A un secolo di distanza, il Nord dell’isola è attraversato da fortissime tensioni risvegliate dall’accordo trovato sulla Brexit che ha messo frange unioniste sul piede di guerra. Il primo ministro Arlene Foster ha rassegnato le dimissioni anche da guida del DUP. (La corrispondente da Londra)
È un’Irlanda del Nord in subbuglio quella che oggi ricorda i 100 anni esatti della cosiddetta “Partition”: la divisione dell’isola in due, con un meridione, l’Eire, repubblica, e un settentrione suddito della corona del Regno Unito. A distanza di un secolo le sfide sono titaniche e il futuro incerto, in un Nord profondamente cambiato da un punto di vista politico e democratico.
Un presente segnato dalla Brexit
Il presente è segnato da una Brexit che ha creato un artificioso confine nel mare d’Irlanda, per preservare gli accordi di pace del venerdì santo del ‘98. Gli unionisti gridano al tradimento e, guardando dal loro punto di vista, è difficile dargli torto: è la loro stessa identità a essere messa ora a rischio. Il paradosso della Brexit, in terra d’Irlanda, è che a beneficiarne è soprattutto l’anima repubblicana che ormai considera solo una questione di tempo la riunificazione dell’isola, ora che esiste un confine all’interno dello stesso Regno Unito e non tra le due nazioni irlandesi. Dovesse avvenire davvero, con una minoranza cattolica destinata a diventare presto maggioranza anche nell’Ulster, in che tempi si concretizzerà? E soprattutto: con che modalità?
Lo spettro dei “Troubles”
I segnali non sono rassicuranti. Belfast, (London)Derry e altre città dell’Ulster sono state teatro di tensioni crescenti. Lancio di molotov contro la polizia, autobus dirottati e dati alle fiamme, giornalisti picchiati e, ancora prima, minacce di morte al personale portuale (incaricato di espletare i controlli per le merci in arrivo e in partenza da e per la Gran Bretagna) sono i sintomi più evidenti di un malessere crescente. Un malessere che non solo ha portato gruppi paramilitari unionisti a dichiarare di non riconoscersi più nell’accordo del ‘98, ma che ha visto un ulteriore salto di livello nel ritrovamento di un ordigno esplosivo attaccato alla macchina di una poliziotta della cittadina di Dungivern, nella contea di Londonderry. La polizia locale sospetta che il mandante sia il gruppo repubblicano dissidente Nuovo esercito repubblicano irlandese (Nuova Ira). Solo per un caso fortuito l’ordigno, che avrebbe potuto ammazzare la donna e la figlia di tre anni, non è esploso. Un’eco dei cosiddetti “Troubles” di un tempo che non va né ingigantito, ma tantomeno sottovalutato.
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Le dimissioni del “First Minister”
Che il momento sia difficile lo dimostrano anche le dimissioni di Arlene Foster da leader del Dup (il Partito Unionista Democratico) e da First Minister dell’Irlanda del Nord. Se i motivi che l’hanno costretta al passo indietro non sono tutti ascrivibili agli effetti della Brexit, è chiaro che questa è la motivazione di gran lunga più importante. Con ogni probabilità, il partito di governo deciderà di tenere separati il ruolo di First Minister e quello di leader, con una significativa virata a destra. Giovedì scorso il primo a candidarsi come successore della Foster è stato Edwin Poots, attuale ministro dell’Agricoltura, noto creazionista che nel 2011, da ministro della Salute, ha sostenuto il divieto di donazioni di sangue di persone omosessuali. La Foster è risultata troppo progressista a quella parte del partito che, ad esempio, sostiene la necessità di terapia di “conversione” per gay.
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Crollo dei consensi per il partito di governo del DUP
Un sondaggio dello scorso febbraio ha evidenziato come il sostegno al Dup sarebbe ora ai livelli più bassi da due decenni a questa parte, con solo il 19% dei consensi tra l’opinione pubblica (il partito nazionalista Sinn Fein sarebbe ora al 24% e i centristi dell’Alleanza al 18%). Già nel 2017 il Dup vinse un solo seggio in più del Sinn Fein.
Il terremoto che ha investito il Dup inevitabilmente avrà ripercussioni anche sul principale partito rivale. Il regolamento in Irlanda del Nord prevede che anche il Sinn Fein debba rassegnare e ripresentare le dimissioni del vice primo ministro, Michelle O’Neill, la quale potrebbe anche rifiutare di entrare in un governo in assenza di concessioni alla propria agenda politica, portando la nazione a elezioni anticipate. O’Neill ha già detto che è pronta a lavorare con chicchessia, ma ha al tempo stesso evidenziato il bisogno di progredire con “riforme sociali, un cambiamento politico e una prosperità economica”. Difficile però che in particolar modo le riforme sociali la vedano in sintonia con la nuova leadership. L’Irish Language Act, la legge per riconoscere l’irlandese come lingua nazionale, sarà con ogni probabilità il primo terreno di scontro. Poots ha per esempio già detto che “la lingua irlandese è stata trasformata in un’arma dal Sinn Fein”.
Nonostante il momento favorevole nei sondaggi, il Sinn Fein ha già dichiarato che sarebbe “irresponsabile” andare ad elezioni ora, quando mancherebbe un anno alla scadenza naturale. Ma di chiaro, nel cielo d’Irlanda, al momento c’è davvero molto poco.