Il 30 gennaio 1972, 14 civili furono uccisi dall’esercito britannico mentre stavano partecipando a una marcia in difesa di diritti basilari. La strage della domenica di sangue rappresentò la pagina più buia dei cosiddetti “Troubles” e portò a un’escalation di una guerra a bassa intensità che durò decenni
DERRY - Poteva capitare così, nella Derry di inizio anni Settanta. Che tu, bambino di 9 anni che giocava a biglie con i compagni di scuola nonostante il gelo e il vento che irrigidivano le mani, ti sentissi dire all'improvviso da un altro ragazzino che tuo padre era stato colpito da un proiettile. E poteva capitare che trovassi la foto di un compagno di scuola sul giornale, morto perché finito sotto un blindato militare mentre tornava a casa. E allora collegavi, nella tua mente incredula e ancora poco avvezza alla morte, che il giorno prima avevi visto sua madre spazzare il cemento con una scopa. Lì dove c'era una grossa macchia che sembrava sangue.
I “Troubles”
Il bambino finito sul quotidiano si chiamava Daminen Harkin ed è a lui che Tony Doherty ha dedicato il suo ultimo, struggente libro: "Il piccolo di papà", uscito in Italia lo scorso 20 gennaio con Nutrimenti. Nell'anormalità di vivere e giocare tra militari, fucili e filo spinato, tutto sembrava normale al piccolo Tony che stava crescendo nella Derry dei cosiddetti "Troubles", il modo eufemistico con cui è stata definita una guerra civile a bassa intensità durata dalla fine degli anni Sessanta agli anni Novanta e costata la vita ad almeno 3500 persone. Anni costellati da attentati terroristici, in Irlanda del Nord e in Inghilterra e che ha trovato una sua conclusione nei famosi accordi di pace del Venerdì Santo, nel 1998, quando premier britannico era Tony Blair.
La marcia del 30 gennaio 1972
“Piccolo di papà” si conclude proprio con la morte di Patrick Doherty, 31enne padre di 6 figli, che come altre 15mila persone il 30 gennaio 1972 stava partecipando alla marcia, non autorizzata, in difesa dei diritti civili e in particolar modo contro il cosiddetto “internamento”: la misura che permetteva alle autorità di mettere in prigione, sulla base di meri sospetti e senza processo, chiunque fosse in odore di essere un militante del gruppo paramilitare dell’IRA, l’Irish Republican Army, che puntava alla creazione di una repubblica indipendente e all’unificazione dell’isola. Quel giorno 13 persone inermi furono uccise dal primo battaglione del Reggimento Paracadutisti dell’esercito britannico. In 20 minuti 21 militari esplosero 108 colpi causando anche decine di feriti. La 14esima vittima morì dopo mesi di agonia in ospedale. La strage non fece altro che allargare, e di molto, le fila dell’Ira.
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Le inchieste
Una prima inchiesta, istruita subito dopo il massacro, assolse i militari da qualsiasi responsabilità. Una seconda, sotto il premierato di Blair, stabilì invece che l’operato dei parà era stato “ingiustificato e ingiustificabile”. Nel 2010 arrivarono le scuse ufficiali, pronunciate alla Camera dei Comuni, dal premier David Cameron. Nessun militare è però mai stato incriminato e condannato per i fatti del Bloody Sunday.
Le discriminazioni quotidiane
Agli inizi degli anni Settanta i cattolici rappresentavano circa un terzo della popolazione ed erano discriminati proprio sulla base della loro fede religiosa che li distingueva dal resto della popolazione, discendente dai coloni inglesi del 1600 e per questo protestanti. Ai cattolici erano negati i lavori migliori e meglio retribuiti, avevano più difficoltà a trovare un’occupazione e una casa. Il loro reddito era decisamente più basso. “Ha sedici anni ho fatto il mio primo colloquio per un lavoro da segretaria - ci racconta Jean McElhinney -. Mi sembrava stesse andando tutto molto bene, ero contenta. Sul finale del colloquio mi fu chiesto: ‘Lei dove è andata a scuola?”, e io: “Alla St Patrick”. Mi liquidarono dicendo: ‘Ma noi non assumiamo cattolici”. Tre anni dopo Jean si sposò ed emigrò in Canada. E’ lì che apprese dell’uccisione del fratello Kevin. “Mi arrivò una telefonata di una zia, perché i miei genitori non avevano il telefono in casa. Mi disse che Kevin era morto durante la manifestazione. Ma io avevo sentito alla televisione che i militari avevano sparato contro bombaroli e terroristi e quindi non capivo”, ricorda Jean che aggiunge: “Tutto il viaggio in aereo nutrii desideri di vendetta nei confronti di un militare che mi aveva privato di un fratello. Quel sentimento di vendetta però si spense quando vidi mio padre piegato dal dolore in chiesa, durante il funerale. Mai avrei voluto infliggere lo stesso dolore a un altro padre”.
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Il desiderio di vendetta
Di vendetta parla anche Tony, ma la sua non si è spenta così presto, anzi. Si è arruolato nell’Ira appena possibile. E’ stato arrestato e si è fatto anche 4 anni di carcere. Intervistando gli uomini di una certa fascia di età all’interno della comunità cattolica, specialmente a Derry ma non solo, è davvero difficile trovare chi non abbia militato, almeno un breve periodo, nell’Irish Republican Army.
Il conflitto e lo sport
Ma anche chi cercava di stare il più lontano dalla politica e dai “Troubles” ne veniva comunque inevitabilmente risucchiato. Come i giocatori della squadra del Derry FC, espulsa dalla lega dell’Irlanda del Nord dal '72. Tutt’oggi milita nel campionato dell’Eire: unico caso al mondo di squadra che gioca nel campionato di un’altra nazione. L’allora portiere Eddie Mahon, oggi un allegro 80enne spiega cosa voleva dire allenarsi a Derry a quei tempi. “Ricordo una sera che mi stavo allenando facendo piegamenti insieme a un compagno di squadra – racconta -. A un certo punto scoppiò una bomba carta poco distante da noi: corremmo come dei pazzi per lo spavento. Roba da record mondiale”. Ricorda, Eddie, sempre col sorriso sulle labbra, anche quando rievoca la partita a Belfast contro il Linfield, durante la quale lo colpirono con una freccetta nella schiena o quando minacciarono di morte gli attaccanti della squadra e dovettero giocare con tutti i difensori e centrocampisti.
Il futuro dell’Irlanda post Brexit
Derry, ci dicono tutte le persone con cui abbiamo parlato, in cinquant’anni è cambiata moltissimo e con lei tutta l’Irlanda del Nord. Anche e forse soprattutto per quanto riguarda la demografia. La minoranza cattolica si accinge a diventare maggioranza. A ciò si aggiunge il cosiddetto “effetto Brexit” e una nostalgia per l’Europa che non si spegne, anzi. I recenti problemi causati dal cosiddetto protocollo nord irlandese e non ancora risolti fanno sì che l’idea di una Irlanda unita non sia più così remota. Sembra che anzi gli ultimi anni abbiano provocato un’accelerazione in questo senso un tempo impensabile.