6% non sa esprimersi a tal proposito.